Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1517 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 19/01/2022), n.1517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7141/2017 proposto da:

D.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA, 362, presso lo studio dell’avvocato ALEXANDRU BUJIN,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE SAPONARO;

– ricorrenti –

contro

M.J., N.E., NO.LU.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1648/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado, resa nella causa promossa da M.J. e N.E. nei confronti di D.M.M. e No.Lu.. I primi, acquirenti di una unità immobiliare di proprietà dei secondi, avevano agito per la riduzione del prezzo, deducendo di avere appreso, dopo il rogito, della necessità di costosi interventi di manutenzione straordinaria delle strutture portanti dell’edificio condominiale.

Il Tribunale ha rigettato la domanda, che la Corte d’appello ha invece accolto, riconoscendo, a titolo di riduzione del prezzo, la somma di Euro 21.368,34, corrispondente alla quota a carico degli acquirenti in relazione ai lavori fatti per il ripristino della normale fruibilità dell’immobile nel suo complesso.

Per la cassazione della sentenza D.M.M. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi.

M.J. e N.E. sono rimasti intimati.

E’ rimasto intimato anche No.Lu..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omissione di pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello. Si sostiene inoltre che la Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 345 c.p.c., perché gli appellanti avevano chiesto per la prima volta in appello il danno morale; nonostante l’eccezione di novità della domanda, questa è stata esaminata e rigettata nel merito, con motivazione generica.

Il motivo è inammissibile. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. n. 321/2016; n. 22860/2004). Nella specie una tale censura, contro l’implicito rigetto dell’eccezione, non è stata formulata dalla ricorrente. Per completezza di esame, si deve aggiungere che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Cass. n. 29495/2020).

In contrasto con tale principio, la ricorrente propone una censura formulata in linea di principio, in assenza di qualsiasi confronto con il contenuto dell’impugnazione avversaria, che non è richiamato e trascritto per le parti di interesse.

Con il motivo in esame la ricorrente si duole ancora del mancato rilievo della inammissibilità della nuova domanda. Per questa parte la censura è inammissibile per difetto di interesse, in quanto inerisce a una domanda che non è stata accolta. Si chiarisce che “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito” (Cass. n. 26419/2020; n. 26831/2014).

2. Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, “sotto il profilo delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente ripercorre il contenuto delle deposizioni rese dai testimoni e sostiene che la loro corretta valutazione, anche sotto il profilo della “plausibilità” della deposizione resa dal teste A., imponeva di riconoscere che gli acquirenti furono edotti dei vizi del fabbricato e della necessità di lavori straordinari, che gli stessi acquirenti decisero di accollarsi, deducendone il costo dal prezzo dell’immobile, ch’era stato stabilito in misura minore proprio in considerazione di tale circostanza.

Così identificato il senso della censura, è facile rilevare che la ricorrente non denuncia alcun omesso esame di uno o più fatti, nel significato chiarito da questa Corte (Cass., S.U., n. 8053/2014), ma pretende, in sede di legittimità, di accreditare una valutazione delle prove diversa rispetto a quella fatta propria dalla Corte d’appello, che si assume fondata su una valutazione non appropriata delle deposizioni testimoniali, essendo invece corretta la “diversa lettura dei fatti” operata dal primo giudice.

Si dimentica però che “la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito” (Cass. n. 20553/2021).

Già nel vigore del testo precedente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si precisava che il disposto della norma “non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 9234/2006).

