Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15165 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1449/2013 R.G. proposto da:

Azienda Agricola F.lli P.d.P. e C. S.s., oltre che dai

soci P.P. e P.N., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Carlo Mirabello n. 25, presso lo Studio dell’Avv. Maria

Francesca De Pasqua, rappresentati e difesi dall’Avv. Angela Aliani,

giusta delega a margine del controricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 60/9/12, depositata il 24 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Bruschetta Ernestino Luigi;

udito l’Avv. dello Stato De Bonis Eugenio, per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’impugnata sentenza, in riforma della prima decisione, la Regionale della Puglia respingeva il ricorso promosso dalla Azienda Agricola F.lli P.d.P. e C. S.s., oltre che dai suoi soci P.P. e P.N., avverso un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione recuperava IVA 2005; IVA che dall’ufficio veniva ritenuta indebitamente detratta, in quanto relativa a operazioni di compravendita considerate oggettivamente inesistenti.

2. La Regionale, in particolare, reputava provato che la Società contribuente aveva simulato la vendita, in realtà mai avvenuta, di macchinari agricoli usati di cui era proprietaria, a Generaltractor S.r.l., con accredito del prezzo in un conto bancario di cui Genercom Italia S.r.l. aveva la disponibilità; secondo la Regionale, Generaltractor S.r.l. aveva poi simulato la vendita degli stessi macchinari a Genercredit S.p.A., che li aveva successivamente di nuovo fittiziamente ceduti, come se fossero nuovi, alla Società contribuente, la quale rilasciava cambiali, riuscendo quindi, in questo modo illecito, ad usufruire dei benefici previsti dalla legge Sabatini; cambiali, stabiliva ancora la Regionale, che venivano in seguito scontate da Genercredit S.p.A., sempre con accredito delle somme sul conto bancario di Genercom Italia S.p.A.; somme che, alla fine, venivano restituite alla Società contribuente “al netto delle competenze per spese istruttorie”; la Regionale, dal suddetto accertamento in fatto, faceva discendere, in diritto, cioè dall’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, che contiene il divieto di detrazione nel caso di operazioni inesistenti, la correttezza del recupero IVA 2005, in quanto indebitamente detratta in relazione alle fatture di vendita dei macchinari emesse da Genercredit S.p.A. nei confronti della Società contribuente.

3. La contribuente ricorreva per sette motivi, anche illustrati da memoria, mentre l’ufficio resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti deducevano che l’operazione, seppure rivolta a conseguire in modo illecito le agevolazioni previste dalla legge Sabatini, non era oggettivamente inesistente, tanto che la Società contribuente aveva pagato l’IVA in rivalsa; IVA che doveva pertanto ritenersi legittimamente detratta, non essendo derivato dalla seppure illecita, ma reale, operazione, alcun danno per il fisco; e che, per queste ragioni, erroneamente la Regionale non aveva riconosciuto la detrazione d’imposta, con ciò violando al citato D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21.

1.1. Con il secondo motivo, oltre che con il terzo motivo, entrambi formulati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i contribuenti rimproveravano alla Regionale di non aver sufficientemente spiegato le ragioni sulla base delle quali era addivenuta all’accertamento dell’oggettiva inesistenza delle operazioni; e, questo, sia sotto il profilo della mancanza di prove fornite dall’ufficio, sia sotto il concorrente profilo della mancata considerazione delle prove documentali offerte dalla contribuente, come ad esempio sarebbero stati i contratti scritti e le cambiali effettivamente rilasciate; con il quarto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti censuravano la Regionale per aver erroneamente posto a loro carico l’onere della prova dell’esistenza delle operazioni, con la conseguente violazione dell’art. 2697 c.c., atteso che sarebbe spettato all’ufficio dimostrare l’oggettiva inesistenza delle stesse.

