Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15161 del 04/06/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/06/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 04/06/2019), n.15161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23732-2016 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1231/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/01/2016 R.G.N. 187/2015.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 1231 del 2016 la Corte d’appello di Bologna, pronunciando in sede di rinvio, dato atto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in ordine alla nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato tra Poste Italiane s.p.a. e C.A. nel periodo dal 5.11.99 all’8.1.00 ed alla conseguente sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ha condannato la società al pagamento in favore del lavoratore di un’ indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla sentenza di primo grado al saldo;

2. la Corte d’appello ha richiamato l’ordinanza della Suprema Corte di accoglimento del motivo di ricorso volto alla rideterminazione del risarcimento del danno ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ritenuto applicabile, in base al disposto del comma 7, a tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti, anche in cassazione, alla data di entrata in vigore della legge, a condizione che la parte della decisione sul risarcimento del danno non fosse passata in giudicato;

3. la Corte, richiamando i criteri dettati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, ha ritenuto equo determinare l’indennità in misura pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, riducendo poi tale misura a quattro mensilità, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, per l’esistenza di accordi collettivi nazionali stipulati da Poste Italiane s.p.a. con le OO.SS. cui l’attuale appellato poteva prestare adesione, dichiarando il lavoratore tenuto a restituire la somma ulteriore eventualmente percepita in esecuzione della sentenza d’appello, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

4. ha, infine, compensato nella misura del 50% le spese di lite del primo e secondo grado e del giudizio di rinvio, ponendo la residua metà a carico di Poste Italiane s.p.a. non provvedendo sulle spese del giudizio di legittimità per non essersi il lavoratore ivi costituito;

6. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso la società, atti illustrati poi da memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

7. col primo motivo di ricorso si deduce la violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, degli artt. 112, 113, 114, 115 e 432 c.p.c. nonchè dell’art. 1226 c.c. in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5; secondo il ricorrente nessuna delle parti aveva chiesto un giudizio secondo equità per la determinazione del risarcimento, non ricorrendo i presupposti a cui l’art. 1226 c.c. subordina l’esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno; di contro erano stati allegati elementi rilevanti in riferimento ai parametri di cui all’art. 8 cit. e, in particolare, il C. aveva allegato la durata complessiva dei contratti a termine (27 mesi) e l’elusione della normativa da parte di Poste Italiane s.pa., che a sua volta aveva fornito dati sulle dimensioni dell’azienda e sul numero degli occupati;

8. col secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 e della L. n. 604 del 1966, art. 8, in relazione all’art. 12 preleggi, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. per essere stata l’indennità determinata senza considerare tutti i parametri di cui al citato art. 8, in particolare non si era fatto riferimento solo al periodo intercorso tra la scadenza del primo contratto a termine e la sentenza dichiarativa della nullità, non contemplato dall’art. 32 cit., senza una valutazione unitaria di tutti i criteri enunciati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8;

9. col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,414 e 434 c.p.c. in riferimento alla riduzione alla metà dell’indennizzo, in base all’art. 32 cit., comma 6 riduzione applicata in assenza di qualsiasi richiesta in tal senso di Poste Italiane s.p.a., quindi in violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la società omesso di illustrare, nel ricorso in riassunzione, il contenuto degli accordi sindacali e le condizioni di concreta applicabilità degli stessi al lavoratore;

10) col quarto motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, in relazione all’art. 12 preleggi, degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione agli accordi sindacali del 13.1.06, 10.7.08 e 27.7.10, nonchè vizio di omessa motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., sostenendo che l’art. 32, comma 6, cit. era stato interpretato ed applicato in contrasto col tenore letterale dello stesso (“…il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”) che collega la riduzione dell’indennità al solo caso di liquidazione nella misura massima di dodici mensilità; il giudice di rinvio avrebbe quindi applicato la riduzione senza verificarne i presupposti, rappresentati dalla effettiva applicabilità al lavoratore degli accordi sindacali, nel caso di specie tutti successivi alla data di cessazione del primo contratto a termine;

