Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1516 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32575/2018 proposto da:

O.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Torino 7,

presso lo studio dell’avvocato Laura Barberio e rappresentato e

difeso dall’avvocato Gianluca Vitale in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Procuratore Generale Corte Cassazione;

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il

30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, O.J., cittadino nigeriano, ha adito il Tribunale di Genova impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente, cittadino nigeriano di religione cristiana ed etnia benin, nato ad (OMISSIS), si era trasferito a (OMISSIS) con la madre e i fratelli, dopo la morte del padre; che nel (OMISSIS) la perdita della sorella maggiore lo aveva profondamente turbato, spingendolo ad interrogarsi sulla sua sessualità; nel (OMISSIS) aveva iniziato una relazione sentimentale con A.C., collega di lavoro; che a giugno del 2013 lui e l’amico erano stati avvistati in discoteca da un conoscente che, insospettito, aveva avvertito il padre dell’ A.; che costui aveva proibito la frequentazione dei due giovani e fatto licenziare il ricorrente; che a (OMISSIS) in occasione di un malore della madre, aveva chiesto aiuto all’amico, che si era dichiarato disposto a aiutarlo; che i due ragazzi erano però stati colti in atteggiamenti intimi e aggrediti e denunciati da diverse persone; che, ferito e sanguinante, si era visto costretto a scappare, fuori dal Paese, prima in Libia e poi in Italia.

Con ordinanza del 24/1/2017 il Tribunale di Genova ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da O.J. è stato rigettato dalla Corte di appello di Genova, con aggravio delle spese di lite, con sentenza del 23/3/2018.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso O.J., con atto notificato il 23/10/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e dell’art. 16 della direttiva 2013/342/UE, con particolare riguardo ai criteri per la valutazione della credibilità del richiedente.

1.1. Secondo il ricorrente, il giudizio di non credibilità è stato formulato in termini speculativi e senza alcuna analisi delle informazioni relative al contesto di provenienza; inoltre il diritto a un congruo esame della domanda avrebbe imposto alla Corte di appello l’ascolto del richiedente per permettere di spiegare le eventuali incoerenze e contraddizioni delle sue dichiarazioni.

1.2. La Corte di appello ha ritenuto lacunoso e non credibile il racconto del richiedente asilo, in particolare nella parte relativa alla presa di coscienza della sua asserita omosessualità e in quella riguardante l’episodio, giudicato inverosimile, dell’incontro amoroso con il compagno sorpreso da un vicino.

1.3. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-01; Sez. 6-1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571-01).

1.4. Il riferimento del ricorrente al D.Lgs. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, non è pertinente poichè tale norma riguarda il contenuto e la motivazione del provvedimento della Commissione territoriale e si limita a disporre che la decisione sulla domanda di protezione internazionale della Commissione debba essere corredata da motivazione di fatto e di diritto, dar conto delle fonti di informazione sulla situazione dei Paesi di provenienza, recare le indicazioni sui mezzi di impugnazione ammissibili, indicare il Tribunale territorialmente competente, i termini per l’impugnazione e specificare se la presentazione del ricorso sospende o meno gli effetti del provvedimento impugnato.

1.5. L’art. 16 della Direttiva 26/06/2013 n. 32 – 2013/32/CE, riguarda le modalità del colloquio personale in sede amministrativa allorchè dispone che nel condurre un colloquio personale sul merito di una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante assicura che al richiedente sia data una congrua possibilità di presentare gli elementi necessari a motivare la domanda ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2011/95/UE nel modo più completo possibile e garantisce al richiedente l’opportunità di spiegare l’eventuale assenza di elementi e/o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni.

L’art. 46 della stessa Direttiva nell’assicurare al richiedente asilo la possibilità di un ricorso giurisdizionale effettivo avverso la decisione assunta in sede amministrativa non prevede invece la necessaria reiterazione del colloquio personale, in particolare nel giudizio di appello (con riferimento al regime anteriore al D.L. n. 21 del 2017: in motivazione, Sez. 6-1, 8/6/16, n. 11754, Sez. 6-1 n. 24544 del 21/12/2011).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, in ordine ai criteri legali per l’accertamento della situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine del richiedente.

2.1. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva disatteso i precisi oneri normativi a suo carico, escludendo la configurabilità di una situazione di violenza indiscriminata in Nigeria senza alcun riferimento alle informazioni su tale Paese, non essendo a ciò sufficiente il generico riferimento all’Agenzia Europea per il supporto al diritto di asilo (EASO) e alle COI (country origin information), in difetto di indicazione di fonti specifiche, citazioni e datazioni.

2.2. La Corte territoriale, nell’esaminare la situazione sociopolitica del Paese di origine del richiedente ai fini della richiesta di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), con riferimento alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, ha sostenuto che l’area di provenienza ((OMISSIS)) era una delle zone più tranquille e sicure della Nigeria e si trovava a distanza considerevole dalla zona nord orientale del Paese, esposta alle attività terroristiche del gruppo (OMISSIS).

A tal fine la Corte ligure ha fatto riferimento alle “fonti ufficiali internazionali (EASO-COI)”.

2.3. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle c.d. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale (Sez. 1, 17/05/2019, n. 13452).

Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto: in tale prospettiva non è stato ritenuto sufficiente il mero riferimento a “fonti internazionali” (Sez. 6-1, 26/04/2019, n. 11312).

Nella fattispecie la Corte di appello ha introdotto un preciso riferimento alla fonte ufficiale consultata, che rientra fra quelle privilegiate indicate dalla norma di riferimento, ossia l’Agenzia Europea per il supporto al diritto di asilo (EASO: acronimo per European Agency Support Office), sul cui sito sussiste il collegamento al Portale COI (EASO COI Portal) che garantisce l’accesso informativo alle Country of Origin Information (COI) da utilizzare nelle procedure di riconoscimento del diritto alla protezione internazionale.

2.4. In ogni caso, nella struttura logica della sentenza impugnata la motivazione principale addotta dalla Corte di appello per il rigetto della protezione sussidiaria, rispetto alla quale il riferimento all’accertata sicurezza della zona di provenienza del ricorrente risulta secondaria e concorrente (pag. 8, ultimo capoverso: “Occorre inoltre rilevare….”), è stata esposta sempre a pagina 8, penultimo capoverso, laddove la Corte territoriale ha affermato che il ricorrente nell’indicare i motivi per i quali non voleva far rientro in Nigeria non aveva fatto alcun riferimento alla situazione politica del Paese che per lui non destava alcuna preoccupazione.

Tale concorrente, ed anzi prioritaria, ratio decidendi è rimasta esente da censure e da sola sorregge quindi la decisione adottata sul punto.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in tema di protezione umanitaria.

La Corte di appello si era limitata a considerazioni di carattere generale circa le condizioni di salute del richiedente, rifiutando l’esame delle condizioni di criticità esistenti in Nigeria e sottraendosi alla necessaria comparazione fra le prospettive di vita del richiedente asilo in Italia e in Nigeria.

Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha escluso, da un lato, una situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo e comunque una situazione di criticità presente in Nigeria, almeno dell’area territoriale da cui proviene il ricorrente, e, dall’altro ha rilevato che non sussisteva alcun legame del richiedente con il territorio italiano per legami familiari o attività lavorativa espletata.

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato, senza che occorra provvedere sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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