Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15150 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 16/07/2020), n.15150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1992/2018 R.G. proposto da:

DSV s.p.a. (già Saima Avandero s.p.a.), in persona del L.R. pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Scarpa e

Claudio Lucisano, presso i quali è domiciliata in Roma, via

Crescenzio 91;

– ricorrente –

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 11541/2016, depositata in data 19/12/2016, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre

2019 dal Consigliere Adet Toni Novik.

Fatto

1. L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha notificato alla DSV s.p.a. (già Saima Avandero s.p.a.), quale coobbligata solidale, un invito di pagamento concernente Iva all’importazione per gli anni dal 2004 al 2006. L’atto scaturiva dalla confutazione del ricorso al regime del deposito Iva, da essa gestito nell’interesse di clienti (Carlino Diffusion s.p.a.), utilizzato, a dire dell’ufficio, in modo virtuale, ossia senza la materiale introduzione della merce. La contribuente ha impugnato l’atto. La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso; quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva, in fatto, sulla inidoneità delle dichiarazioni rese alla polizia tributaria dai terzi, senza ulteriori riscontri, ad affermare una responsabilità della contribuente, e, in diritto, sulla considerazione che, a seguito della norma interpretativa del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4 convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, dovuta al D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, il differimento dell’obbligo di corrispondere l’Iva all’importazione, correlato all’introduzione della merce nel deposito Iva, non implicava che l’introduzione fosse fisica.

2. La Corte di cassazione, adita dalla società, con Ordinanza n. 15983/15 del 10/6/2015 ha cassato la sentenza di secondo grado e rinviato per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, richiedendo “un compiuto accertamento della fisicità dell’introduzione nel deposito, al fine di verificare se sussistessero, o no, i presupposti per il differimento dell’obbligo di pagamento dell’imposta sino all’estrazione dei beni. In quella sede, il giudice di merito verificherà altresì se, sia stato, o no, comunque, eseguito il meccanismo dell’inversione contabile ai fini dell’assolvimento dell’imposta; circostanza, questa, che, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, non si può ritenere come acquisita perchè non contestata, giacchè la sentenza impugnata non ne fa parola, nè logicamente la postula”. Formulava il seguente principio di diritto: “Al fine di evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per l’immissione in consumo di beni non comunitari immessi in libera pratica, occorre che la loro introduzione nei depositi fiscali istituiti ai fini iva sia fisica e non soltanto virtuale”.

3. Con sentenza n. 11541/2016, depositata il 19 dicembre 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania (CTR), pronunciando in sede di rinvio, rigettava il ricorso proposto dalla società. A fondamento di questa decisione, la CTR: – riteneva accertato in base alle evidenze probatorie acquisite che la merce in contestazione non era mai transitata nel deposito Iva della società e che l’introduzione era stata virtuale; considerava che, in mancanza di documentazione contabile ufficiale attendibile – quella della Saima si presentava non veritiera e contraddittoria, consentendo di ravvisare gli estremi della frode-, la sola emissione delle autofatture da parte dei soggetti estraenti non poteva costituire un elemento sufficiente per provare la liquidazione periodica dell’Iva; – riteneva quindi mancante la prova dell’avvenuto pagamento dell’Iva.

4. La contribuente propone ricorso avverso questa sentenza, per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, illustrati da memoria, cui reagisce l’Agenzia delle dogane e dei monopoli con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo, la società eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in prospettiva dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la C.T.R. adempiuto all’onere imposto dalla sentenza rescindente di accertare in fatto l’avvenuta emissione di autofattura e la sua registrazione nei registri degli acquisti e delle vendite; l’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui la mera autofatturazione dell’Iva interna all’atto dell’estrazione della merce, solo virtualmente inserita nel deposito Iva, non era idonea a provare l’assolvimento, sia pur tardivo, dell’Iva all’importazione, contraddiceva il principio di diritto enunciato dalla cassazione.

Con il secondo motivo, la società eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e ss. – del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, conv. in L. n. 427 del 1993 -del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che dai documenti contabili prodotti e dagli accertamenti della Guardia di Finanza, confluiti nel processo verbale di constatazione, emergeva la corretta contabilizzazione di tutte le autofatture emesse dalla società importatrice, con le relative annotazioni effettuate sui registri Iva degli acquisti e delle vendite.

2. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. La Corte di giustizia, nella causa Equoland, richiamata nella sentenza impugnata, ha osservato che la violazione dell’obbligo formale d’introduzione fisica delle merci nel deposito “non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’Iva all’importazione poichè questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo” (punto 37), stabilendo che “la sesta direttiva dev’essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’auto fatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo” (punto 49 e dispositivo). Ha, dunque, inequivocabilmente postulato che l’Iva all’importazione e l’Iva intracomunitaria sono la stessa imposta, pur se assoggettate a termini ed a modalità diverse di riscossione, con la conseguenza che l’autofatturazione esclude la ricorrenza di una ipotesi di omesso versamento dell’IVA.

3. Su queste premesse, nella sentenza impugnata si rinviene la dedotta violazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione, avendo la CTR, al fine di evitare la duplicazione dell’imposta, omesso di accertare se vi era stata una corretta registrazione delle autofatture nei registri contabili. Il negativo convincimento espresso dalla CTR ha valorizzato le irregolarità formali nella tenuta dei registri, ma ha omesso di confrontarsi con l’esito della verifica eseguita dalla GdF a carico dell’importatore Carlino – come riportato nel ricorso (pag. 9) e nella memoria (pag. 3) -, dalla quale per gli anni in contestazione è emerso il corretto adempimento degli obblighi di versamento dell’Iva.

4. Mette, ancora, conto di rilevare, in relazione all’accenno nella sentenza impugnata alla “frode” che sarebbe stata realizzata dalla società, escludente ex se il beneficio fiscale, che, nella sentenza C272/13, Equoland, sono chiaramente espressi i principi secondo cui:

– “l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale costituisce un requisito formale” (punti 29 e 36);

– la cui violazione “non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo”;

– che “Ad ogni modo, un siffatto versamento tardivo non può essere equiparato, di per sè, a una frode, la quale presuppone, da un lato, che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., C-255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75, nonchè EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 74)”.

5. All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla CTR della Campania, in diversa composizione, che, attenendosi ai principi enunciati, procederà a nuovo esame. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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