Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15155 del 02/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15155 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 9300-2012 proposto da:
BERRIOLA FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso
RIA TERESA MARRA giusta procura a margine del
dall’avvocato MA\
ricorso;
– ricorrente contro
COMUNE DI NAPOLI, 80014890638, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domicilio to in ROMA, VIA FRANCESCO
DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato NICOLA LAURENTI,
rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARIA FERRARI, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

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Data pubblicazione: 02/07/2014

avverso la sentenza n. 2421/2011 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata 11 05/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2014 dal Consigliere Relatore Doti CATERINA MAROTTA.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente

“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Napoli, Francesco
Berriola esponeva di essere stato utilizzato dall’1/11/2001 al 2/7/2003
dal Comune di Napoli in lavori socialmente utili, percependo
dall’I.N.P.S. l’assegno di cui al d.lgs. 468 del 1997, art. 8, comma 3, che
andava a compensare le 20 ore settimanali di lavoro prestato, mentre per
le 5 ore settimanali lavorate in più il Comune gli aveva corrisposto un
importo inferiore al dovuto, inferiore cioè a quello previsto dal
medesimo art. 8, comma 2, che doveva essere corrispondente alla paga
oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le
ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che
svolgono attività analoghe presso il soggetto utilizzatore. Il Tribunale
rigettava la domanda e la statuizione veniva confermata dalla locale
Corte di appello. La Corte adita rilevava che il d.lgs. n. 81 del 2001,
recante integrazioni e modifiche alla materia dei lavori socialmente utili,
dopo avere previsto all’art. 4 che per l’impegno settimanale di 20 ore
compete la somma di L. 850.000, stabilisce all’art. 5 (Procedure di
decisione, di comunicazione, di trasformazione) che gli organi
competenti degli enti utilizzatori deliberano tutta una serie di
provvedimenti tra cui la durata dell’attività così come disciplinata
dall’art. 4 del presente decreto e l’eventuale quantità di ore aggiuntive e il
corrispettivo ammontare del trattamento economico. Osservava la
Corte che la rimessione agli enti utilizzatori di determinare la quantità di
ore aggiuntive ed il relativo corrispettivo, costituiva una novità rispetto
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contenuto:

alla normativa precedente di cui al d.lgs. 468 del 1997, la quale, all’art. 8,
stabiliva, invece, espressamente i compensi per dette ore aggiuntive
prevedendo per esse «un importo integrativo corrispondente alla
retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale, calcolato
detraendo le ritenute previdenziali ed assistenziali previste per i

dipendenti che svolgono attività analoghe presso il soggetto
utilizzatore». La Corte adita riteneva che, stante il carattere innovativo,
la nuova disposizione era incompatibile con il sistema di
predeterminazione precedente e quindi, anche se la nuova legge non
aveva espressamente abrogato il d.lgs. n. 468 del 1997, art. 8, l’effetto
abrogativo si era determinato in forza della predetta incompatibilità, alla
stregua dell’art. 10, comma 3 del medesimo d.lgs. n. 81 del 2001.
Avverso detta sentenza il Berriola propone ricorso per cassazione
affidato a quattro motivi.
Resiste il Comune di Napoli con controricorso.
Con i quattro motivi il ricorrente, denunziando violazione dei criteri
interpretativi delle leggi di cui agli artt. 12 e 15 delle preleggi in relazione
all’art. 8 del digs. n. 468 del 1997, agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 81/2000, ed
all’art. 38 della Cost. nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 5
digs. n. 81/2000 e del punto g) del medesimo art. 5 e violazione degli
artt. 38 e 117 della Cost., lamenta che la sentenza impugnata abbia
riconosciuto la legittimità di un compenso inferiore rispetto a quello di
cui alla norma indicata. In particolare, il ricorso investe l’affermazione
della sentenza impugnata, secondo la quale l’art. 8 citato sarebbe stato
implicitamente abrogato, per incompatibilità sopravvenuta con le
disposizioni di cui al d.lgs. n. 81 del 2000, il cui art. 10, terzo comma,
prevede: «Restano confermate le disposizioni vigenti in materia di
lavori socialmente utili di cui al decreto legislativo n. 468 del 1997 e

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successive modifiche e al decreto interministeriale 21 maggio 1998, in
quanto compatibili con le disposizioni del presente decreto legislativo».
Il ricorso è manifestamente fondato alla luce dei precedenti di questa
Corte n. 6670 del 3 maggio 2012 e n. 28602 del 20 dicembre 2013 cui va
data continuità.