11). col quinto motivo il ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, e del D.M. n. 127 del 2004, artt. 1, 4, 5 e 6, della L. n. 247 del 2012 e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4 nonchè degli artt. 91,112,115 e 385 c.p.c.: la corte bolognese avrebbe omesso di liquidare le spese del giudizio di legittimità definito con ordinanza n. 6637/2014, in cui il C. si era regolarmente costituito e che comunque la liquidazione delle spese, sia di primo e di secondo grado, compreso il giudizio di rinvio era stata effettuata erroneamente in modo forfettario oltre che in misura inferiore a quanto previsto sia dal D.M. n. 127 del 2004 e sia da quello vigente (D.M. n. 55 del 2014);

12. col sesto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonchè carenza e illogicità della motivazione – art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 -, quanto alla statuizione di compensazione delle spese di lite, adottata in difformità dai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al regime anteriore a quello di cui alla L. n. 263 del 2005 e sulla base di una motivazione del tutto tautologica (“complessità delle questioni trattate”);

13. il primo ed il secondo motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati;

22. i criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8, consentono di calibrare l’importo dell’indennità forfettaria in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata dei contratti a tempo determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonchè le stesse dimensioni dell’impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti). Così interpretata, la nuova normativa ha superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3,4,11,24,101,102 e 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 (cfr. Corte Cost. n. 303/2011);

14. tale normativa deve ritenersi correttamente applicata nel caso in esame poichè la Corte di merito ha avuto riguardo ai criteri (tutti e non solo alcuni) dettati dall’art. 8 cit., che ha richiamato sia pure in modo complessivo e senza specificarne la singola rilevanza, avendo fatto riferimento in modo esplicito solo alla durata del c.d. periodo intermedio (computato dalla scadenza del primo contratto a termine), indicato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 303 citata come coperto dall’indennizzo forfettizzato, e al numero di contratti a termine stipulati in tale lasso temporale;

15. l’espressione adoperata nella sentenza (“appare equo determinare l’indennità in misura pari a 8 mensilità”) costituisce l’esito della valutazione compiuta dalla Corte di merito nella quantificazione della indennità tra il minimo e il massimo edittale e sulla base dei criteri normativi applicabili, espressamente richiamati, risultando del tutto infondata la censura mossa sul presupposto, in nessun modo dimostrato, dell’essere quella frase indicativa di una decisione assunta, non secondo la discrezionalità valutativa attribuita al giudice di merito, bensì secondo equità, in mancanza di richiesta delle parti e quindi in violazione dell’art. 114 c.p.c., oppure nell’esercizio della cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, in assenza dei presupposti di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. (cfr. Cass. n. 4310 del 2018; Cass. n. 20889 del 2016; Cass. n. 17492 del 2007);

16. peraltro, secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte, in tema di contratto a termine, la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 (cfr Cass. n. 11107/ 2006, Cass. n. 13732/ 2006), spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (cfr Cass. n. 6122/2014, Cass. n. 1320/ 2014), vizi nel caso di specie neanche espressamente dedotti e risultando comunque inammissibile in questa sede di legittimità la pretesa, sostanzialmente avanzata dalla ricorrente, di una revisione del ragionamento decisorio sul punto (cfr. Cass. n. 1320/ 2014; Cass. n. 6122/2014);

17. sono infondati anche il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente;

18. non sussiste la violazione dell’art. 112 c.p.c. dedotta sotto il profilo del vizio di ultrapetizione, che si sostanzia nella introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso (cfr. Cass. n. 9002/2018; Cass. n. 18868/2015), avendo Poste Italiane s.p.a. invocato, nel ricorso in riassunzione in sede di rinvio, la liquidazione della indennità nella misura minima e allegato la mancata adesione del lavoratore agli accordi collettivi rilevanti ai fini dell’art. 32 cit., comma 6 (come riportato a pag. 14 del ricorso in esame);

19. quanto al disposto del comma 6 cit., questa Corte ha già affermato (cfr Cass. n. 1320/2014; Cass. n. 3027 del 2014) che la “presenza” di contratti o accordi collettivi “che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”, debba essere effettiva e non ipotetica o astratta; ciò che infatti rileva, al fine della riduzione alla metà del limite massimo previsto dalla norma, è l’attualità e la possibilità di un’ applicazione in concreto dei citati accordi;

