Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15160 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 4133-2012 proposto da:

FIM S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato VINCENZO

CELLAMARE, rappresentata e difesa dagli Avvocati STEFANO ZUNARELLI e

LORENZO DEL FEDERICO giusta procura estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 621/10/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’ABRUZZO depositata il 23.6.2011, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.2.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale UMBERTO

DE AUGUSTINIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato dello Stato ALESSIA URBANI

NERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 23.6.2011 la Commissione tributaria regionale dell’ABRUZZO ha respinto l’appello della FIM S.r.l. avverso la sentenza n. 163/04/2010 della Commissione tributaria provinciale di Pescara in rigetto del ricorso, proposto avverso il provvedimento col quale l’Ufficio aveva ad essa negato, per l’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, il nulla osta alla fruizione del credito d’imposta concesso dalla L. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), art. 1, commi 280-283, pari al 10 % delle spese sostenute per attività di ricerca e sviluppo, volto alla cd. innovazione di prodotto.

Avverso la sentenza della CTR la società contribuente indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

L’Agenzia si è costituita con controricorso, deducendo l’infondatezza del ricorso principale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Al fine di vagliare la fondatezza del ricorso, fondato su sei motivi, è opportuno svolgere una breve premessa normativa.

1.2. La Legge Finanziaria 2007 n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283 (abrogati per il disposto del D.L. n. 83 del 2012, art. 23, comma 7, convertito con la L. n. 134 del 2012, e del n. 42 del relativo Allegato 1, ma applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame), aveva attribuito alle imprese – a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009 – un credito d’imposta, fruibile in compensazione nel modello F24, pari al 10/0 dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo; in particolare, i costi di ricerca e sviluppo si riferivano a contratti stipulati con università ed enti pubblici ed il credito di imposta era riconosciuto nella percentuale del 15%, poi aumentato al 40% dalla Legge Finanziaria 2008 n. 244 del 2007, art. 1, comma 66.

1.3. I costi, a cui si rapportava il diritto al credito di imposta, non potevano superare, a mente del comma 281, l’importo di 15 milioni di Euro per ciascun periodo d’imposta (poi elevato a 50 milioni di Euro dal comma 66 dell’art. 1 della legge finanziaria 2008 n. 244 del 2007).

1.4. La legge non fissava, comunque, alcun tetto globale all’erogazione dei crediti di imposta, nè prevedeva limiti di copertura del minor gettito fiscale derivante dalla relativa fruizione da parte dei contribuenti; conseguentemente, il singolo contribuente non era tenuto alla presentazione di alcuna istanza preventiva di ammissione al beneficio e poteva fruire del credito (nella misura risultante dall’applicazione della percentuale prevista dal comma 280 sul costo per ricerca e sviluppo effettivamente sostenuto, entro il tetto di cui al comma 281) con la mera indicazione del credito stesso nella dichiarazione dei redditi.

1.5. Successivamente, con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, convertito in legge con la L. n. 2 del 2009 (c.d. decreto anticrisi, adottato nell’intento, enunciato nell’epigrafe, di “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, provvedendo, tra l’altro, a “potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede Europea”), il legislatore, nel comma 1, estese anche al credito di imposta di cui si tratta la disciplina sul monitoraggio dei crediti di imposta dettata dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito in legge con la L. n. 178 del 2008, e conseguentemente, nel comma 2, fu previsto un tetto massimo al credito di imposta fruibile da parte delle imprese, definendo i relativi i stanziamenti nel bilancio dello Stato (375,2 milioni di Euro per l’anno 2008, 533, 6 milioni di Euro per l’anno 2009, 654 milioni di Euro per l’anno 2010 e 65,4 milioni di Euro per l’anno 2011).

1.6. La suddetta predeterminazione del tetto massimo dell’ammontare del credito d’imposta riconoscibile al sistema delle imprese – innovativa rispetto alla disciplina originariamente dettata dalla L. n. 296 del 2006 – presupponeva evidentemente l’individuazione di una procedura di selezione delle imprese destinate a fruire concretamente del credito di imposta rispetto a quelle destinate ad essere escluse da tale fruizione per il superamento del suddetto tetto, ossia per l’incapienza dello stanziamento fissato dalla legge nel bilancio statale.