lavoratori impegnati in lavori socialmente utili, coloro che erano
percettori di un trattamento previdenziale, ossia di indennità di mobilità
o di trattamento straordinario di cassa integrazione, e coloro che invece
erano privi di tale trattamento.
Per i primi il comma 2 prevede che il trattamento previdenziale così
percepito vada a remunerare il lavoro prestato presso il soggetto
utilizzatore. Quest’ultimo null’altro deve corrispondere se il medesimo
trattamento previdenziale è sufficiente a coprire le ore lavorate, mentre,
se vi sono ore eccedenti, il soggetto utilizzatore deve remunerarle, e la
remunerazione era fissata dalla legge, che la determinava nel livello
retributivo iniziale dei dipendenti svolgenti analoghe mansioni.
Per i secondi invece (comma 3 dell’art. 8) l’I.N.P.S. deve erogare la
somma di L. 800.000 mensili, fermo restando, anche in questo caso,
l’obbligo del soggetto utilizzatore di remunerare nello stesso modo le
ore eccedenti.
La questione per cui è causa è la seguente: se il d.lgs. n. 81 del 2000,
che ha modificato il d.lgs. n. 468 del 1997, abbia o no implicitamente
abrogato la prescrizione, di cui all’art. 8 commi 2 e 3 di quest’ultimo
testo normativo, per cui il soggetto utilizzatore, alla stregua del d.lgs. n.
81 del 2000, sarebbe libero di determinare a suo piacimento il compenso
spettante ai lavoratori impegnati in lsu per le ore eccedenti quelle già
remunerate o con i citati trattamenti di sostegno al reddito, ovvero con
le L. 800.000 mensili.
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Va premesso che il d.lgs. n. 468 del 1997, art. 8, distingue, tra i

La sentenza impugnata ha ritenuto che il soggetto utilizzatore, alla
luce della nuova legge, non abbia più vincoli e quindi possa compensare
le ore eccedenti anche in misura inferiore rispetto a quella determinata
dalla legge precedente.
Detta conclusione non è condivisibile sulla base delle seguenti

abrogazione di varie disposizioni del d.lgs. n. 468 del 1997, non
comprende l’art. 8 sul metodo sopra citato per calcolare il compenso per
le ore eccedenti, anzi conferma le disposizioni della legge precedente,
che siano compatibili con la nuova disciplina; – il d.lgs. n. 81 del 2000
riguarda solo i soggetti che avevano già iniziato i lavori socialmente utili;
dispone infatti l’art. 2 comma 1 che «Le disposizioni del presente
decreto si applicano, salvo quanto previsto dall’art. 10, comma 1, ai
soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili e che abbiano
effettivamente maturato dodici mesi di permanenza in tali attività nel
periodo dal 10 gennaio 1998 al 31 dicembre 1999»; – la nuova legge n.
81 del 2000, art. 4, riguarda coloro che non godevano di alcun
trattamento previdenziale e che quindi ricevevano le 800.000 lire a
carico dell’I.N.P.S. (si trattava cioè dei soggetti previsti non dal d.lgs. n.
468 del 1997, art. 8, comma 2, ma di quelli di cui all’art. 8, comma 3.
L’istituto degli lsu continua però ad operare anche per coloro che
ricevevano il trattamento previdenziale (lo si ricava non solo dall’art. 9,
comma 1, sulla Disciplina sanzionatoria, per il quale: «I soggetti di cui
all’art. 2, comma 1, ivi compresi quelli che usufruiscono dei trattamenti
previdenziali…», ma anche dal fatto che non fu abrogato il d.lgs. n. 468
del 1997, art. 8, in cui erano appunto inclusi, al comma 2, coloro che
godevano di trattamenti previdenziali); – all’art. 4 del d.1g-s. si dispone:
«1. L’utilizzo nelle attività di cui all’art. 3 non determina l’instaurazione
di un rapporto di lavoro. Per lo svolgimento di dette attività compete ai
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argomentazioni: – il nuovo digs. n. 81 del 2000, che pur reca all’art. 10 la

soggetti utilizzati, per un impegno settimanale di venti ore e per non più
di otto ore giornaliere, un importo mensile di L. 850.000, denominato
assegno di utilizzo per prestazioni in attività socialmente utili». Questo
però non significa il venir meno dell’obbligo da parte dell’utilizzatore di
remunerare le ore eccedenti, proprio perché il d.lgs. n. 468 del 1997, art.

