Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15161 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15161 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA
sul ricorso 26112-2009 proposto da:

P°1
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo
STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
i.

2015

dall’avvocato SALVATORE TRIFIR0′, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

1944
contro

MELOSU REMIGIO C.F. MLSRMG62M11H501I, elettivamente
domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88,

Data pubblicazione: 20/07/2015

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ARILLI,
rappresentato e difeso dagli avvocati SILVIA ZAPPOLI,
GIANCARLO FERRARA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 788/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/05/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato GIUA LORENZO per delega verbale
TRIFIRO’ SALVATORE;
udito l’Avvocato ARILLI GIOVANNI per delega verbale
FERRARA GIANCARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del primo e del terzo motivo,
accoglimento del secondo motivo.

di MILANO, depositata il 20/06/2008 R.G.N. 152/2007;

R.G 26112/2009

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Como,
con una prima sentenza non definitiva del 20/6/2008, ha annullato le dimissioni
rassegnate in data 10/12/2002 da Melosu Remigio, dipendente di Poste Italiane
assunto in base alla legge n 482/1968, con conseguente diritto al ripristino del
rapporto ed alla retribuzione a decorrere dall’11/3/2005 ( data della notifica del

condannato Poste a pagare € 21.080,00 a titolo di risarcimento del danno
biologico ed esistenziale.
La Corte ha riferito che con lettera del 19/6/2002 il Melosu aveva ammesso di
aver commesso un gravissimo errore essendosi impossessato di un’eccedenza di
cassa di € 23,78 ; che il 21/6 Poste aveva presentato la denuncia alla Procura della
Repubblica e che cinque mesi dopo Poste aveva contestato al lavoratore il fatto
aprendo il procedimento disciplinare.
La Corte d’appello ha rilevato che il Melosu, prima del completamento del
procedimento disciplinare , aveva rassegnato le dimissioni a causa di una grave
situazione di conflittualità nell’ambito dei rapporti interpersonali nonché per i
continui distacchi che avevano compromesso lo stato di salute del lavoratore.
Secondo la Corte vi erano sufficienti elementi ( ritardo nell’inizio del
procedimento disciplinare, numerosi distacchi non giustificati, clima aziendale in
cui si parlava di licenziamento ) per ritenere il comportamento dell’azienda
intimidatorio e ingiusto idoneo a dar luogo ad una situazione oggettiva di
coazione psicologica tale da indurre il lavoratore alle dimissioni.
Circa la determinazione del danno ulteriore oltre alle retribuzioni perse, ha
affermato la sussistenza di un invalidità temporanea assoluta accertata dal ctu di
sei mesi quantificata in € 1.080,00 oltre interessi dal 18/1/2006. Ha affermato ,
inoltre, la sussistenza , per un periodo di circa due anni dalle dimissioni alla
sentenza penale di assoluzione, di un danno all’immagine, alla vita di relazione o
comunque alla lesione alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel
luogo di lavoro ( cd danno esistenziale)quantificato in € 20.000,00 . Con la
sentenza definitiva ha, quindi condannato Poste a pagare l’ulteriore complessiva
somma di € 21.080,00

ricorso) .Con successiva sentenza definitiva del 20/11/2008 la Corte territoriale ha

Avverso le due sentenze definitiva e non definitiva ricorre Poste con 3 motivi
ulteriormente illustrati con memoria ex art 378 cpc . Resiste il lavoratore con
controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2697 c. e. e
degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione. Rileva che mancava
totalmente la prova della sussistenza della violenza morale compiuta da Poste e
subita dal lavoratore ;che infatti le dimissioni erano intervenute nel dicembre 2002