20. a tali principi si è attenuta la sentenza impugnata, avendo accertato in fatto la possibilità di adesione del lavoratore agli accordi, sicchè deve escludersi la dedotta violazione di legge; nè il rilievo che gli accordi avessero data successiva alla cessazione del primo contratto a termine comporta, di per sè, l’inapplicabilità degli stessi all’attuale ricorrente, risultando per tale aspetto la censura mossa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 assolutamente generica;

21. infondata è poi la doglianza di omessa motivazione sollevata, sempre col quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;nel caso in esame trova applicazione, in riferimento alla sentenza impugnata pubblicata il 26.1.16, il nuovo testo della disposizione citata; questa Corte (cfr cass. n. 26654/2014) ha precisato che “il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c. è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale “tempus regit actum” ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata successivamente all’11 settembre 2012, in base a quanto disposto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b), del suddetto D.L.”;

21. secondo la nuova formulazione ed in base a quanto precisato al riguardo dalle S.U. con sentenza n. 8053/2014, il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi limitato al minimo costituzionale, con la conseguenza che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè”;

22. neppure può trovare accoglimento il quarto motivo avente ad oggetto la censura di violazione di legge per erronea interpretazione dell’art. 32, comma 6, cit., formulata sul rilievo che la riduzione dell’indennità risarcitoria fosse prevista solo per il caso di liquidazione nella misura massima di dodici mensilità;

23. l’art. 32 stabilisce al comma 6: “In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”;

24. tale disposizione deve essere letta in combinato con il precedente comma n. 5 secondo cui “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”;

25. la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che il “limite massimo” indicato nel comma 6 debba riferirsi all’entità massima dell’indennizzo, come concretamente quantificato dal giudice, e non alla astratta misura massima dello stesso prevista dalla norma; se interpretato nel senso preteso dalla ricorrente, la norma presterebbe il fianco a censure di irragionevolezza: la riduzione del risarcimento a carico della società datoriale sarebbe in tal modo correlata non solo al presupposto, logicamente coerente, della possibilità concreta per i lavoratori di aderire agli accordi di stabilizzazione, ma anche ad un dato, quale la determinazione dell’indennizzo nella misura massima in base ai parametri dell’art. 8, significativo, invece, di un comportamento delle parti di segno logicamente contrastante con quanto previsto dal comma 6, indicativo della volontà di promuovere la stabilizzazione dei rapporti precari, attraverso accordi sindacali.

26. va accolto il quinto motivo di ricorso limitatamente alle censure accolte; è anzitutto fondato il rilievo di mancata liquidazione, ad opera della Corte di merito, delle spese del giudizio di legittimità. Con l’ordinanza n. 6637/2014 questa Suprema Corte aveva cassato la sentenza d’appello per omessa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e disposto il “rinvio al giudice di merito che dovrà pronunciarsi su questo circoscritto tema, oltre che sulle spese, anche del giudizio di legittimità”; la statuizione adottata sul punto dalla Corte d’appello (“nulla per le spese relativamente al giudizio di legittimità, non essendosi il lavoratore costituito”) si basa su un presupposto erroneo che si evince, oltre che dall’intestazione dell’ordinanza n. 6614/2014 di questa corte e dal controricorso presentato nel giudizio rescindente, dal tenore della medesima ordinanza sopra citata, in cui si dà atto della costituzione del C. nel giudizio di cassazione assistito dall’avv. Cogo Giovanna “giusta delega in calce al controricorso”;

27. sulle spese di lite, la sentenza impugnata ha precisato che “quelle della presente fase (di rinvio, n. d.r.) sono liquidate in base al D.M. n. 55 del 2014”, dal che si ricava che per i giudizi di primo (sentenza del 2006) e secondo grado (sentenza del 2010) sia stato applicato il D.M. all’epoca vigente (n. 127 del 2004); la sentenza impugnata, tuttavia, ha proceduto, anche per i precedenti gradi e fasi, a liquidazione forfettaria, senza distinzione di spese, competenze ed onorari;