1.7. Tale procedura di selezione – dettata al dichiarato “fine di garantire congiuntamente la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonchè l’effettiva copertura finanziaria” – si rinviene nella seconda parte del comma 2, nonchè nel D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 3; con tali disposizioni si stabilì che, a decorrere dall’anno 2009: per la fruizione del credito d’imposta le imprese dovessero inoltrare per via telematica all’Agenzia delle entrate un apposito formulario, valevole come “prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta”; la prenotazione del credito di imposta per le attività di ricerca avviate a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008 (emanato, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il 29.11.08) fosse “successiva” rispetto a quella relativa alle attività di ricerca avviate prima della anzidetta data; i formulari venissero acquisiti ed evasi dall’Agenzia delle entrate rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo; l’Agenzia delle entrate provvedesse, in via telematica e con procedura automatizzata, a rispondere alle imprese che avevano presentato il formulario, comunicando alle stesse, ove si trattasse di attività già avviate prima del 29.11.08, “esclusivamente un nulla-osta, ai soli fini della copertura finanziaria” e, ove invece si trattasse di attività avviate a partire dal 29.11.08, la certificazione dell’avvenuta presentazione del formulario, l’accoglimento della relativa prenotazione, nonchè, “nei successivi novanta giorni l’eventuale diniego, in ragione della capienza”.

1.8. Nel cit. art. 29, comma 5, infine, fu previsto che la procedura per la trasmissione telematica del menzionato formulario fosse attivata entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate di approvazione del formulario medesimo; con provvedimento del 21 aprile 2009, il Direttore dell’Agenzia delle Entrate stabilì dunque che i formulari per i progetti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già avviati alla data del 28 novembre 2008 (il cui modello era stato approvato con precedente decreto dello stesso Direttore dell’Agenzia delle entrate del 24.3.09) dovessero essere presentati, a pena di decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 6 maggio 2009 (c.d. click day) alle ore 24:00 del 5 giugno 2009.

1.9. Occorre altresì porre in rilievo che la capienza degli stanziamenti fu esaurita con i formulari pervenuti nei primi minuti successivi all’apertura della procedura di trasmissione telematica e numerose imprese furono escluse, al pari della odierna ricorrente, dalla fruizione del credito di imposta per costi sostenuti (e sostenendi) in relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del decreto L. n. 185 del 2008 (si veda pag. 21 del controricorso, ove la difesa dell’Agenzia delle entrate riferisce che furono emessi “in pochi secondi dall’apertura della procedura n. 29.394 atti, di cui 6.100 di accoglimento delle istanze”).

1.10. In concreto si vennero quindi a determinare, con riferimento ai crediti d’imposta per i costi relativi ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, le seguenti situazioni:

a) i crediti d’imposta maturati negli anni 2007 e 2008 e utilizzati in compensazione (mediante il modello F24) entro il 31 dicembre 2008 non furono toccati dal D.L. n. 185 del 1998, e rimasero validamente fruiti;

b) i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 che non erano stati utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 ma di cui era stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle Entrate sono pur essi rimasti validamente fruibili;

c) i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 non utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 e di cui non era stata autorizzata la fruizione da parte dell’Agenzia delle Entrate per esaurimento dei fondi disponibili sono rimasti non fruibili; per queste ultime situazioni la L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 236, (finanziaria 2010) ha successivamente autorizzato un ulteriore stanziamento (poi ridotto dal D.L. n. 40 del 2010, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 73 del 2010) le cui modalità di utilizzo sono state definite con decreto ministeriale del 4 marzo 2011; tale decreto ha autorizzato la fruizione del 47,53% dei crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29.11.08, quali risultanti dai formulari presentati telematicamente che fossero stati denegati per esaurimento delle risorse disponibili.

