Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15153 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1708-2009 proposto da:

CASA DI CURA VILLA PINI D’ABRUZZO S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in roma, via

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato CIPRIETTI SABATINO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G., D.E., D.D., nella

qualità di eredi di D.B., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato

NOTARMUZI STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato MARCONE

BRUNO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1438/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/01/2008 R.G.N. 1799/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato ZAZA CLAUDIO per delega MARCONE BRUNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello dell’Aquila, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di D.B., proposta nei confronti della Casa di Cura Villa Pini d’Abruzzo, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli, in data 15 febbraio 2002, dalla predetta Casa di cura con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

La Corte territoriale, premesso che la contestazione dell’addebito si riferiva ad un rifiuto di essere adibito occasionalmente ad un diverso posto di lavoro per svolgervi le sue mansioni per un solo pomeriggio, riteneva che siffatto comportamento, in quanto limitato ad un solo giorno, non era tale da incidere irrimediabilmente sul rapporto di lavoro.

La Corte del merito,inoltre, osservava che vi erano elementi tali da indurre, e a considerare la contestazione speciosa e strumentale, e ad apprezzare come giustificato il comportamento del lavoratore o quantomeno scusabile sì da diminuire notevolmente la gravità della sua condotta quand’anche la si volesse valutare come scorretta.

Tanto, secondo la Corte aquilana, doveva assumersi perchè lo spostamento, che comportava una modifica del turno lavorativo, era stato comunicato il giorno precedente senza alcuna valutazione delle contrapposte esigenze e riguardava un giorno in cui era stato indetto uno sciopero senza alcuna dimostrazione della liceità della decisione anche con riferimento agli accordi sindacali regolanti la materia.

D’altro canto, sottolineava la Corte del merito, il lavoratore aveva giustificato il suo rifiuto con la volontà di svolgere il lavoro a cui era adibito e il datore di lavoro non aveva fornito alcuna spiegazione del motivo della decisione assunta, nè si era presentato a render l’interrogatorio libero e formale.

Del resto, osservava ancora la Corte in parola, il lavoratore si era recato al lavoro ed aveva eseguito la sua prestazione nell’originario posto di lavoro senza che l’addetto al personale gli avesse rinnovato La disposizione di spostarsi ad altro reparto.

Avverso questa sentenza la Casa di Cura in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di cinque censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Casa ricorrente, deducendo violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, formula, ex art. 366 bis epe, il seguente quesito: “Dica il Collegio, se sulla scorta delle risultanze istruttorie come sopra trascritte, risultava provata la giusta causa di licenziamento dedotta e se dunque i comportamenti in concreto tenuti dal dipendente D.B. così contestati (omissis) concretassero addebiti tali da costituire una giusta causa di licenziamento”.

La censura è inammissibile.

Infatti secondo giurisprudenza di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che, invece, deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e Cass. 23 luglio 2008 n. 20355 cui adde, nello stesso senso, Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471).

Nella specie vi è appunto la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizi di motivazione che si conclude con la formulazione di un solo quesito.

Nè può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai singoli quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali alla violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c..

A tanto va aggiunto che il quesito, per come articolato, tende sostanzialmente ad ottenere una valutazione dei fatti la quale è estranea al sindacato di legittimità in quanto è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (V. per tutte Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e Cass. 27 luglio 2008 n. 2049).

Con la seconda critica la Casa ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2119, 2104 e 2106 c.c. nonchè degli artt. 30 e 33 del CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie e vizio di motivazione, articola, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “Dica il Collegio se i comportamenti tenuti dal dipendente D.B., così contestati omissis, siano disciplinarmente rilevanti in quanto contrastanti con i precetti generali dell’ordinamento, anche rinvenibili nella coscienza sociale e se gli.

stessi contravvengono a specifici doveri ed obblighi imposti dal CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie, nonchè agli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore”.

Il motivo è improcedibile non avendo la società ricorrente, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 depositato il testo integrale del contratto collettivo di cui deduce la violazione. Questa Corte infatti a Sezioni Unite, con sentenza del 23 ottobre 2010 n. 20075 ha sancito, nel comporre un contrasto sorto in senso alla sezione lavoro della Cassazione, che il richiamato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 nella parte in cui onera il ricorrente principale o incidentale – a pena d’ìmprocedibilità del ricorso, di depositare i contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, deve interpretarsi nel senso che allorchè il ricorrente denunci la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere ad oggetto, a pena d’improcedibilità non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni. Nella specie con la censura in esame si deduce la violazione di norme di contratto collettivo nazionale e la ricorrente non ha provveduto a depositare insieme al ricorso il testo integrale del contratto collettivo nazionale di cui denuncia la violazione a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con la terza censura la Casa ricorrente, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, e vizio di motivazione, articola, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “Dica il Collegio se , in relazione alla dedotta violazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, la carenza di pronuncia in ordine all’eccezione dell’aliunde perceptum concreti una violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori e se, nel caso di specie, le somme percepite da D. B. per attività lavorativa espletata a favore di altri in epoca successiva al licenziamento andassero detratte dall’importo dovuto per effetto dell’annullamento del licenziamento”.

La censura è inammissibile.

Tanto deve affermarsi, non solo perchè vi è la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizio di motivazione che, come rilevato in sede di scrutinio del primo motivo del ricorso, contrasta con la regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c., ma anche in quanto il relativo quesito si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non è idoneo ad assolvere alla sua funzione.

Questa Corte ha ritenuto, invero, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie ( Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759);

Con il quarto motivo la Casa ricorrente, allegando violazione dell’art. 232 c.p.c. e vizio di motivazione, formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “Dica il Collegio se,in relazione alla dedotta violazione dell’art. 232 c.p.c. nel caso di specie, la mancata risposta da parte del datore di lavoro, all’interrogatorio libero integrasse comportamento processuale decisivo al fine dell’accertamento della legittimità del licenziamento irrogato dalla società datrice di lavoro con lettera del 15.5. 2002 che testualmente prevede omissis, e se sul punto la motivazione sia sufficiente”.

Anche in questo caso la censura è inammissibile, non solo per la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizio di motivazione, ma altresì per la genericità del quesito.

Del resto, con la censura in esame si chiede a questa Corte di valutare se la motivazione sia sufficiente senza indicare le eventuali ragioni della dedotta insufficienza e ciò contrasta con la regola di cui al richiamato art. 366 bis c.p.c., la quale impone la precisazione, come rimarcato in precedenza, delle ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione.

Del resto,non può sottacersi che appare del tutto corretto sul piano giuridico tenere nel dovuto conto – nella valutazìone globale dei fatti di causa – di un comportamento processuale concretizzatosi nel non presentarsi per tre volte a rendere l’interrogatorio libero e nel rifiutarsi dal render l’interrogatorio formale.

Con l’ultima censura la Casa ricorrente, assumendo violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e vizio di motivazione, elabora, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito: “Dica il Collegio se, sulla scorta delle risultanze istruttorie come sopra trascritte sub 1, risultava provata la ricorrenza di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento in relazione a fatti commessi da B.D.”.

La censura, come le precedenti, è inammissibile in quanto oltre a contenere la mescolanza di motivi relativi alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, il relativo quesito si risolve nell’istanza di un accertamento di fatto, quello concernente la ricorrenza in base alle risultanze istruttorie di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, precluso, come innanzi osservato, in questa sede di legittimità.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro tremilaquaranta/00 di cui Euro tremila/00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali che attribuisce all’avv.to Bruno Marcone anticipatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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