Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15169 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 11/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2247/2015 proposto da:

ICES SPA, in persona del rappresentante legale signora

D.P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso

lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI MATTIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE DATI giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PFC PROJECT FINANCING CONSULTING SRL IN LIQUIDAZIONE (già PFC SPA),

in persona del liquidatore Dott. M.P., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE SANTO 68, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO LETIZIA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SILVIA ZANCANELLA, MARIA EUGENIA LO BELLO

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 271/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 04/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.p.a. I.C.E.S. ha proposto ricorso per cassazione contro la P.F.C. Project Financial Consulting s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza del 4 settembre 2014, con cui la Corte d’Appello di Trento ha rigettato sia l’appello principale di essa ricorrente, sia quello incidentale dell’intimata (quest’ultimo per difetto di specificità dei motivi), avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Trento nel maggio del 2013.

1.1. Il giudizio era stato introdotto dalla ricorrente per ottenere dall’intimata il risarcimento di asseriti danni derivanti dalla mancata stipulazione di una convenzione con il Comune di Montevarchi, con cui, a completamente della gara vinta per ottenere una concessione di lavori pubblici per l’edificazione di un edificio destinato a scuola media, l’attrice qui ricorrente non aveva – a so dire – potuto stipulare la convenzione per la relativa gestione in conseguenza di insufficienze dei documenti predisposti dalla PCF, in esecuzione di un contratto intercorso fra le parti, per la prestazione da parte della PCF dell’assistenza necessaria per la partecipazione alla gara.

Nella costituzione della convenuta, il Tribunale, all’esito del deposito di documenti e dell’espletamento di una c.t.u., rigettava la domanda della ricorrente ed accoglieva, invece, parzialmente quella riconvenzionale svolta dalla convenuta per il pagamento della propria attività.

2. Al ricorso per cassazione, che propone cinque motivi, ha resistito l’intimata con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva in via preliminare che parte resistente ha depositato estratto di sentenza dichiarativa del fallimento della ricorrente, pronunciata in data 30 aprile 2015, cioè successivamente alla notificazione del ricorso, dal Tribunale di Lucca.

Tale produzione non determina alcuna conseguenza sul presente giudizio di cassazione, giusta il principio di diritto secondo cui: “In tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica della L. Fall., art. 43, per effetto del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 41, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge” (Cass. n. 21153 del 2010; successivamente: Cass. n. 14786 del 2011; n. 8685 del 2012; n. 17450 del 2013; in generale, sull’inapplicabilità dell’interruzione del processo al giudizio di legittimità si veda Cass. sez. un. n. 14385 del 2007).

2. In linea preliminare si rileva che il primo, il secondo ed il terzo motivo risultano inammissibili, in quanto si disinteressano della motivazione con cui la corte territoriale ha detto espressamente, sebbene lapidariamente, che ognuno di essi era irrispettoso dell’art. 342 c.p.c., pur senza nominare tale norma.

Questa motivazione è stata enunciata al punto 1) a pagina 12 della sentenza impugnata, dove si è scritto che “si dà preliminarmente atto che l’appello, per la maggior parte dei motivi, non risulta soddisfare tutti i requisiti per la sua ammissibilità richiesti dal codice di procedura civile sicchè non risultano nella sostanza ben individuati i passi di sentenza che si intendono censurare, i relativi motivi, e nemmeno la soluzione ritenuta appropriata con i relativi riferimenti normativi”.

Detta motivazione è stata seguita dall’esame dei motivi, ma la sua enunciazione, alla stregua di Cass. sez. un. n. 3840 del 2007, esauriva la potestas iudicandi della corte d’appello e rende inimpugnabile la ratio di merito. Poco importa che la censura di difetto di specificità sia stata spiegata in modo sommario dalla sentenza: essa andava impugnata mentre la ricorrente se n’è disinteressata.

I tre motivi per ciò solo sarebbero inammissibili, in quanto omettono di impugnare l’unica ratio che potevano impugnare.

2.1. Peraltro, avendo la corte territoriale esordito nella motivazione riferendosi alla “maggior parte dei motivi”, pur avendo poi chiaramente indicato in che cosa essi erano deficitari, ed avendo essa poi detto che “ad ogni modo, per completezza di motivazione, verranno di seguito esaminare le varie censure svolte da ICES”, il Collegio ritiene, nella considerazione che le parti possono essere state poste in una condizione di dubbio e tratte in equivoco, l’opportunità di svolgere sui motivi le considerazioni che seguono in via aggiuntiva.

