Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15169 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29128/2014 proposto da:

S.S., rappresentato e difeso dagli Avv. De Murtas

Silvio e Marmo Valerio ed elettivamente domiciliato presso lo studio

del secondo in Roma, Via Salaria n. 280;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 264/5/14 della Commissione tributaria

Regionale Sardegna, sezione di Cagliari, depositata il 04/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella adunanza pubblica del

19/02/2020 dal Consigliere Dott. Pepe Stefano;

udite le conclusioni rassegnate dal P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica Dott. De Matteis Stanislao,

che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. De Murtas Silvio per il

ricorrente e dell’Avv. Delbono Laura per la resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con avviso di accertamento n. CA0600394/2007 notificato il 25/10/2007, l’Agenzia del Territorio di Cagliari rettificava il classamento dell’immobile di proprietà di S.S. sito nel Comune di Villasimius, indicandone la rendita di Euro 795,34, rispetto a quella proposta in sede di procedimento DOCFA di Euro 415,75.

2. Il contribuente impugnava l’avviso sul presupposto che il suindicato classamento era avvenuto in assenza di specifica motivazione e senza l’indicazione degli elementi in base ai quali si era pervenuti alla determinazione della rendita attribuita.

3. LA CTR, con sentenza n. 264/5/14, confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, rigettava il ricorso ritenendo assolto l’onere motivazionale.

4. Nei confronti della suddetta pronuncia S.S. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

5. L’Agenzia dell’entrate ha depositato controricorso.

6. In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè degli artt. 3,24 e 97 Cost, per avere la CTR ritenuto soddisfatto l’obbligo di motivazione del provvedimento di classificazione mediante la semplice indicazione della consistenza della categoria e della classe accertati.

Il ricorrente lamenta che il provvedimento di riclassificazione di un immobile deve essere munito di idonea motivazione al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente essendo onere dell’Amministrazione, anche in ragione del principio di leale collaborazione, quello di dare corso ad un preventivo contraddittorio con il contribuente e, comunque, indicare gli elementi di fatto e di diritto sulla cui base ritiene di disattendere l’indicazione fornita dal ricorrente in sede di classamento dell’immobile (A/2) e attribuirne una diversa (A/7).

2. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la CTR erroneamente affermato che l’attribuzione da parte dell’Amministrazione della Categoria A/7 non era stata oggetto di contestazione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la statuizione contenente la condanna alle spese nei suoi confronti anche in ragione della sua errata determinazione in rapporto all’oggetto del giudizio e alle attività processuali compiute; liquidazione formulata anche in modo del tutto generico e, quindi, inidonea a consentirne il relativo vaglio di legittimità.

4. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la indicata procedura, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio “non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.

Tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto.

Ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014, n. 21532 del 2013). Nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente, non disattesi dall’Ufficio, risultano immutati, di talchè la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati. In simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la DOCFA non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati.

4.1 Nel caso di specie l’Amministrazione, a seguito della denuncia di variazione DOCFA avanzata dal contribuente conseguente a lavori di ampliamento dell’immobile di cui è giudizio, attribuiva a quest’ultimo la categoria A7/ rispetto alla A/2, classe 5 proposta, in ragione della natura “villino” del bene. Orbene, l’avviso di accertamento impugnato non si fonda su diversi elementi fattuali rispetto a quelli forniti dallo Stavolta ma su una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico del bene, il quale, per come risulta dalla stessa sentenza della CTR risulta posto a centro metri dal mare in zona a forte vocazione turistica e posto su due piani.

4.2 II carattere partecipativo della DOCFA esclude, poi, la necessità di sopralluogo ovvero contraddittorio preventivo.

5. Il secondo motivo non è fondato.

Con tale censura il contribuente rileva che la CTR avrebbe erroneamente affermato che l’attribuzione della categoria A/7 da parte l’Amministrazione non aveva formato oggetto di specifico motivo di appello e, dunque, risultava non contestata.

Sul punto si osserva che, a prescindere dalla avvenuta contestazione della attribuzione della categoria A/7, la sentenza impugnata si fonda anche sul rilievo che a prescindere da tale circostanza “la attribuzione della categoria a/7 è corretta poichè si tratta proprio di un villino come emerge dalle stesse fotografie prodotte dal ricorrente, dalla planimetria e dalla tipologia della abitazione”, per come sopra descritta. Risulta, quindi, oggetto di esame da parte del giudice del merito la categoria attribuita all’immobile della ricorrente; esame che ha condotto il giudicante a ritenere corretta l’indicazione dell’Ufficio riportata nell’avviso di accertamento fondata proprio sugli elementi forniti dal contribuente.

6. Il terzo motivo è inammissibile.

Con esso il contribuente lamenta l’eccessività delle spese liquidate per il giudizio di appello (Euro 1500) anche a fronte di quelle liquidate in primo grado (Euro 300).

La censura risulta del tutto priva di argomentazioni specifiche, astenendosi il ricorrente dall’indicare come e perchè le spese sarebbero state liquidate in modo eccessivo. In particolare (v. Cass. n. 5683 del 2016 ed altre) il contribuente si astiene sia da qualsiasi riferimento alla tariffa che sarebbe stata pertinente, sia da qualsiasi attività enunciativa dell’eccessività della liquidazione in riferimento alla complessiva attività processuale. Ne segue l’inammissibilità del motivo di ricorso alla stregua del principio di diritto secondo cui “In tema di spese processuali, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale per l’importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate, atteso che, in applicazione del principio di autosufficienza, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violate” (ex multis, Cass. ord. n. 18190 del 2015).

7. Il ricorso va pertanto rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna parte soccombente al pagamento a favore dell’Agenzia dell’Entrate delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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