2.1. Così ricostruita la disciplina in esame è altresì opportuno precisare che:

2.2. In linea di fatto, è pacifico che l’impugnato diniego di nulla- osta concerne un formulario nel quale la contribuente aveva richiesto di fruire del credito di imposta maturato in relazione ad attività di ricerca che dichiarava avviate anteriormente al 29 novembre 2008 (si veda il controricorso dell’Agenzia delle entrate, paragrafo 2 del “FATTO”, primo cpv.).

2.3. La Commissione Tributaria Regionale ha sostenuto che il D.L. n. 185 del 2008 non avrebbe eliso il diritto al credito di imposta attribuito dalla L. n. 296 del 2006, e già sorto in capo alla contribuente, ma si sarebbe limitato a porre un limite quantitativo alla fruizione di tale diritto, la quale risulterebbe “solo rinviata nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, nell’ambito della capienza delle ulteriori somme che il Legislatore riterrà di stanziare in futuro” (nona pagina della sentenza gravata, capoverso 5.13).

3.1. Poste tali premesse, col primo motivo di ricorso la ricorrente ha riproposto l’eccezione, ritenuta manifestamente infondata dalla Commissione Tributaria Regionale, di illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 1929, art. 29, con riferimento agli artt. 3,41,97 e 117 Cost.; la contribuente sostanzialmente censura la sentenza gravata per aver fatto applicazione di una disciplina di dubbia legittimità costituzionale e ripropone in questa sede i dubbi di costituzionalità già sollevati in sede di merito.

3.2. Il Collegio, secondo quanto già affermato da questa Corte (cfr. Cass. nn. 5733/2018, 7622/2018), ritiene che la questione, presa in esame dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 149 del 27.6.2017, sia infondata.

3.3. E’ sufficiente osservare, richiamando i principi espressi dalla Consulta, che “il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica” (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009); solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)” (Corte Costituzionale, sentenza n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del 1999).

3.4. L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una “causa normativa adeguata” (Corte Costituzionale sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (Corte Costituzionale sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del 2015) o una “inderogabile esigenza” (Corte Costituzionale sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, Corte Costituzionale sentenza n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalità (Corte Costituzionale sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del 2015).

3.5. In altri termini, il principio dell’affidamento è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali (Corte Costituzionale sentenze n. 16 del 2017, n. 203 del 2016, n. 264 del 2012).

3.6. Nel caso di specie, la L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283, nel prevedere i crediti d’imposta per le attività di ricerca svolte negli anni dal 2007 al 2009, recava una copertura finanziaria; la legge in questione, art. 1, comma 1361, infatti, rimandava per la copertura, anche delle riduzioni di entrata, al prospetto allegato (“Prospetto di copertura”), riportante, tra le altre, le voci (e gli importi) relativi a “Sviluppo e ricerca” e “Misure per lo sviluppo” (pagina 269); la relazione tecnica sulla finanziaria 2007 aveva, poi, quantificato l’impatto del credito d’imposta (pari a circa 2.008.000 Euro per gli anni dal 2007 al 2010), ipotizzando che la conseguente riduzione di gettito fiscale trovasse capienza, quanto all’anno in corso, nell’IRES e nell’IRAP dovute per l’esercizio (pagine 68 e 69).

3.7. Se da una parte, quindi, è pur vero che la disciplina originaria non prevedeva un tetto massimo, che è stato appunto introdotto dalla disposizione censurata, essa ha tuttavia esteso a tutti i “crediti d’imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”, compresi quelli per attività di ricerca, la disciplina sul monitoraggio prevista dal D.L. n. 138 del 2002, art. 5, commi 1 e 2, alla cui stregua il -riconoscimento dei crediti d’imposta è condizionato al non esaurimento dei relativi “stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di minori entrate” (così il cit. art. 5, comma 1), e ciò al fine di garantire la parità di trattamento tra i soggetti titolari dei medesimi e l’effettivo rispetto del principio costituzionale di copertura della spesa.

