Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15153 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 04/11/2016, dep.20/06/2017),  n. 15153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18841/2014 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO NICCHI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DIOCESANO SOSTENTAMENTO CLERO DI ASSISI NOCERA UMBRA E

GUALDO TADINO elettivamente domiciliato in ROMA, V. SCIPIO SLATAPER

9, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIE’, che lo rappresenta

e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 628/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato SERGIO NICCHI;

udito l’Avvocato MASSIMO FILIE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/1/2014 la Corte d’Appello – Sezione specializzata agraria – di Perugia ha respinto il gravame interposto dal sig. R.C. in relazione alla pronunzia Trib. Perugia – Sezione specializzata agraria – 17/11/2012, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dall’Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero Di Assisi, Nocera Umbra e Gualdo Tadino di risoluzione del contratto per sua morosità del contratto d.d. 23/6/1999 (modificato con scrittura del 22/5/2000), stipulato in deroga alla L. n. 203 del 1982, con l’assistenza delle rispettive organizzazioni sindacali di categoria, con condanna al rilascio e al pagamento dei canoni maturati e non pagati e quelli maturandi fino al rilascio; con rigetto della domanda nei confronti di quest’ultimo in via riconvenzionale spiegata di declaratoria di nullità delle clausole derogatorie della L. n. 203 del 1982, in ordine alla durata del contratto, all’ammontare del canone e alla rinunzia all’indennizzo per i miglioramenti, con restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al dovuto.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il R. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.

Resiste con controricorso l’Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero di Assisi, Nocera Umbra e Gualdo Tadino.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 957, 958, 975 c.c., L. n. 607 del 1966, artt. 1 e 13, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente qualificato il contratto in argomento come di affitto di fondo rustico, laddove “da un’analisi del testo del contratto del 23.06.1999 e delle obbligazioni assunte dalle parti, emerge… chiaramente che il rapporto instaurato tra le stesse doveva e dovrà essere qualificato… come di enfiteusi o meglio come contratto agrario atipico cui è applicabile (ai sensi della L. n. 607 del 1966, art. 13) la disciplina sull’enfiteusi”.

Lamenta che “a fronte… di un diritto di godimento sul fondo di proprietà dell’Istituto… erano stati previsti a carico del Sig. R. sia l’obbligo di apportare miglioramenti al fondo (art. 10 contratto del 23.06.1999)… sia l’obbligo di provvedere al pagamento di un canone annuale in denaro” nonchè il diritto “di ricevere un indennizzo per le opere di miglioramento da eseguire”, e, trattandosi di “un vero e proprio obbligo (“essenziale”), da cui inadempimento… sarebbe derivata quale conseguenza giuridica “la rescissione” del contratto (cfr. art. 26 contratto del 23.06.1999)”, si evince “chiaramente” che trattasi nella specie di enfiteusi, in quanto “per l’affittuario non sussiste alcun “obbligo” di eseguire opere di miglioramento fondiario”, laddove, “anche in caso di autorizzazione”, la “esecuzione delle migliorie costituisce una mera “facoltà” per l’affittuario”. E che in caso di previsione contrattuale “dell’esecuzione da parte dell’affittuario di opere di miglioramento”, “una simile previsione… sarebbe idonea a far qualificare – indipendentemente dal nomen utilizzato – il contratto… in discussione… come contratto agrario atipico con prevalenza dei caratteri del rapporto enfiteutico”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione dell’art. 2732 c.c., L. n. 11 del 1971, art. 23 (come sostituito dalla L. n. 203 del 1982, art. 45), L. n. 203 del 1982, art. 58 e art. 421 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la motivazione dell’impugnata sentenza “rappresenta… una aperta violazione e/o un disconoscimento e/o un’incomprensibile omissione di valutazione di quello che è l’impianto delle Leggi…”.

Lamenta che “il contesto normativo in cui è inserito della L. n. 203 del 1982, art. 45, consente… di affermare che alla mancanza di effettività della suddetta assistenza non è semplicemente ricollegabile una responsabilità delle Organizzazioni professionali inadempienti, bensì una vera e propria nullità delle clausole derogatorie”.

Con il 3^ motivo denunzia violazione degli artt. 1419, 1429 c.c., art. 421 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente “rigettato anche la domanda di nullità della clausola contenuta nell’art. 15 del contratto per vizio del consenso… rappresentato da errore essenziale…”, come si evince tra l’altro dalla “relazione tecnica redatta da Perito Agrario P.S. (doc. 19 fascicolo di primo grado)”.

Con il 4^ motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole dell’erroneità dell’impugnata pronunzia in quanto “l’Istituto diocesano convenuto non ha mai dedotto, nè tantomeno richiesto – spiegando apposita domanda – che in caso di accoglimento della suddetta eccezione venisse pronunciata la nullità dell’intero contratto… “.

Con il 5^ motivo denunzia “omesso esame”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia “omesso integralmente di prendere in considerazione, esaminare e quindi pronunciarsi su quanto dedotto, prodotto ed allegato a sostegno del motivo di impugnazione della sentenza di primo grado rubricato al punto 2.1 del ricorso in appello”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che il ricorso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, alla “relazione tecnica redatta dal Perito Agrario P.S. (doc. 19 fascicolo primo grado R.)”, alle “rassicurazioni fornite dal legale rappresentante dell’Istituto diocesano concedente”, alla “documentazione presente agli atti di causa”, ai “lavori eseguiti dal sig. R. sul casolare (riconosciuti espressamente dall’Istituto concedente)”, alla “condotta della parte odierna appellata”, al “motivo di appello proposto dall’appellante in ordine alla dedotta violazione del combinato disposto della L. n. 203 del 1982, art. 5 e L. n. 508 del 1973”, all’avere riguardo a quest’ultimo “l’Istituto diocesano appellato… preso specificamente posizione”) senza invero riprodurli nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Con particolare riferimento al 1^ motivo va osservato che l’odierno ricorrente inammissibilmente censura la qualificazione del contratto operata dal giudice del merito senza invero nemmeno dedurre i criteri legali d’interpretazione ex artt. 1362 c.c. e segg., asseritamente violati.

Quanto al 2^ motivo va posto in rilievo che il ricorrente formula una doglianza presupponente un accertamento di fatto in ordine alla “esistenza di un’effettiva assistenza dei presunti rappresentanti delle OO.SS. intervenuti alla firma del contratto”, inammissibile nella presente sede di legittimità.

Deve ulteriormente sottolinearsi come il medesimo si limiti invero a riproporre le proprie tesi già sottoposte al giudice del gravame e da questi rigettate.

Senza sottacersi, da un canto, che l’errore determinante quale vizio del consenso dà luogo all’annullabilità e non già alla nullità del contratto, come viceversa sostenuto dall’odierno ricorrente; e, per altro verso, che la nullità anche parziale è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, non essendo al riguardo indefettibilmente necessaria la domanda di parte.

Deve infine osservarsi che il denunziato vizio di motivazione risulta inammissibilmente dedotto al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione termporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione o l’omesso esame di determinati elementi probatori, essendo sufficiente che come nella specie il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario dare conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312), giacchè il vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, di cui Euro 7.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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