somma mensile di L. 850.000, si limita dunque solo ad aggiornare quella
precedente di L. 800.000; – inoltre l’art. 5 del d.lgs. del 2000 (Procedure
di decisione, di comunicazione, di trasformazione) così testualmente
dispone: «1. Al fine di proseguire le attività, secondo le modalità di cui
all’art. 4, gli organi competenti degli enti utilizzatoti, preso atto delle
dichiarazioni rese dai soggetti impegnati ai sensi dell’art. 2, comma 3,
deliberano: a) l’elenco nominativo dei soggetti impegnati; b) le attività
espletate dall’ente utilizzatore nell’ambito di quelle indicate nell’art. 3; e)
le eventuali qualifiche professionali di ciascun soggetto e l’attività da
svolgere; d) la località e la sede di svolgimento delle attività; e) la durata
dell’attività così come disciplinata dall’art. 4 del presente decreto; f) le
modalità organizzative delle attività; g) l’eventuale quantità di ore
aggiuntive e il corrispettivo ammontare del trattamento economico»; è
quindi espressamente confermata la regola che, se si lavora un numero
di ore maggiore rispetto a quelle remunerate con la prestazione
previdenziale o con le L. 850.000, le ore eccedenti vengano compensate
con onere a carico dell’utilizzatore.
Sarebbe, del resto, incongruo lasciare all’arbitrio dell’utilizzatore il
trattamento economico per queste ore, soprattutto considerando che il
d.lgs. n. 81 del 2000, riguarda lavoratori che erano già stati impegnati in
lsu.
È vero poi che è prevista una delibera dell’utilizzatore in ordine al
compenso da erogare per ore eccedenti, ma la necessità della delibera
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8, non è stato abolito, mentre l’art. 4 della nuova legge, indicando la

non può considerarsi come «incompatibile» con la sua
predeterminazione secondo la legge precedente.
Peraltro il lavoratore, secondo il meccanismo prefigurato dal nuovo
testo del 2000 (cfr. art. 2, comma 3) dovrebbe dichiararsi disponibile a
continuare nell’attività di lsu prima ancora di avere avuto conoscenza

che lo sappia in precedenza.
Si deve allora concludere che, anche alla luce della nuova legge,
poiché l’art. 8 di quella precedente non è stato abrogato, né risulta
incompatibile con le innovazioni introdotte, il soggetto utilizzatore deve
remunerare le ore eccedenti mediante un importo integrativo, non
liberamente determinato, ma corrispondente alla retribuzione oraria
relativa al livello retributivo iniziale, calcolato detraendo le ritenute
previdenziali ed assistenziali previste per i dipendenti che svolgono
attività analoghe.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del
ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra
Corte di appello che procederà al conteggio delle spettanze attenendosi
al principio sopra indicato, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n.
5, cod. proc. civ..
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le
considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di
legittimità in materia (dovendosi evidenziare che ai precedenti di questa
Corte citati nella relazione hanno fatto seguito le conformi Cass. 4
maggio 2014, n. 9577, Cass. 30 aprile 2014, n. 9476, Cass. 14 aprile
2014, nn. 8645, 8644, 8643) non scalfite, neppure in parte, dalle
deduzioni di parte ricorrente di cui alla memoria ex art. 378 cod. proc.
civ..
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della misura del compenso per le ore eccedenti, mentre sembra logico

Va, in ogni caso, ulteriormente sottolineato che l’interpretazione
fornita dal Comune, tesa a rinvenire l’intento abrogativo del legislatore
in una presunta devoluzione di competenza agli enti utilizzatori nella
determinazione del compenso per il plus orario, contrasta apertamente
con il tenore letterale e logico della norma sopra scrutinata. Anche la

comprendere come il riferimento all’ammontare del trattamento
economico, lungi dall’attribuire un autonomo potere di quantificazione
secondo non precisati altri criteri, sia diretto unicamente a
predeterminare l’importo della spesa che l’ente dovrà affrontare nel caso
in cui stabilisca eventuali ore aggiuntive di lavoro e, conseguentemente,
a garantire il rispetto dei vincoli finanziari.
Va, dunque, ribadito che, in tema di lavori socialmente utili le ore
eccedenti a quelle remunerate devono essere compensate
dall’utilizzatore, senza che la necessità di una delibera da parte di
quest’ultimo in ordine al trattamento economico per tali ore aggiuntive
possa considerarsi incompatibile con la predeterminazione effettuata in
base alla legge anteriore.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata la sentenza
impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione, che procederà al conteggio delle spettanze attenendosi al
principio sopra enunciato. Al giudice del rinvio è rimessa anche la
decisione sulle spese del presente processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa
composizione.
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sola interpretazione testuale della disposizione, infatti, consente di

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2014.

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