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

La violazione del criterio di riparto è ravvisata in ciò: a) gli attori avrebbero dovuto dimostrare che il prezzo pagato era eccessivo rispetto allo stato dell’immobile; b) mancava la prova della spesa sostenuta per rimuovere i vizi, in quanto erano stati prodotti solamente i criteri di ripartizione delle spese da sostenersi per il risanamento strutturale dell’edificio; c) non si teneva conto che le opere avrebbero aumentato il valore dell’immobile, il che giustificava una minore decurtazione dal prezzo rispetto a quella operata dalla Corte di merito. Il motivo è infondato. E’ in errore la ricorrente quando ritiene che la misura della riduzione dovrebbe corrispondere alla differenza di valore determinata dal vizio rispetto al valore obiettivo della cosa. Al contrario, poiché l’azione estimatoria tende a ristabilire il rapporto di corrispettività economica tra prestazione e controprestazione, in funzione dei vizi della cosa venduta e del prezzo pattuito, il compratore, che sceglie questo rimedio, ha diritto alla differenza di valore determinata dai vizi stessi, riferita non al valore obiettivo della cosa, ma al prezzo convenuto, (Cass. n. 2231/1966; n. 767/1957). A un attento esame, la censura riflette pur sempre l’assunto della ricorrente che il prezzo fu stabilito in quell’importo in considerazione della necessità dei lavori, essendo la circostanza nota all’acquirente: ciò che la corte d’appello, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, ha escluso.

In relazione al quantum della riduzione, questo è stato indicato dalla Corte d’appello “nella quota delle spese da essi pagare all’esito dei lavori per ripristinare la fruibilità dell’immobile nel suo complesso e pari all’importo documentato in atti di Euro 21.368,34”.

La censura, pertanto, sotto la veste della denuncia del criterio di riparto dell’onere della prova, investe piuttosto il convincimento del giudice di merito in ordine al raggiungimento della prova. In verità, con il motivo si allude al fatto che la prova sarebbe stata data solo in secondo grado; tuttavia, formulata in questi termini, la considerazione è del tutto irrilevante, in assenza di una specifica censura inerente alle supposte modalità di produzione del documento. Si deve aggiungere che, nella sentenza impugnata, la circostanza documentale è data per acquisita, non essendoci il benché minimo accenno a una produzione nuova operata nel grado.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1491 c.c..

La sentenza è censurata perché la Corte d’appello avrebbe dovuto negare l’operatività della garanzia, perché i vizi erano facilmente riconoscibili.

Il motivo è inammissibile. La corte d’appello non ha affatto affermato che la garanzia deve operare anche in presenza di vizi facilmente riconoscibili. Essa ha perentoriamente affermato che “i vizi in questione non erano quindi facilmente riconoscibili”. Ancora una volta, pertanto, sotto la veste della violazione di legge (Cass., S.U., n. 34476/2019; n. 5987/2021), è inammissibilmente oggetto di denuncia la valutazione operata dai giudice di merito circa la non riconoscibilità dei vizi (che costituisce un apprezzamento di fatto, come tale sottratto al sindacato di legittimità: Cass. n. 24731/2016; n. 5078/1983).

5. Il quinto motivo riguarda la liquidazione delle spese, che la Corte d’appello avrebbe dovuto compensare o comunque accogliere in misura inferiore, tenuto conto dal mancata riconoscimento, per carenza di prova, del danno morale e per il disagio abitativo.

Il motivo è inammissibile. E’ vero che l’accoglimento parziale della pretesa costituisce una situazione di soccombenza, idonea a giustificare la compensazione, totale o parziale, delle spese; resta fermo, però, che la relativa valutazione rimane comunque una valutazione discrezionale del giudice di merito. Insomma, la soccombenza parziale non porta con sé la necessità della compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, è rimesso, anche in questo caso, al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 18173/2008; n. 3405/1980), la cui valutazione è incensurabile in cassazione (Cass. n. 8623/2005; n. 20457/2011). Salvo la rilevanza della violazione dei limiti tariffari, che nella specie non è denunciata, è del pari incensurabile la liquidazione del quantum operata dai giudici di merito (Cass. n. 4782/2020; n. 6110/2021); si deve aggiungere che la Corte d’appello ha persino illustrato i criteri ai quali si è attenuta nella liquidazione, operata fra il minimo e il medio dello scaglione fino a Euro 26.000,00.

6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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