assistito da un legale e l’impugnazione delle stesse era di due anni successiva; che
il ripetuto distacco del lavoratore sino al giorno delle dimissioni fu adottato in
applicazione dell’articolo 52, punto quattro, C.C.N.L. 2001 e che il giudice era
pervenuto ad affermare la sussistenza della violenza morale in assenza di qualsiasi
prova.
2) Con il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 1206, 1207, 1217,
1219,2094,2099, 2697 codice civile nonché dell’articolo 18 statuto dei lavoratori.
Rileva che per il principio di corrispettività della prestazione il lavoratore a
seguito dell’annullamento delle dimissioni aveva diritto al pagamento delle
retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio.
3) Con il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 2697 codice civile e degli
articoli 115 e 116 cpc nonché vizio di motivazione. Lamenta la mancanza di
qualsiasi prova circa il risarcimento del danno sia biologico che esistenzialeIl primo ed il terzo motivo sono infondati . Va accolto il secondo motivo.
Circa la sussistenza della violenza morale esercitata dai superiori del lavoratore
idonea ad indurlo a dare le dimissioni ,la Corte territoriale, con la sentenza non
definitiva, ha esposto i fatti che secondo il collegio erano idonei ad integrare gli
elementi costitutivi della violenza morale rilevante ai fini di cui all’ari 1415 cc . In
particolare ha richiamato il notevole lasso di tempo intercorso tra il verificarsi dei
fatti immediatamente dichiarati per iscritto dal Melosu al suo superiore a cui
aveva fatto seguito la denuncia penale di Poste , e la contestazione disciplinare
effettuate circa 5 mesi dopo sebbene non fossero necessari ulteriori accertamenti.
La Corte ha, poi, rilevato che nei suddetti cinque mesi Poste aveva disposto ben
20 distacchi del lavoratore presso 8 uffici postali diversi , comunicati con fax la
sera prima comportanti il trasferimento con automezzo , e senza che fosse fornita

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in assenza di alcun provvedimento disciplinare ed allorquando il lavoratore era già

la prova della necessità degli stessi , né che il fatto avrebbe potuto giustificare
questo vorticoso cambio di uffici . Infine la Corte ha riferito della testimonianza
della madre del ricorrente alla quale il vice direttore di Como le aveva detto che al
figlio conveniva dare le dimissioni per mantenere la fedina penale pulita ; della
testimonianze del collega Stabile , secondo cui sul luogo di lavoro gli
consigliavano di dimettersi , e infine del sindacalista Fasciana che aveva
consigliato al Melosu di trovarsi un avvocato.
La Corte ha quindi sottolineato che la lunga attesa nella contestazione

l’adozione di un comportamento che rendeva ingiustificatamente onerosa la
prestazione in un soggetto invalido ; il clima aziendale in cui si parlava in modo
ricorrente di licenziamento e di possibili dimissioni a fronte di un fatto che non
avrebbe potuto portare al licenziamento , attribuivano alla condotta dell’azienda
carattere intimidatorio , oggettivamente ingiusto tale da costituire una coazione
psicologica ed indurre il lavoratore alle dimissioni .
La Corte d’Appello ha valutato correttamente il comportamento delle parti con
giudizio immune da vizi che investendo una questione di merito sfuggono al
I

l

sindacato della Cassazione.
Il ricorrente si limita a proporre una diversa valutazione dei fatti formulando in
definitiva una richiesta di duplicazione del giudizio di merito ,senza evidenziare
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata o lacune così gravi
da risultare detta motivazione sostanzialmente incomprensibile o equivoca.
Costituisce principio consolidato che “Il ricorso per cassazione conferisce al
giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni
svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,
dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione,
insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi

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dell’addebito, sebbene il datore di lavoro fosse a conoscenza da subito dei fatti ;

sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile
traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della
decisione. ” ( Cass n 2357 del 07/02/2004; n 7846 del 4/4/2006; n 20455 del
21/9/2006; n 27197 del 16/12/2011) .
Le argomentazioni esposte dalla Corte e poste a fondamento della decisione

fatti di causa adeguatamente motivate, come tale esenti da qualsiasi vizio di
legittimità. Va in proposito richiamato l’orientamento giurisprudenziale
consolidato (Cass., 29 aprile 1999, n. 4347, nonché Cass., 4 dicembre 1999, n.
13567; Cass. 11900/2003; Cass. 10902/2001) in forza del quale “la valutazione
delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sull’attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri – come la scelta, tra le varie risultanze
probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione – non sono
deducibili in sede di legittimità, se non nei limiti della mancanza, insufficienza o
contraddittorietà di motivazione, involgendo apprezzamenti di fatto riservati al
giudice del merito, il quale, peraltro, nel porre a fondamento della sua decisione
una fonte di prova ad esclusione di altre, è tenuto ad indicare le ragioni del proprio
convincimento, ma non a discutere ogni singolo elemento ne’ a confutare tutte le
deduzioni avverse”.
Per quanto attiene alle conseguenze risarcitorie derivanti dall’illegittimo
comportamento del datore di lavoro , oggetto di censure con il terzo motivo, deve
rilevarsi che la Corte ha accertato il danno biologico di natura psichica e fisica
temporaneo a mezzo di CTU e nessuna specifica doglianza risulta formulata dalla
ricorrente a riguardo.
In relazione all’ulteriore risarcimento del danni non patrimoniali la Corte ha
quantificato in via equitativa il danno riportato dal lavoratore dando rilevanza alle
modalità del fatto come sopra riportate; il carattere intimidatorio del clima
aziendale , oggettivamente ingiusto; la gravità dell’allontanamento dal posto di
lavoro in cui il Melosu lavorava da 15 anni senza aver ricevuto sanzioni; il
disonore derivante da tutta la vicenda, a cui aveva fatto seguito anche la
separazione dalla moglie . Dal complesso degli elementi di fatto considerati la