3.8. Tale ultima esigenza, del resto, era già codificata, per le spese, dalla L. 5 agosto 1978, n. 468, art. 11-ter, comma 1, (Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio), il cui contenuto precettivo è stato poi ribadito dalla L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 17, comma 1, (Legge di contabilità e finanza pubblica) e l’introduzione di un tetto massimo di stanziamento ha comportato la necessità di prevedere una procedura di selezione (anche) dei contribuenti da ammettere al beneficio fiscale in relazione alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008.

3.9. All’esito di tale selezione, disciplinata dallo stesso art. 29, commi 2 e 3 (sui cui si tornerà in seguito), alcuni di questi contribuenti (cosiddetti “perdenti”) si sono visti negare il riconoscimento dei loro diritti di credito, nonostante il legislatore con il D.L. n. 185 del 2008 avesse previsto, per gli anni dal 2008 al 2011, stanziamenti complessivamente superiori a quelli originariamente previsti dalla L. n. 296 del 2006.

3.10. Il legislatore, tuttavia, è nuovamente intervenuto con la L. n. 191 del 2009, prevedendo per i soli “perdenti” un ulteriore finanziamento di 400 milioni, poi ridotti a 350 dal D.L. n. 40 del 2010; nell’indicata prospettiva di valutare l’adeguatezza dell’intervento normativo censurato è poi di fondamentale importanza il rilievo che esso è stato effettuato con il “decreto anticrisi”, intitolato “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, volto a “fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale” e “potenziare le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede Europea” (così il preambolo al D.L. n. 185 del 2008).

3.11. La manovra era stata concepita a saldi nulli (art. 35), sicchè, per fronteggiare le maggiori uscite, il decreto prevedeva nuove entrate e riduzioni di spesa; il comma successivo a quello censurato dal rimettente, pur disponendo, in relazione ai crediti in parola, coperture nel tempo complessivamente superiori rispetto a quelle previste dal legislatore del 2006, stanziava dunque minori somme per il biennio 2008 e 2009 e creava quindi, per tale periodo, disponibilità finanziarie per fronteggiare il contagio della crisi economica internazionale e redistribuire risorse secondo un preciso disegno perequativo.

3.12. In questo quadro, come ribadito dalla Consulta, si deve pertanto ritenere che la disposizione censurata abbia una “”causa” normativa adeguata” (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), perchè trova giustificazione nei “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (sentenze n. 308, n. 170 e n. 103 del 2013, n. 264 e n. 78 del 2012) tutelati dagli artt. 2,3 e 81 Cost.; essa poi, sempre alla luce delle sue finalità e del contesto economico che ne ha visto la genesi, non viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità, poichè, a seguito dei successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti “perdenti” non è stata incisa in maniera assoluta, avendo gli ulteriori stanziamenti previsti per costoro permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dei loro crediti.

3.13. Per quanto la riduzione sia consistente, va poi evidenziato che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti andavano a coprire il 10 per cento dei costi delle attività di ricerca (il 40 per cento nel caso di contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca), cosicchè l’ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti (20 per cento per le attività convenzionate con università ed enti pubblici): il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese;

3.14. Non è irrilevante, infine, che il diritto in questione abbia ad oggetto il riconoscimento di un beneficio e non sia espressione di una pretesa fondata su un rapporto convenzionale; beneficio, per di più, di natura fiscale, e quindi maturato in un ambito in cui il tasso di politicità delle scelte legislative è massimo, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU (sentenze 31 marzo 2009, Faccio contro Italia; 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia, paragrafo 29);

4. Sulla base dei principi dianzi riportati vanno allora parimenti respinti il secondo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza impugnata per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, laddove si lamenta che la CTR, pur avendo affermato la sussistenza di un diritto soggettivo della contribuente alla fruizione di un credito d’imposta, aveva respinto la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato, che ne aveva negato l’esercizio in quanto rinviato “nel tempo, agli esercizi successivi al 2011, nell’ambito della capienza delle ulteriori somme che il legislatore riterrà di stanziare in futuro” (cfr. pag. 8 sentenza impugnata), il terzo motivo di ricorso, sulla dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 (Statuto dei diritti del Contribuente), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere ritenuto la legittimità dell’applicazione retroattiva del D.L. n. 185 del 2008, art. 29 ed il quarto motivo di ricorso, relativo alla pretesa “violazione e falsa applicazione della Legge n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”;