28.questa Corte ha ripetutamente statuito, con riferimento al regime anteriore al D.M. n. 55 del 2014, che “La liquidazione delle spese giudiziali non può essere compiuta globalmente per spese, competenze e onorari, perchè ciò non consentirebbe alla parte di controllare il rispetto dei minimi tariffari e di denunciare le eventuali violazioni, anche alla luce dell’onere, gravante sulla parte che intenda impugnare per Cassazione, dell’analitica specificazione delle voci e degli importi considerati, necessaria per consentire il controllo di legittimità”, (così Cass. n. 1707/1995, Cass. n. 5607/1997, Cass. n. 9907/2001); si è ulteriormente precisato che “Il giudice nella liquidazione delle spese processuali deve sempre mettere le parti in condizione di verificare l’osservanza dei minimi tariffari; può, tuttavia, liquidare le spese con unica cifra, comprensiva degli esborsi, delle competenze di procuratore e degli onorari di avvocato, purchè, accanto all’importo complessivo, determini il distinto ammontare di questi ultimi, consentendo così alla parte interessata di effettuare, per esclusione, un controllo adeguato sul “quantum” delle voci residue”, (così Cass. n. 7527/2002 e Cass. n. 11006/2002);

29. è vero che è onere della parte che impugni la mancata determinazione da parte del giudice di merito delle spese borsuali e dei diritti, precisare in ricorso se ed in che misura tali voci non corrispondano a quelle indicate in parcella e se, quanto ai diritti, vi sia stata violazione dei minimi tariffari (sul punto cfr. Cass. n. 11006/2002), tuttavia una simile specificazione non è esigibile laddove, come nel caso di specie, il giudice abbia proceduto soltanto alla indicazione di un’unica somma totale, quale importo globale di onorari di avvocato, diritti di procuratore e spese (cfr. Cass. n. 5607/ 1997);

30. la censura di violazione dei minimi tariffari nella liquidazione delle spese del giudizio di rinvio, in base al D.M. n. 55 del 2014, in quanto basata sul presupposto della illegittima compensazione delle spese tra le parti, oggetto del sesto motivo di ricorso, si esamina dopo l’analisi di quest’ultimo motivo;

31. sul sesto motivo di ricorso, occorre considerare che il presente procedimento è stato instaurato con ricorso in primo grado depositato il 6.5.2003 e che trova quindi applicazione, per le spese relative al primo e secondo grado, l’art. 92 c.p.c. nella versione anteriore a quella introdotta dalla L. n. 263 del 2005, secondo cui “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”; il L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a) ha modificato dell’art. 92 c.p.c., il comma 2 sostituendone il testo nel modo seguente: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. L’art. 2, comma 4, ha stabilito che “Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 entrano in vigore il (1 marzo 2006) e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data di entrata in vigore”;

32. in riferimento all’art. 92 c.p.c., nel testo anteriore a quello introdotto dalla L. n. 263 del 2005, questa Corte ha statuito che “In tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l’esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall’art. 111 Cost., comma 6, (a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 2 del 1999, art. 1), secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato. Il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi non è, d’altra parte, in contrasto con il principio dettato dall’art. 24 Cost., comma 1, giacchè il provvedimento di compensazione non costituisce ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente” (cfr Cass. n. 5828/2006, e poi anche Cass. n. 406/2008, Cass. n. 20457/2011);

33. tali considerazioni portano a ritenere insussistente sia la violazione di legge e sia il vizio motivazionale come dedotti dalla parte ricorrente quanto alla regolazione delle spese del giudizio di primo e secondo grado; dovendosi ritenere infondata anche la censura di violazione dei minimi tariffari nel giudizio di rinvio, tenuto conto della accezione omnicomprensiva di “compenso”, quale corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata, adottata dal D.L. n. 1 del 2012, convertito in L. n. 27 del 2012 e posta a base del D.M. n. 55 del 2014, e considerato che, in base agli stessi calcoli contenuti nel ricorso per le spese del giudizio di rinvio (pag. 22), la somma liquidata risulta rispettosa dei minimi tariffari, applicata la riduzione del 50%.

34. deve quindi trovare accoglimento il quinto motivo di ricorso, con riferimento a) alla mancata liquidazione delle spese del primo giudizio di cassazione e b) alla liquidazione in misura forfettaria, senza specificazione dell’ammontare dell’onorario, delle spese del primo e secondo grado di giudizio; la sentenza impugnata deve essere cassata con riferimento a tale parte, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà a nuova liquidazione delle suddette spese di lite conformandosi ai principi sopra enunciati, in particolare ai punti 26 3 28, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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