1.2. I motivi, che pare opportuno trattare congiuntamente per economia processuale, non sono fondati; va da sè, innanzitutto, che nessun onere della prova è stato invertito, avendo la Regionale semplicemente reputato di aver trovato in atti elementi di prova sufficienti a dar dimostrazione dell’oggettiva inesistenza delle operazioni; la Regionale, per meglio chiarire, non ha fatto discendere la soccombenza della contribuente dalla mancata dimostrazione della esistenza delle operazioni, applicando in modo erroneo la regola di giudizio contenuta nell’art. 2697 c.c.; la Regionale ha invece deciso la quaestio fatti giudicando provata l’oggettiva inesistenza delle operazioni, in particolare accertando che le stesse erano soltanto cartolari (Cass. sez. II n. 26366 del 2017; Cass. sez. III n. 5009 del 2017); nel merito, la Regionale ha spiegato in modo sufficiente e logico il proprio convincimento, in particolare ponendo in evidenza che non di reali compravendite si trattava, come dimostrava il pacifico intento di pervenire, con le stesse, ad ottenere un illecito finanziamento ex lege Sabatini; tanto che i macchinari che la Società contribuente aveva venduto, erano finiti per tornare in sua proprietà; e ricavando, da tutto quanto sopra, in modo non incongruo, la prova presuntiva del carattere esclusivamente formale delle operazioni; trattasi di una sufficienza e logicità che non possono essere in questa sede sindacate, ciò che la contribuente ha invece in realtà inteso chiedere, invocando un differente apprezzamento delle prove e una differente selezione delle stesse (Cass. sez. III n. 5009 del 2017; Cass. sez. VI n. 21054 del 2013); infine, deve ricordarsi che, trattandosi di operazioni di compravendita oggettivamente inesistenti, quindi mai in effetti realizzatesi, in quanto avvenute soltanto sulla carta, la detrazione IVA è stata correttamente negata in applicazione del citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 (Cass. sez. VI n. 4344 del 2019; Cass. sez. VI n. 12111 del 2015).

2. Con il quinto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i contribuenti addebitavano alla Regionale di aver omesso ogni accertamento circa la loro buona fede, con la conseguente violazione della Dir. CE 28 novembre 2006 n. 112, oltrechè dell’art. 2697 c.c., essendo a carico dell’amministrazione la prova della consapevolezza della frode; con il sesto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il motivo precedente era declinato, in via subordinata, anche come vizio motivazionale.

2.1. I due motivi, che conviene ancora esaminare assieme, sono infondati, bastando a riguardo richiamare la giurisprudenza della Corte che in più occasioni ha precisato che un problema di buona fede può porsi soltanto con riferimento alle operazioni soggettivamente inesistenti, atteso che la oggettiva inesistenza dell’operazione non permette in modo assoluto la detrazione, perchè nessun costo può essere stato sostenuto per un’operazione, quando manchi l’operazione stessa (Cass. sez. trib. n. 20054 del 2014; Cass. sez. trib. n. 24426 del 2013).

3. Con il settimo motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i contribuenti rimproveravano alla Regionale di non aver sufficientemente spiegato il rigetto della eccezione di difetto di motivazione dell’avviso; in particolare, era questo nella sostanza che deducevano i contribuenti, la Regionale non avrebbe dato risposta all’obbiezione per cui nella motivazione dell’avviso non erano stati indicati elementi di prova certi circa l’oggettiva inesistenza delle operazioni.

3.1. Il motivo è inammissibile, trattandosi in realtà di una questione di diritto, mal posta come vizio motivazionale (Cass. sez. VI-III n. 14476 del 2919); Cass. sez. trib. n. 5123 del 2012); e questo perchè deve tenersi distinta la motivazione dell’accertamento, che deve circoscrivere la materia del contendere garantendo il diritto di difesa, dalla diversa questione della allegazione di idonee prove della ripresa fiscale, che costituisce invece materia del contenzioso processuale (Cass. sez. trib. n. 9810 del 2014; Cass. sez. trib. n. 4306 del 2010).

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i contribuenti, in solido tra loro, a rimborsare all’ufficio le spese processuali, queste liquidate in Euro 5.200,00, a titolo di compenso, oltre a pese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 16 luglio 2020

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