Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15163 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. I, 31/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 31/05/2021), n.15163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7511/2019 proposto da:

Reti Televisive Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, e T.F., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Cicerone n. 60, presso lo studio dell’avvocato Previti Stefano,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Lepri Fabio,

Previti Carla, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.P., M.D., M.M., elettivamente

domiciliati in Roma, Viale dei Parioli n. 77, presso lo studio

dell’avvocato Squillante Iacopo, che li rappresenta e difende,

giuste procure in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

M.C.J.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5517/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/03/2021 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 6 settembre 2018, rigettava – per quanto ancora interessa – il gravame avverso la sentenza impugnata che aveva condannato, in solido, RTI Reti Televisive Italiane, C.J.M. e T.F., quest’ultimo quale autore del servizio giornalistico, al risarcimento del danno non patrimoniale patito da P., M. e M.D., rispettivamente vedovo e figli di F.A. della T., assassinata da ignoti il 10 luglio 1991 (cd. “delitto dell’Olgiata”), perchè nel corso del TG5 del 10 agosto 2007, edizione serale, erano state diffuse immagini raccapriccianti del cadavere seviziato della loro congiunta.

Avverso questa sentenza RTI Reti Televisive Italiane e T.F. propongono ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, resistiti da P., M. e M.D. con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., artt. 115,116 e 163 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, per avere ritenuto provato il danno non patrimoniale in base a presunzioni semplici inconferenti, non avendo gli attori provato l’esistenza di uno stretto legame familiare tra la vittima e gli eredi.

Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 163 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, per avere ritenuto provato il danno in base a presunzioni semplici e ad allegazioni tardive degli interessati.

Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere ritenuto non contestate le allegazioni degli attori nel giudizio.

Il quarto motivo denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo la Corte di merito errato a ritenere allegati e provati i danni non patrimoniali lamentati.

Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2059 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere errato a riconoscere il risarcimento di danni non patrimoniali non allegati nè provati neppure in via presuntiva o indiziaria.

Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere errato a confermare la valutazione equitativa del danno non patrimoniale operata dal giudice di primo grado.

I predetti motivi, intrinsecamente connessi e ampiamente ripetitivi, sono inammissibili, risolvendosi tutti – benchè prospettati in termini di violazione di legge – nella contestazione di incensurabili apprezzamenti operati dai giudici di merito dei fatti e delle risultanze probatorie, nel tentativo improprio di ottenerne una diversa valutazione e, in definitiva, un diverso esito decisorio.

Con motivazione che sfugge al sindacato di legittimità, la corte territoriale, condividendo il giudizio del tribunale, ha osservato che gli attori avevano “allegato e documentato nel corso del giudizio di primo grado non solo la sussistenza dello stretto legame familiare tra la vittima e i suoi eredi, ma anche le loro sofferenze durate negli anni, frutto anche delle ripetute azioni legali intraprese necessariamente per la tutela della dignità della loro amata congiunta, la impossibilità di dimenticare gli effetti non solo dell’efferato delitto ma anche delle offese della dignità della predetta, più volte lesa dalle pubblicazioni delle crude immagini del suo corpo martoriato. E dunque, correttamente il Tribunale di Roma ha proceduto alla liquidazione del danno in via equitativa, riconoscendo una somma complessiva più che congrua” (quantificata in Euro 12000,00 per ciascuno, oltre accessori).

A proposito dell’asserita mancanza di prova dello stretto legame familiare tra la vittima e i suoi eredi, che renderebbe ingiustificata la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, è noto che l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando che la vittima ed il superstite non convivessero, nè che fossero distanti, essendo onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra foro indifferenti o in odio e che, di conseguenza, la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta ai secondi (ex plurimis, Cass. n. 3767 e 29784 del 2018).

Incensurabile è anche la liquidazione, operata in via necessariamente equitativa, del danno non patrimoniale, che la ricorrente ha contestato nel tentativo improprio di ottenere una riduzione dell’importo riconosciuto in favore degli attori nel giudizio.

Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

 

 

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