Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15150 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 19/10/2016, dep.20/06/2017),  n. 15150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23493/2013 proposto da:

L.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

DI FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO LEMME, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.F., S.S., S.S., SI.SE.;

– intimati –

nonchè da:

SI.SE., S.S., S.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, V. VITT. VENETO 108 C/O ST. MALIZIA ROBERTO,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CHIUCCHIOLO, che li

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

L.R. (OMISSIS), S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 192/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 28/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO CHIUCCHIOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei due

ricorsi; compensazione parziale delle spese; statuizione sul C.U..

Fatto

I FATTI

I germani S., in qualità di eredi di P.P., intimarono sfratto per morosità a L.R., esponendo che il canone originariamente previsto per il contratto di locazione dell’immobile di proprietà della loro dante causa, concesso al convenuto per uso non abitativo e stipulato il 1 febbraio 1993, per la durata di sei anni, era stato aggiornato nel 1996, ed incrementato da 5965 a 7792 Euro annui, e che il conduttore, corrisposta una rata trimestrale pari a 1948 Euro nel marzo di quell’anno, ed un’altra rata di uguale importo nel mese di dicembre, si era reso inadempiente alla propria obbligazione.

Il convenuto, nel costituirsi eccepì che il contratto stipulato nel 1993 prevedeva un canone pari a Lire 300.000 mensili, e che gli era poi stato imposto, dal marito della locatrice, il pagamento di una ulteriore somma, di Lire 500 mila mensili, della quale chiedeva la restituzione a tiolo di indebito.

Gli attori replicarono che il canone di locazione era stato sin dall’origine convenuto in complessive Lire 800 mila mensili.

Il giudice di primo grado, ritenuto che l’unico canone documentalmente provato risultasse quello di Lire 300 mila mensili, e che l. era stato moroso dall’aprile del 2006 sino alla data del rilascio dell’immobile (avvenuta nell’aprile del 2010), condannò i germani S. alla restituzione dell’indebito, detratte le somme oggetto della morosità, dichiarando cessata la materia del contendere quanto alla domanda di risoluzione, all’esito dell’avvenuta restituzione dell’immobile.

La corte di appello di Perugia, investita dell’impugnazione proposta in via principale dagli attori, e in via incidentale dal L. (che lamentava un errore di calcolo nella quantificazione della somma da lui corrisposta nel 2006) accolse il gravame dei locatori, ritenendo che il canone concordato fin dall’origine fosse quello di Lire 800 mila mensili, come riconosciuto dallo stesso conduttore in sede di interrogatorio formale, condannando conseguentemente quest’ultimo al pagamento delle differenza dovuta rispetto a quanto versato. Avverso la sentenza della Corte perugina L.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 10 motivi di censura.

I germani S. resistono con controricorso illustrato da memoria, proponendo contestuale ricorso incidentale in ordine alla disciplina delle spese di giudizio.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale è infondato, al pari di quello incidentale.

Con il primo motivo, si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è inammissibile, poichè lamenta un preteso errore di fatto (i.e. revocatorio) in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, che avrebbe dovuto formare oggetto di altra e diversa impugnazione.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è inammissibile.

Deducendo un preteso vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata (peraltro, nella specie, impredicabile, atteso che il rilascio dell’immobile è incontestamente avvenuto nell’aprile del 2010, con conseguente richiesta, da parte dei locatori, del pagamento di somme pari ai relativi canoni maturati medio tempore e conseguente statuizione conforme del giudice territoriale), il ricorrente ha inteso lamentare un vizio di nullità della sentenza deducibile soltanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non anche – come nella specie – sotto il profilo della violazione di norme di diritto, stante in principio della tassatività e della specificità dei motivi di censura proposti in sede di legittimità (Cass. 8585/2012; 767/2011, tra le altre).

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 2004, art. 1, comma 346, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo non ha giuridico fondamento, essendo la norma invocata posteriore alla stipula del contratto di locazione, e ad esso non applicabile, non senza considerare ancora che, nella specie, il contratto risultava registrato – mentre la pur invocata disposizione della L. n. 431 del 1998, ha riguardo alle sole locazione di tipo abitativo.

Con il quarto, quinto e settimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 79, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Le complesse doglianze, che possono essere congiuntamente esaminate attesane la intrinseca connessione, sono infondate, volta che la norma evocata con le censure in esame ha riferimento alle pattuizioni intervenute in corso di rapporto, e non anche, come nella specie, a quelle concordate in sede di stipula del negozio, essendo stata rimessa dalla normativa invocata alla libera contrattazione tra le parti la determinazione del canone di locazione.

Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura è infondata.

Sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, difatti, gli odierni resistenti ebbero a dedurre il fatto storico della divergenza tra canone dichiarato e canone convenuto, onde nessuna violazione del divieto dei nova in appello risulta addebitabile alla Corte territoriale.

Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 447 bis c.p.c., artt. 416 c.p.c. e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura non ha pregio, volta che la circostanza lamentata come fonte del vizio denunciata aveva carattere di fatto sopravvenuto, rispetto al quale gli odierni resistenti dedussero e documentarono la propria eccezione nel primo atto utile successivo all’emersione del fatto sopravvenuto (Cass. 5893/1999, ex aliis).

Con il nono motivo, si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è inammissibile, poichè la Corte territoriale ha correttamente esaminato e valutato le circostanze relative all’obbligo di pagamento degli oneri condominali alla luce della disposta riforma della sentenza di primo grado, di tal che nessuna omissione risulta nella specie predicabile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il decimo motivo, si denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa decisione sui motivi di appello incidentale.

Il motivo è palesemente inammissibile, poichè la Corte territoriale, nell’accogliere il gravame principale, ha implicitamente deciso sulla conseguente infondatezza di quello incidentale.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Deve essere altresì rigettato il ricorso incidentale degli odierni resistenti, avendo la Corte di appello, nell’esercizio del suo potere discrezionale, fatto corretto uso di tale potere nel disciplinare il regime delle spese processuali, avendo rilevato una reciproca soccombenza sostanziale.

Le spese del presente giudizio possono essere nuovamente compensate in questa sede, per le medesime ragioni addotte dal giudice di appello.

PQM

 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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