Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15157 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15157 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 7081-2011 proposto da:
TRASPORTI PUBBLICI DI TERRA D’OTRANTO S.P.A. P.I.
00396610750, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
DELLA LIBERTA’ 20-13, presso lo studio dell’avvocato
PIERLUIGI MANFREDONIA, rappresentata e difesa
2015

dall’avvocato CATALDO MOTTA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1537

contro

STEFANELLI MARIO C.F. STFMRA55GHO6B086J, MARASCHIO
ELIO C.F. MRSLEI55E111549T, FRISULLO ANTONIO C.F.

Data pubblicazione: 20/07/2015

FRSNTN46H16H632F, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA APPIANO N. 22, presso lo studio dell’avvocato
LUIGI INFANTE, rappresentati e difesi dall’avvocato
ITALO MARIANO SIGNORE, giusta delega in atti;
– controricorrenti

di LECCE, depositata il 01/10/2010 R.G.N. 1592/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/04/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
BUFFA;
udito l’Avvocato MOTTA CATALDO;
udito l’Avvocato MARIANO SIGNORE ITALO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 2251/2010 della CORTE D’APPELLO

Rg. 7081/11 – Società Trasporti di Terra d’Otranto c.
Stefanelli +2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La corte d’appello di Lecce, con sentenza del 1/10/10,

sede, ha condannato la Società Trasporti pubblici di Terra
d’Otranto al pagamento delle somme indicate per ciascun
lavoratore, oltre accessori e spese legali, a titolo di risarcimento
del danno da mancati riposi stabiliti dal regolamento CEE n. 3820
del 1985, richiamato oggi dall’art. 174 del nuovo codice della
strada (riposo minimo di 11 ore giornaliere e riposo settimanale
di 45 ore consecutive), e non fruiti benché gli stessi fossero stati
addetti per cinque giorni alla settimana alla guida di mezzi
destinati al trasporto di passeggeri su percorsi più lunghi di 50
chilometri.
2. In particolare, la corte territoriale ha confermato la decisione del
tribunale che -ritenendo peraltro che le soste inoperose fuori
residenza intervallavano corse del turno e non potevano essere
considerati riposo- aveva quantificato i mancati riposi sulla base
di CTU espletata sulla base di documenti prodotti dalle parti
(alcuni dei quali direttamente al consulente), traendo argomenti
di prova dalla mancata ottemperanza all’ordine di esibizione di
documenti disposta nei confronti del datore di lavoro; la corte ha
quindi ritenuto presunto il danno subito dai lavoratori, qualificato
come danno da usura psicofisica e non come danno biologico,
liquidando il danno in via equitativa, utilizzando come parametro
di riferimento la retribuzione prevista dalla contrattazione
collettiva di settore per la maggiorazione del lavoro straordinario,
notturno e festivo.
3. Avverso tale sentenza ricorre il datore per cinque motivi, cui
resistono i lavoratori con controricorso. Le parti hanno presentato
memorie.

1

confermando la sentenza del 26/5/08 del tribunale della stessa

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di
motivazione della sentenza impugnata sull’inutilizzabilità della
CTU, per non aver considerato che il CTU, sopperendo alle

documenti dalle parti in violazione dei termini di produzione
documentale e per non aver motivato adeguatamente
sull’eccezione sollevata sul punto.
5. I motivi sono inammissibili in quanto non viene specificato, in
violazione del principio di autosufficienza del ricorso, quali
sarebbero stati i documenti irritualmente acquisiti nel corso del
giudizio di primo grado, quale il loro contenuto, quale sia stata
l’influenza degli stessi sulla decisione, quale siano state
specificamente le deduzioni sul punto dell’appellante e, per altro
verso, quali i limiti alla acquisizione dei detti documenti ai fini
della ricerca della verità materiale.
6. Da un lato, infatti, questa Corte ha costantemente ritenuto (anche
ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, cod. proc. civ.: Cass. Sez. 6 L, Ordinanza n. 17915 del 30/07/2010, Rv. 614538) che il
ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di
motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o
sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o
processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze
oggetto della prova o il contenuto del documento erroneamente
interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro
trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il
controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove
stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per
cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base
delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative (Sez. 3, Sentenza n.
13677 del 31/07/2012, Rv. 623452; Sez. L, Sentenza n. 21632

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carenze probatorie dei ricorrenti, ha acquisito direttamente

del 20/09/2013, Rv. 628683; Sez. L, Sentenza n. 15751 del
21/10/2003, Rv. 567559; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 48 del
03/01/2014, Rv. 629011).
7. Dall’altro lato, è consolidato il principio secondo il quale, nel rito
del lavoro, il rigoroso sistema delle preclusioni che regola in egual
modo sia l’ammissione delle prove costituite che di quelle
costituende trova un contemperamento – ispirato alla esigenza

funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela
differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio
devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in
materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato
art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano
indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro,
da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti
ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti
stesse (Sez. L, Sentenza n. 23882 del 09/11/2006, Rv. 593504).
Ne deriva che, nel caso in cui il giudice abbia tenuto conto di
documenti irritualmente prodotti da una parte, idonei a provare
fatti dalla stessa dedotti ritualmente e sottoposti -pur
tardivamente- al contraddittorio delle parti (come nella specie), la
parte che intende censurare tale operato deve dedurre non solo
l’irritualità della utilizzazione del materiale probatorio, ma anche
la inutilità dei documenti ai fini della verità materiale, restando
altrimenti priva di decisività la questione processuale sollevata.