5. Sulla pretesa violazione dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, secondo principi già affermati da questa Corte (cfr. Cass. n. 4579/2018) è opportuno peraltro evidenziare come non solo la Corte Costituzionale, come sopra illustrato, ma anche la stessa Corte di Giustizia abbia affermato che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza situazioni particolari e a determinate condizioni.

5.1. In particolare, la Corte di Giustizia, in relazione alla definizione di legittimo affidamento, ha ribadito che, per quanto lo stesso sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa,in particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Corte Giust., sentenza del 23.11.1999 nella causa C-149/96); di conseguenza, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (vedasi sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987, 3745, punto 27 della motivazione; sentenzal7 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race. 1979, pag. 2755, punto 33 della motivazione; Corte Giust., caso C-350/88);

6.1. Con il quinto motivo di ricorso la contribuente denuncia, in relazione sempre all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3; sostiene che, a fronte di dette norme, la CTR avrebbe errato nel ritenere che il provvedimento di diniego del nulla osta fosse sufficientemente motivato e con tutte le informazioni necessarie per consentire al contribuente di difendersi compiutamente.

6.2. Su tale questione va riaffermato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8998/2014; n. 194/2004), secondo cui “solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva (o di quella di riscossione o sanzionatoria) (…) la motivazione dell’atto – come previsto da espresse disposizioni di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56) – non può che essere esaustiva, essendo l’Amministrazione, parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell’atto da parte del contribuente”; per converso, nel rapporto, a ruoli invertiti, in cui l’Ufficio, come nel caso di specie, assume il ruolo passivo di colui che “resiste” alla pretesa creditoria del contribuente, non è gravato dall’onere di motivare compiutamente le proprie ragioni; ne deriva che anche nel caso di specie deve ritenersi sufficiente ed adeguata, come argomentato dalla CTR, una motivazione del diniego di rimborso che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, anche limitandosi ad affermare l’insussistenza dei presupposti di legge per operare il diniego della richiesta di fruizione del credito di imposta.

6.1. Con il sesto motivo la contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, poichè i giudici di appello avrebbero errato nel ritenere che il diniego di nulla osta non necessitasse dell’indicazione del responsabile del procedimento.

6.2. La censura è parimenti infondata atteso che correttamente la CTR ha rilevato che la procedura era stata gestita da un elaboratore elettronico, sicchè non esisteva alcun procedimento nel cui ambito il contribuente avrebbe potuto interloquire; come osservato dal Giudice di appello, nel caso in esame il diniego di nulla osta, dipendendo unicamente dalla mancanza di risorse finanziarie e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda, assume la natura di un provvedimento vincolato, per il quale è esclusa la possibilità di annullamento a sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, in assenza di discrezionalità della Pubblica Amministrazione (per l’applicabilità del principio generale di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, anche in ambito tributario cfr. Cass. sent. nn. 3754/2013, 25773/2014, 332/2016, 5733/2018);

6.3. Infine, come parimenti rilevato dalla C.T.R. l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione Finanziaria non è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (c.d. Statuto del contribuente), nè a pena di nullità, poichè tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (cfr. Cass., Sez. U, n. 11722 del 14/05/2010), nè a pena di annullabilità; essendo la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti costituzionali del destinatario, trova, quindi, applicazione, come si è detto, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento – come, nel caso di specie, il diniego di nulla osta alla fruizione del credito di imposta “per superamento delle risorse finanziarie” -, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr., per tutte, Cass. n. 4516/2012);

7. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono il ricorso va pertanto rigettato.

8. La complessità delle questioni trattate e le divergenze giurisprudenziali, anche recenti, rendono opportuna l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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