Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15161 del 02/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15161 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 5363-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), domiciliata elettivamente
in Roma, v.le Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Aw. Luigi Fiorillo,
che la rappresenta e difende per delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MANTUANO VANESSA (c.f. MNTVSS75P69H501M), domiciliata
elettivamente in Roma, Via Paraguay n. 5, presso lo studio dell’Avv.
Claudio Rizzo, che la rappresenta e difende per procura a margine del
controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 8285/2009 della Corte d’appello di Roma,
depositata in data 18.02.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
1.04.14 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone.
Ritenuto) in fatto e diritto
1.- Con sentenza 28.11.06 il Tribunale del Lavoro di Roma
accoglieva la domanda di Niantuano Vanessa di dichiarare la nullità
dell’apposizione del termine all’assunzione alle dipendenze di Poste
Italiane s.p.a., disposta in suo favore per il periodo 1.02-30.04.02,

Data pubblicazione: 02/07/2014

4. Poste Italiane s.p.a. C. Mantuano Vanessa (r.g. 5363-11)

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rilevando che nella specie difettava la forma scritta, richiesta ad
substantiam dalla legge.
2.- Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello
di Roma con sentenza del 18.02.10 rigettava l’impugnazione, rilevando
che l’atto scritto non era stato tempestivamente prodotto e non
avrebbe potuto essere acquisito agli atti nel giudizio di appello.
3.- :\vverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva
ricorso per cassazione, cui Mantuano rispondeva con controricorso.
4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha
depositato relazione, notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso
di convocazione dell’adunanza. NIantuano ha depositato memoria.
5.- Questi in sintesi i motivi dedotti da Poste Italiane spa:
5.1.- Contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia e violazione degli artt. 115-116 c.p.c. e 2697 c.c., in
quanto la Corte d’appello, superando, ogni formalismo avrebbe dovuto
ricercare la prova e valutare la produzione documentale offerta, in
forza del suo potere-dovere di ammettere d’ufficio in ogni momento
qualsiasi mezzo di prova necessario ai fini della decisione della causa;
5.2.- violazione degli artt. 1206 e segg., 2094, 2099 e 2697 c.c.,
ritenendo violati i principi in materia di messa in mora e corrispettività
delle prestazioni, in quanto dall’accertata nullità deriva la prosecuzione
del rapporto, mentre l’obbligo retributivo del datore decorre dalla data
di messa in mora. Nell’ambito dello stesso motivo, si sostiene che
sarebbero violati anche gli arti. 210 e 421 c.p.c., in punto di aliunde
perceptum, in quanto il giudice, pur richiestone, ha omesso di
provvedere circa l’esibizione di documentazione idonea a determinare i
corrispettivi percepiti dal lavoratore per attività eventualmente svolte
alle dipendenze di terzi;
5.3.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa specifici criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore.
6.- Nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori
d’ufficio in d’appello presuppone la ricorrenza delle seguenti
circostanze: 1) insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata,
con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali,
2) opportunità di integrare il quadro probatorio tempestivamente
delineato dalle parti, 3) indispensabilità dell’iniziativa officiosa, volta
non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a
supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della
domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa
(Cass. 11.03.11 n. 5878). Nel caso di specie è inconferente il richiamo
all’esercizio del potere o fficioso di ammissione dei mezzi di prova, in

4. Poste Italiane s.p.a. c. Mantuano Vanessa (r.g. 5363-11)

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quanto l’esercizio stesso avrebbe esclusivamente lo scopo di sanare la
decadenza in cui è colpevolmente incorso il datore di lavoro.
E’, pertanto, infondato il primo motivo di ricorso.
7.- Quanto ai motivi attinenti il risarcimento del danno, deve
considerarsi lo ins snperveniens contenuto nella legge 4.11.10 n. 183 (c.d.
collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262
(suppl. ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10. La disposizione dell’art.
32, c. 5, di detta legge, prevede che “nei casi di conversione del
contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro
al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”. Il successivo c. 7
prevede che tale disposizione trova applicazione anche ai giudizi
pendenti alla data della vigore della legge.
8.- Con la memoria depositata e.N. art. 380 bis, c. 3, c.p.c. la
controricorrente sostiene che la norma dell’art. 32 sarebbe
inapplicabile in quanto contrastante con la direttiva UF, 1999/70.
riprova richiama la sentenza della Corte di Giustizia europea 12.12.13
in causa 362-12 (Carratù), la quale, pronunziando circa i limiti di
applicabilità della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro CES,
INICE e CEEP, perverrebbe alla conclusione che la disciplina dell’art.
32 non potrebbe essere applicata dal giudice nazionale in quanto
costituirebbe un peggioramento del livello di tutela precedentemente
garantito dall’ordinamento interno.
Detta clausola 4.1, come noto, sotto la rubrica Principio di 11011
discriminaione, prevede che “per quanto riguarda le condizioni di
impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati
in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro
a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”. Il
dispositivo della richiamata sentenza della Corte di Giustizia, per
quanto qui rileva, reca testualmente l’affermazione che “sebbene il
menzionato accordo quadro non osti a che gli Stati membri
introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto
dall’accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4,
punto 1, di detto accordo quadro deve essere interpretata nel senso
che non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta
in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e
quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a
tempo indeterminato”.
Da tale dispositivo non è dato pervenire alle conclusioni
proposte dalla parte ricorrente, la quale propone una lettura della
sentenza basata non sul principio di diritto puntualmente affermato,

Per questi motivi
La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il terzo e, assorbito il
secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e
rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche
per le spese.
Così deciso in Roma il 1 aprile 2014
Il Presidente

ma su una valutazione logico-giuridica del suo complesso
motivazionale.
9.- La richiamata disposizione dell’art. 32 è stata ritenuta
conforme alla Costituzione dalla sentenza della Corte costituzionale n.
303 del 2011 e per giurisprudenza ormai consolidata risulta applicabile
al giudizio di legittimità (Cass. 2.03.12 n. 3305 e 29.02.12 n. 3056).
In particolare, nel caso in esame la Corte d’appello, nel
confermare la sentenza di primo grado, ha ribadito il risarcimento da
quest’ultima fissato nella misura complessiva di C, 28.200,31, pari alle
retribuzioni maturate della messa in mora alla sentenza. Essendo tale
affermazione investita dalla censura attinente la quantificazione e le
modalità di calcolo del risarcimento contenuta nel secondo motivo,
deve ritenersi esistente la condizione che la giurisprudenza ritiene
necessaria per l’applicazione di detto art. 32, ovvero che sussista C sia
ammissibile un motivo di ricorso che investa, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta (cfr. fra le altre Cass.
4.01.12 n. 80 e 31.01.12 n. 1409).
12.- In conclusione, rigettato il primo motivo, deve essere
accolto il terzo e, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve
essere cassata nei limiti dell’accoglimento, con rinvio al giudice indicato
in dispositivo, che procederà alla liquidazione dell’indennità e
provvederà alle spese del giudizio di legittimità.

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