1. Con il terzo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione della
sentenza impugnata, per aver attribuito rilevanza ad mancata
ottemperanza del datore di lavoro ad ordine di esibizione
documentale, laddove l’onere della prova era a carico del
lavoratore.
2. Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito da un lato che il
lavoratore, in caso di loro rilevanza, ha diritto di conseguire
l’esibizione in giudizio, da parte del datore di lavoro, dei

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della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente

documenti relativi alle vicende del rapporto di lavoro (Sez. L,
Sentenza n. 9961 del 26/04/2007, Rv. 596576) e, dall’altro lato,
che rientra nei poteri discrezionali del giudice -il cui esercizio non
è sindacabile in sede di legittimità- il potere di ordinare alle parti
o a terzi l’esibizione di documenti (Sez. L, Sentenza n. 5242 del
09/04/2001, Rv. 545759), e che discrezionale è anche il potere di
desumere argomenti di prova dall’inosservanza dell’ordine di

esibizione di documenti come ammissione del fatto sia necessario
che vi siano elementi di prova concorrente: Sez. L, Sentenza n.
17076 del 27/08/2004, Rv. 577092).
3. Nella specie, a fronte della produzione da parte dei lavoratori dei
turni di lavoro per dato periodo del rapporto (con correlativa
prova documentale del supermento dei limiti legali prescritti per i
riposi giornalieri e settimanali), il giudice di merito ha ordinato al
datore di esibire i documenti relativi ad altre parte del periodo
lavorato, presumendosi (in difetto di allegazione e prova
contraria) che i turni di lavoro documentati dai lavoratori siano
rimasti immutati, e, non avendo il datore ottemperato all’ordine di
esibizione, il giudice ha tratto elementi di giudizio in ordine alla
reiterazione nel tempo delle modalità di espletamento del lavoro
(e quindi della violazione datoriale dei limiti legali).
La sentenza impugnata, motivata adeguatamente sia in ordine ai
presupposti per l’ordine di esibizione che in relazione alla
valutazione delle conseguenze della mancata ottemperanza
all’ordine, si sottrae dunque alle censure prospettate.
8. Con il quarto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione della
sentenza impugnata in ordine al danno, per aver presunto
l’esistenza del danno in assenza di pluralità di fatti gravi precisi e
concordanti.
9. Il motivo è infondato.
In linea generale (cfr., da ultimo, Cass. Sez. L, Sentenza n. 2886
del 10/02/2014,

Rv.630472) il danno da stress, o usura

psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non
4

esibizione (sebbene per l’eventuale valutabilità del rifiuto di

patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea
generale, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un
pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul
quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche
attraverso presunzioni semplici.
Con specifico riferimento al lavoro prestato oltre il sesto giorno
consecutivo, peraltro, questa Corte ha ritenuto (Sez. L, Sentenza

“usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione del riposo
dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno
biologico, che si concretizza, invece, in una “infermità” del
lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in
conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai
riposi settimanali e che nella prima ipotesi, a differenza che nella
seconda ipotesi, il danno sull'”an” deve ritenersi presunto (così
anche Sez. L, Sentenza n. 2455 del 04/03/2000, Rv.534580).
La soluzione si spiega in considerazione della circostanza che nella
fattispecie l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento
datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost.,
sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al
risarcimento del danno non patrimoniale (a differenza di quanto
avviene in altre diverse fattispecie -per le quali siffatta copertura
non sussiste-, come in relazione al danno derivante dal mancato
riconoscimento delle soste obbligatorie nella guida per una durata
di almeno 15 minuti tra una corsa e quella successiva e,
complessivamente, di almeno un’ora per turno giornaliero previste del Regolamento n. 3820/85/CEE, nonché dall’ art. 14
del Regolamento O.I.L. n. 67 del 1939 e dall’art. 6, primo comma,
lett. a) della legge 14 febbraio del 1958, n. 138-, esaminato dalla
sentenza 2886/2014 su richiamata).
10.Nella specie, la corte territoriale, con motivazione corretta ed
adeguata, ha accertato che l’adibizione del lavoratore a turni di
lavoro senza riconoscimento dei riposi di legge, per come
documentalmente emergente dall’istruttoria, ha determinato -in
violazione dei limiti di legge- l’aumento della penosità del lavoro,

5

n. 16398 del 20/08/2004, Rv.576013) di distinguere il danno da

rilevante tanto più in quanto protrattasi per lungo tempo (diversi
anni), con efficienza lesiva costante (in quanto ancorata a turni
omogenei, replicatisi nel tempo), con incidenza su diritti
costituzionalmente protetti inerenti i diritti fondamentali della
persona (rispetto ai quali dunque la valutazione della gravità
dell’offesa e della serietà del pregiudizio, e quindi della sua
risarcibilità, è già operata dall’ordinamento).