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appaiono plausibili e sorrette da logica. Si è quindi in presenza di valutazioni dei

comfikuoitt

Jetta,

Corte d’appello ha tratto la sussistenza di un danno all’immagine, alla vita di
relazione , alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nei luoghi di
lavoro durato circa due anni allorchè i intervenuta la sentenza penale di assoluzione
e proposto il giudizio civile/ era finalmente rientrato nel posto di lavoro.
Anche sotto tale profilo la Corte , attraverso l’ esposizione dei motivi di
convincimento da essa espressi , ha svolto un’indagine compiuta con un
procedimento logico esente da manchevolezze, lacune o contraddizioni, non
risultando 1′ omesso l’esame di alcun punto decisivo della controversia idoneo a

Il secondo motivo è, invece, fondato . La Corte ha riconosciuto la retribuzione
a decorrere dalla notifica del ricorso e cioè dall’11/3/2005 .
Questa Corte , con numerose decisioni conformi, ha affermato ( cfr Cass. n.
2261/2012, n 22063/2014) che “nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni
presentate da un lavoratore subordinato (nella specie determinato da incapacità
naturale del dimissionario), il principio secondo cui la pronuncia di annullamento
di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva, nel senso che essa comporta il
ripristino, tra le parti, della situazione giuridica anteriore al negozio annullato, che
si considera come insussistente fin dall’inizio, non comporta il riconoscimento del
diritto del lavoratore al trattamento retributivo e previdenziale maturato nel
periodo di tempo compreso tra la data delle dimissioni e la decisione di
annullamento del giudice di primo grado, atteso, che, in tale ipotesi, l’effetto
risolutorio delle dimissioni permane fino alla data della sentenza, non essendo
configurabile alcun obbligo del datore di lavoro di accettare il lavoratore in
azienda prima di tale momento e non potendo quindi profilarsi un’ipotesi di mora
del datore di lavoro rispetto ad un rapporto che, prima della sentenza di
annullamento, deve considerarsi inesistente” (Cass. 5-7-1996 n. 6166, cfr.Cass. 611-2000 n. 14438, Cass. 17-6-2005 n. 13045).
Per le considerazioni che precedono , in accoglimento del secondo motivo, la
sentenza non definitiva del 20/6/2008 deve essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa
confermando l’annullamento delle dimissioni e la condanna di Poste al ripristino
del rapporto di lavoro nonché al pagamento della retribuzione globale di fatto dal
20/6/2008 con accessori.

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pervenire a diverse conclusioni.

Per quanto riguarda il regime delle spese dei giudizi di merito la sentenza
definitiva deve essere cassata limitatamente alla liquidazione delle stesse che ,
stante il parziale accoglimento della domanda del Melosu , devono essere poste a
carico di Poste nella minore misura di 2/3, così come in dispositivo /
compensando il residuo 1/3 .
Le spese del presente giudizio sono poste per la metà a carico del contro
ricorrente, parzialmente soccombente , ed a favore di Poste.
PQM
sentenza del 20/6/2008 limitatamente al regime delle spese / la sentenza
definitiva, e decidendo ex art 384 cpc annulla le dimissioni e condanna Poste al
ripristino del rapporto di lavoro nonché al pagamento della retribuzione globale di
fatto dal 20/6/2008 con accessori. Condanna Poste a pagare 2/3 di € 5.000,00 ,
compensato il residuo 1/3 , oltre accessori ,per spese processuali relative ad
entrambi i gradi di merito.
Condanna il controricorrente a pagare a Poste la metà delle spese del presente
giudizio di legittimità liquidate / per questa parte in € 2.000,00 per compensi „
professionali ed € 50,00 per esborsi , oltre 15% per spese generali ed accessori di
legge.
Roma 5/5/2015
L’ estensore
EnnÀntonio

Rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso, accoglie il secondo , cassa la

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