Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15165 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9671-2009 proposto da:

GRUPPO EUROCONSULT, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio

dell’avvocato BERTOLONE BIAGIO, rappresentata e difesa dall’avvocato

SCUDERI MATTEO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36/A, presso lo studio dell’avvocato PISANI

FABIO, rappresentata e difesa dagli avvocati CALVO GIUSEPPE, ANTONIO

CALVO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 246/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/04/2008 R.G.N. 849/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato RIZZINO ROSARIO per delega SCUDERI MATTEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Catania, riformando m parte la sentenza di primo grado, dichiarava la inefficacia del licenziamento intimato, in data 11 dicembre 1992, oralmente a G.A. dal Gruppo Euroconsult con condanna di quest’ultimo al pagamento, in favore della prima, delle retribuzioni maturate dalla predetta data sino a quella della stessa sentenza di appello.

Riteneva, preliminarmente, la Corte territoriale di dover confermare la sentenza di primo grado in punto di ritenuta inefficacia del licenziamento in quanto intimato oralmente non potendo considerarsi quale comunicazione scritta, ex lege n. 604 del 1966, la consegna a mano della comunicazione alla sezione Circoscrizionale dell’ULPMO perchè risultava sbarrata, quale causa di cessazione del rapporto di lavoro, la casella dimissioni e non quella di licenziamento. Di qui, la menzionata Corte, faceva discendere l’ultroneità della prova testimoniale articolata in proposito dal Gruppo Euroconsult. Tanto premesso, la Corte del merito rimarcava che la sentenza di primo grado non poteva, invece, essere confermata in relazione alla limitazione del risarcimento del danno a tre mensilità dell’ultima retribuzione perchè trattandosi di licenziamento orale e, quindi, inefficace, la conseguenza era, in base all’orientamento anche della Cassazione (sent. n. 11670 del 2006) il risarcimento dei danni da determinarsi secondo le regole generali sull’inadempimento delle obbligazioni contrattuali. Nè condivideva, la Corte di Catania, la prospettazione del Gruppo Euroconsult secondo il quale l’inefficacia sarebbe stata interrotta dalla successiva comunicazione di licenziamento avvenuta in data 11 aprile 1996. Ciò perchè, a parere dei giudici di appello, non vi era stato riscontro da parte del datore di lavoro alla richiesta dei motivi inoltrata dalla G..

Affermava, infine, la Corte territoriale che la deduzione dell’aliunde perceptum era generica come lo era la stessa richiesta di esibizione dei modelli della dichiarazione dei redditi prodotti dalla lavoratrice.

Avverso questa sentenza il Gruppo Euroconsult ricorre in cassazione sulla base di cinque censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente rileva la Corte che, conformemente a quanto eccepito dalla parte ricorrente, va ritenuta l’inammissibilità della costituzione della resistente.

Deve, infatti, ritenersi inammissibile l’atto trasmesso a distanza mezzo telefax dall’avvocato difensore ad altro avvocato domiciliatario al quale non sia stata conferita procura ex art. 83 c.p.c. non potendo, in questo caso, considerarsi la copia fotoriprodotta – da quest’ultimo ricevuta e depositata in giudizio- conforme all’originale, stante il difetto del requisito, richiesto dalla L. n. 183 del 1993, art. 1, comma 1, lett. a), (recante “Norme in materia di utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione per la trasmissione degli atti relativi a procedimenti giurisdizionali”), della ricezione dell’atto da parte di. avvocato cui sia stata conferita procura ex art. 83 c.p.c. (V, in tal senso Cass. 28 giugno 2004 n. 1195).

Nella specie il controricorso teletrasmesso dall’avvocato munito di procura risulta ricevuto dall’avvocato domiciliatario al quale però non è stata conferita procura ex art. 83 c.p.c. cit..

Tanto premesso osserva, innanzitutto, il Collegio che i motivi di ricorso con i quali si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione sono solo in parte ammissibili.

Invero le censure non sono esaminabili in relazione ai dedotti vizi di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770) – vi è, di contro, il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063)che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto( cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).

Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali alla violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Neppure, d’altro canto, è consentito a questa Corte di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Pertanto in difetto della relativa specificazione le denunce devono considerarsi per come limitate alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

Con il primo motivo del ricorso il Gruppo Euroconsult, deducendo violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, commi 1 e 3 nonchè vizio di motivazione, pone ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: “se nel licenziamento individuale resti adempiuto l’onere della comunicazione in forma scritta, previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 2 con la consegna al dipendente licenziato, da parte del datore di lavoro, di copia della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro indirizzata all’Ufficio del lavoro, da ritenersi idoneo atto di recesso ed intelligibile volontà risolutiva, e se l’efficacia di tale atto non resti inficiata dalla erronea indicazione della causale del rapporto medesimo”.

La censura è infondata.

Invero, la Corte del merito ha, interpretando la predetta comunicazione, ritenuto che questa non contenesse la manifestazione di una volontà datoriale di recedere dal rapporto di lavoro.

Orbene è giurisprudenza di questa Suprema Corte che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri Legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso,sempre secondo questa Corte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (V. per tutte Cass 22 febbraio 2007 n. 4178).

Nè, all’uopo, è sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante. (Cfr. per tutte Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772).

Nella specie, di contro, la critica mossa all’interpretazione della comunicazione in questione, per come articolata è generica in quanto difetta, e la allegazione della violazione dei canoni interpretativi, e la precisa indicazione, in relazione al difetto di motivazione, delle lacune argomentative. Vi è la sentenza impugnata presente delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune e la censura ad essa non può sostanziarsi nella mera deduzione di una differente (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella assunta dal giudicante (Cfr. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178 cit.).

Nè può sottacersi che la indicazione di specifici canoni di ermeneutica violati è necessaria a fronte degli atti unilaterali recettizi (come il licenziamento). Invero in relazione a questi ultimi non deve ricercarsi, come avviene per gli. accordi, la “comune intenzione delle parti” perchè, come sostenuto anche da autorevole dottrina,deve in questi atti privilegiarsi il senso letterale dello stesso con l’effetto che, nel caso di conflitto fra destinatario, il quale fonda la sua pretesa sul senso letterale dell’atto unilaterale, ed autore dell’atto stesso, invocante la propria discorde intenzione, la prevalenza deve essere attribuita al senso letterale.

Del resto, e vale la pena di sottolinearlo, il quesito formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. dal ricorrente prescinde del tutto dal riferimento alla violazione dei canoni interpretativi ed al difetto di motivazione nel senso innanzi precisato.

Con la seconda censura il Gruppo Euroconsult, denunciando violazione, sotto altro profilo, della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, commi 1, 2 e 3, nonchè vizio di motivazione, pone ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: “se nel licenziamento individuale la mancata comunicazione dei motivo, nel termine fissato dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2 non determini l’inefficacia del licenziamento qualora tali motivi risultassero già a conoscenza del dipendente al momento della sua richiesta”.

La critica non è esaminabile in questa sede.

Infatti è giurisprudenza consolidata di questa Corte che qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inanimissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Nel caso in esame la questione, di cui alla censura in esame (secondo la quale le ragioni del licenziamento erano già conosciute dalla lavoratrice per come indicate nell’atto di appello relativo a precedente giudizio), non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del presente giudizio ha dedotto la questione ed in quali termini.

Conseguentemente la censura in discussione è inammissibile.

Nè può sottacersi che anche in questo caso il quesito posto ex art. 366 bis c.p.c. è generico perchè non vi è alcun riferimento alla concreta fattispecie in base alla quale si sarebbe dovuto ritenere che i motivi del licenziamento erano già a conoscenza della lavoratrice.

Con la terza critica il Gruppo Euroconsult deduce vizio di motivazione in ordine alla non ammessa prova per testi relativa alla consegna della comunicazione del licenziamento ed all’esistenza del giustificato motivo del licenziamento.

La critica non è accoglibile.

Difatti il ricorrente ancorchè lamenti la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti, omette del tutto di riportare nel ricorso per cassazione le deduzioni di prove che asserisce disattese.

E’ ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che il ricorrente per cassazione il quale denunci vizi della sentenza correlati al rifiuto del giudice di merito di dare ingresso ai mezzi istruttori ritualmente introdotti oppure l’omessa valutazione da parte dello stesso di una certa deposizione, ha l’onere da un lato di dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico tra l’errore addebitato al giudice e la pronuncia emessa in concreto che senza quell’errore sarebbe stata diversa, al fine di consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove e, dall’altro, di indicare specificamente nel ricorso le deduzioni di prova che asserisce disattese. Tutto ciò per consentire al giudice di legittimità la verifica, sulla sola base di tale atto di impugnazione e senza necessità di inammissibili indagini integrative, della validità e della decisività delle disattese deduzioni e senza che stante il principio cosiddetto di “autosufficienza ” del ricorso per cassazione a tal fine possa svolgere alcuna funzione sostitutiva il riferimento, per “relationem”, ad altri atti o scritti difensivi presenti nei precedenti gradi di giudizio (V. per tutte Cass. 11 giugno 2001 n. 7852 e Cass. 20 gennaio 2006 n. 1113 che ha appunto ritenuto necessario che il ricorrente riporti nel ricorso i capitoli di prova non ammessi).