Corte secondo il quale l’attribuzione patrimoniale spettante al
lavoratore a causa della perdita della cadenza settimanale del
riposo, ex at.36, terzo comma Cost., – avente natura risarcitoria
di un danno (usura psico-fisica) correlato ad un inadempimento
del datore di lavoro – deve essere stabilita dal giudice secondo
una motivata valutazione che tenga conto della gravosità delle
varie prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti
affini della disciplina collettiva, nonché di clausole collettive che
disciplinino il risarcimento riconosciuto al lavoratore nell’ipotesi
“de qua”, non confondendosi siffatto risarcimento con la
maggiorazione contrattualmente prevista per la coincidenza di
giornate di festività con la giornata di riposo settimanale
(principio affermato da Cass. Sez. L, Sentenza n. 8709 del
11/04/2007, Rv.596529, in fattispecie concernente dipendenti di
società di autolinee con mansioni di guida espletate in turni
comportanti attività lavorativa per sette o più giorni consecutivi,
con conseguente slittamento del riposo settimanale, di media,
una volta al mese).
La sentenza ha accertato dunque fatti univoci, reiterati e gravi,
posti in essere in violazione di precisi limiti legali, idonei come tali
ad esporre il datore di lavoro al risarcimento del danno anche non
patrimoniale, sicché i motivi di ricorso in esame vanno rigettati.

11.Con il quinto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione
della sentenza impugnata sull’entità del danno, per aver
quantificato il danno equitativamente, utilizzando -senza
motivazione- la retribuzione relativa allo straordinario.

6

La sentenza è dunque in linea con il principio affermato da questa

12.11 motivo è infondato, avendo la corte adeguatamente motivato in
ordine al criterio di liquidazione del danno prescelto, facendo
corretto riferimento alla maggior penosità della prestazione
lavorativa non accompagnata dai prescritti riposi giornalieri e
settimanali e, correlativamente, al maggior valore economico
della prestazione eccedente i limiti di legge, evocando

il

compenso previsto dalla contrattazione per l’ipotesi –

fattispecie dei mancati riposi giornalieri- dello straordinario.
La decisione è corretta e non è qui sindacabile, atteso quanto
affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, Sentenza n.
1529 del 26/01/2010, Rv. 611250), secondo la quale la
valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente
caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile
di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della
motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella
statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di
comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria.
Del resto, la decisione non solo è immune dai vizi ora detti, ma è
anche in linea con gli insegnamenti delle

Sez. U

(n. 1607 del 03/04/1989, Rv. 462388), secondo le quali, nel caso
di prestazione dell’attività lavorativa di domenica, senza fruizione
del riposo in altro giorno della settimana, il mancato riposo
settimanale, con l’usura psicofisica che ne deriva, costituisce per il
lavoratore – cui per tale prestazione dev’essere corrisposta la
retribuzione giornaliera (in quanto la paga normale compensa
solo sei giorni la settimana) – uno specifico titolo di risarcimento,
che è autonomo rispetto al diritto alla maggiorazione per la
penosità del lavoro domenicale; tale risarcimento, in mancanza di
criteri legali o di principi di razionalità che ne impongano la
liquidazione in una somma pari ad un’altra retribuzione
giornaliera, dev’essere liquidato in concreto dal giudice del
merito, alla stregua di una valutazione che – anche mercé
l’utilizzazione di strumenti ed istituti previsti dalla contrattazione
collettiva – tenga conto della gravosità delle varie prestazioni

7

correttamente richiamabile proprio per la sua analogia con la

lavorative, non essendo il danno per il sacrificio del riposo
settimanale determinabile in astratto.

13.Per tutto quanto detto il ricorso deve essere rigettato.
14.Le spese di lite seguono la soccombenza, con distrazione in favore
dell’avv. Signore che ha reso la dichiarazione di rito. La
liquidazione è riportata in dispositivo e tiene conto del valore della

essere compensate per metà in relazione al carattere di novità
della questione esaminata dalla Corte negli specifici termini
prospettati.

p.q.m.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore
della controparte di metà delle spese di lite che si liquidano per
l’intero in C 2.800,00 per compensi ed C 100,00 per spese, oltre
accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%,
con distrazione in favore dell’avv. Italo Signore.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 aprile 2015.

causa e del numero di parti assistite. Le spese devono, peraltro,

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