3. Con il primo motivo di ricorso si deduce “motivazione apparente e incomprensibile in ordine alla parte della sentenza impugnata con il presente ricorso relativo al primo motivo di appello. Art. 360, nn. 4 e 5”.

Il motivo dedotto ai sensi del n. 4, ancorchè non la si indichi dovrebbe correlarsi alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

Senonchè, l’illustrazione del motivo si pone del tutto al di fuori della logica ribadita come propria della denuncia di violazione di tale norma dalle sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, siccome dimostra il fatto stesso che in essa si lamenta che la sentenza impugnata avrebbe motivato su “altro” rispetto a quanto era stato dedotto nell’ultimo periodo della pagina 17 e nella successiva pagina 18 della citazione d’appello. Questo motivare su “altro” non viene, peraltro, nemmeno identificato nè riproducendo direttamente il passo motivazionale che la sentenza impugnata reca quanto al primo motivo di appello nè riproducendolo indirettamente ed indicando la parte della sentenza in cui l’indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza.

Peraltro, se, supplendo inammissibilmente all’onere che doveva assolvere la ricorrente, cui competeva esattamene individuare la motivazione impugnata, quale destinataria della critica svolta con il motivo, si passasse a ricercare nella sentenza la motivazione sul primo motivo, vi si coglierebbe che il modo in cui ne ha riferito il motivo è del tutto parziale, atteso che la sentenza impugnata ha osservato che il motivo di appello non forniva “una chiara descrizione di quanto richiesto, in contrapposizione al passo della sentenza di primo grado che integrava la contraddizione colà denunciata” ed ha affermato, inoltre, che si era svolta una critica alla controparte e non alla sentenza.

La lettura del motivo di appello riprodotto nell’illustrazione, se ve ne fosse bisogno, lo confermerebbe.

Il presente motivo, in quanto dedotto ai sensi del n. 4 è, dunque, inammissibile.

Non senza che debba rilevarsi che dalla lettura di detto motivo di appello riesce confermata la valutazione di mancanza di specificità formulata nel ricordato punto 1) dalla sentenza impugnata.

Non v’è traccia, poi, di denuncia del vizio a sensi del n. 5, che avrebbe potuto essere dedotto solo nei limiti e nei modi indicati dalle citate SS.UU..

4. Con il secondo motivo è denunciato nuovamente ai sensi del n. 4 – senza evocare l’art. 132, n. 4 citato – e del n. 5 “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e motivazione meramente apparente in ordine alla parte della sentenza impugnata con il presente ricorso relativa al secondo motivo d appello”.

Anche tale motivo è inammissibile.

In questo caso non solo non si identifica chiaramente – se non con un del tutto generico ed inidoneo riferimento all’avere essa escluso la colpa di PCF per il rifiuto del Comune di Montevarchi di accettare la cessione del credito di ICES per il prezzo annuo di concessione – la motivazione apparente che sarebbe stata resa dalla corte territoriale, ma, in realtà, tra l’altro, omettendo il confronto pure con la non identificata motivazione da essa resa, si prospetta una ricostruzione alternativa e peraltro meramente assertoria e generica della vicenda, da cui si sarebbero dovute trarre conseguenze diverse da quelle tratte dalla sentenza impugnata.

Il motivo risulta così del tutto genero e, pertanto, inammissibile (Cass. n. 4741 del 2005) e nuovamente non denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 e nemmeno l’omesso esame di cui dell’art. 360, n. 5, nei termini indicati dalle Sezioni Unite.

4. Il terzo ed il quarto motivo recano denunce similari e con le solite modalità a proposito della decisione resa sul terzo e sul quarto motivo di appello e sono inammissibili per identiche ragioni.

5. Il quinto motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, “violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1453, 2230 e 2236 c.c.. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 74 e 82. Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 18. Manifesta e irriducibile contraddittorietà di motivazione”.

Esso non si preoccupa di criticare le specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, preferendo omettere di individuarla e svolgendo argomenti che nel prescindono.

Il motivo è inammissibile.

6. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alle resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro diecimila, oltre Euro duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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