Nella specie difetta la specificazione delle deduzioni di prova (capitoli di prova) che si asserisce disattesa.

A tanto aggiungasi che la Corte del merito, non avendo ritenuta la comunicazione all’ULPMO idonea a manifestare una volontà datoriale di licenziare la G., ha coerentemente ritenuto ultronea la prova diretta a dimostrare l’avvenuta consegna di tale comunicazione alla lavoratrice. Ed altrettanto coerentemente ha ritenuta superflua la prova avente ad oggetto la ricorrenza di un ragione giustificatrice dal licenziamento essendo questo nullo perchè intimato oralmente.

Con il quarto motivo il Gruppo Euroconsult, allegando violazione degli artt. 1206 e 1217 c.c. nonchè art. 80 disp. att. c.c. e vizio di motivazione, elabora il seguente quesito: se nel caso di licenziamenti individuali inefficaci per mancanza della forma scritta, e sottratti al regime di tutela reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 incombe all’attore l’onere di allegare e provare il danno conseguito all’interruzione del rapporto e che tale danno equivale alle retribuzioni perdute a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, sempre che queste ultime siano state offerte dal lavoratore medesimo ed il datore le abbia illegittimamente rifiutate, configurandosi la costituzione in mora del datore di lavoro come elemento costitutivo della domanda risarcitoria”.

La censura è fondata.

E’ difatti giurisprudenza consolidata di questa Corte che il licenziamento affetto da uno dei vizi formali di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2 e succ. mod. non produce effetti sulla continuità del rapporto, che deve pertanto considerarsi mai interrotto. Per i rapporti non rientranti nell’area della tutela reale, la conseguenza di. tale continuità consiste nel fatto che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, determinabile secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche facendo eventualmente riferimento alle retribuzioni perdute ma sempre tenendo presente che la natura sinallagmatica del rapporto richiede ai fini dell’adempimento dell’obbligazione retributiva che siano messe a disposizione le “operae” e, cioè, l’offerta, della prestazione lavorativa (Cfr. ex plurimus Cass. 30 agosto 2010 n. 18844 e Cass. S.UN. 27 luglio 199 n. 508).

Nella specie, invece, la Corte del merito, nel quantificare il risarcimento del danno, non ha considerato in alcuno modo la ricorrenza o meno della offerta della prestazione lavorativa incorrendo in tal modo nella denunciata violazione di legge.

Con l’ultima critica il Gruppo Euroconsult, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 210 epe e vizio di motivazione pone il seguente quesito “se, ai fini della prova dello aliunde perceptum siano ammissibili le istanze istruttorie formulate dal datore di lavoro per ottenere l’ordine di esibizione delle dichiarazioni dei redditi e di ogni altra documentazione (libretti, buste paga, modelli 101, modello CUD) nonchè l’ordine di acquisire informazioni presso l’INPS e l’Ufficio di collocamento, utili a dimostrare eventuali rapporti di lavoro reperiti nel tempo dal dipendente ed i corrispettivi percepiti, qualora tali informazioni non siano aliunde acquisitali per il datore di lavoro”.

La censura, alla stregua della elaborazione di questa Corte, è infondata.

E’ giurisprudenza oramai consolidata della Cassazione che il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di esibizione proposta al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte (nella specie, buste paga del lavoratore relative a rapporto con un terzo) non è sindacabile in Cassazione, poichè, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la salutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione con la conseguenza che il mancato esercizio di tale potere non è sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (per tutte Cass. 23 febbraio 2010 n. 4375 e Cass. 16 ottobre 2011 n. 23120 quest’ultima con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1).

Sulla base delle esposte considerazioni il quarto motivo del ricorso va accolto e gli altri motivi vanno rigettati.

Conseguentemente la sentenza impugnata va, in relazione al motivo accolto, cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri.

Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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