Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1515 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15448/2018 proposto da:

C.R., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avv. Marco Galati che lo rappresenta e difende in forza

di procura in calce al ricorso;,

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Prefettura di Catania, Questura di Catania;

– intimati –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di CATANIA, depositata il

13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 13/3/2018 il Giudice di Pace di Catania ha rigettato il ricorso presentato da C.R., cittadino (OMISSIS), avverso il decreto di espulsione emesso e notificato nei suoi confronti il 6/11/2017 dal Prefetto di Catania, per essersi trattenuto illegalmente sul territorio nazionale, privo di passaporto e permesso di soggiorno, dopo il mancato riconoscimento dello status di rifugiato da parte della competente Commissione Territoriale.

2. Avverso il predetto decreto del 13/3/2018, comunicato il 20/3/2018, ha proposto ricorso C.R., con atto notificato il 15/5/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituta in giudizio.

Con ordinanza interlocutoria dell’8/4/2019 questa Corte ha rilevato che la notificazione del ricorso per cassazione era stata richiesta dal ricorrente nei confronti del Prefetto di Catania presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania e dell’Avvocatura Generale dello Stato, non costituite nel grado precedente del giudizio e che di conseguenza il ricorso non era stato notificato al Prefetto di Catania presso la sua sede.

La Corte ha ritenuto che il ricorso per cassazione, avverso il provvedimento emesso all’esito del giudizio d’opposizione al decreto prefettizio d’espulsione dello straniero, debba essere proposto (in analogia con il modello procedimentale delineato, in tema di sanzioni amministrative, dalla L. n. 689 del 1981, art. 23) a pena d’inammissibilità nei confronti dell’autorità che ha emanato il decreto impugnato e debba essere notificato presso di essa, salvo che nella precedente fase di merito il patrocinio non sia stato assunto dall’Avvocatura dello Stato; pertanto, quando il ricorso sia stato correttamente indirizzato al Prefetto ma la notificazione sia stata effettuata presso l’Avvocatura, benchè questa nella precedente fase di merito non avesse assunto la difesa, la notificazione è da ritenersi nulla (non inesistente) e, come tale, rinnovabile, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., presso l’ufficio del Prefetto intimato (Sez. U, n. 118 del 07/11/2000, Rv. 541417-01; Sez. 1, n. 28852 del 29/12/2005; Sez. 1 n. 28848 del 29/12/2005; Sez. 1 n. 7251 del 29/5/2001; Sez. 1 n. 4757 del 3/4/2002).

E’ stata pertanto disposta la rinotificazione del ricorso presso l’ufficio del Prefetto di Catania nel termine di giorni 60 dalla comunicazione della ordinanza interlocutoria.

In data 29/5/2019 il ricorrente ha provveduto all’incombente così ordinato.

La Prefettura catanese non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nonchè per omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia prospettato dalla difesa.

1.1. Il ricorrente osserva che il Giudice di pace aveva taciuto su tutte le questioni giuridiche sottoposte al suo esame, fra cui la convivenza stabile in Italia del ricorrente con una cittadina romena da oltre tre anni, documentata da una dichiarazione della convivente, nonchè in ordine ai due motivi di impugnazione per violazione della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 14 e per illegittimità dovuta ad abuso di potere ed omessa istruttoria.

Vi era stato inoltre il travisamento dei fatti in ordine ai precedenti penali del ricorrente nel decreto prefettizio, poichè in ordine a tale doglianza il Giudice di pace non aveva speso alcuna motivazione.

Infine era mancato nel provvedimento impugnato qualsiasi riferimento normativo relativamente alla soluzione della controversia.

1.2. Non sussiste il dedotto vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia poichè il Giudice di pace ha rigettato il ricorso del C. e ha disatteso tutte le circostanze ivi dedotte in quanto ritenute non provate.

1.3. Sussiste invece il vizio di omesso esame di fatto decisivo controverso in ragione della motivazione mancante, o tuttalpiù meramente apparente, ridotta a una vaga e indifferenziata clausola di stile, rispetto a deduzioni difensive neppure sommariamente rappresentate e pertanto capace di adattarsi pressochè a qualsiasi provvedimento giurisdizionale.

Il Giudice di pace non si è confrontato con l’assunto del ricorrente, risultante dal verbale del 10/1/2018 e dalle note conclusive del 24/1/2018,di convivere stabilmente in Italia da oltre tre anni con una cittadina romena, regolarmente residente e assunta con contratto di lavoro regolarizzato, sorretta dalla produzione, autorizzata dal Giudice di pace, di dichiarazione della convivente, che è stato apoditticamente e genericamente liquidato con la mera affermazione che le circostanze dedotte erano rimaste “prive di riscontro probatorio”.

Al proposito occorre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di espulsione del cittadino straniero, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonchè dell’esistenza di legami con il paese d’origine, si applica con valutazione da formularsi caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorchè non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con riferimento all’art. 8 della CEDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, senza distinguere tra vita privata e familiare, trattandosi di estrinsecazioni del medesimo diritto fondamentale tutelato dall’art. 8 cit., che non prevede gradazioni o gerarchie (Sez. 1, 02/10/2018, n. 23957; Sez. 1, 22/07/2015, n. 15362).

La Corte Costituzionale infatti ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 5, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto”, e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato” (Corte Costituzionale, 18/07/2013, n. 202).

1.4. Del pari nessun esame è stato dedicato nel provvedimento impugnato alle difese del ricorrente circa l’insussistenza dei precedenti penali indicati nel decreto prefettizio.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, art. 13, comma 2 e art. 19, comma 1, per aver il giudice di pace omesso di pronunciarsi, anche in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’esistenza di ragioni umanitarie dedotte dall’opponente a sostegno del divieto di espulsione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19, in relazione al concreto rischio di violazione dei diritti umani in Marocco.

Era stata inoltre del tutto omessa l’indagine volta a verificare la sussistenza dei requisiti di cui alla lett. c) dell’art. 13 o la sussistenza di una condizione di inespellibilità D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19.

Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 7 della Direttiva 115/2008 per la mancata concessione di un termine per la partenza volontaria, perchè in relazione al ravvisato pericolo di fuga potevano essere adottate le misure previste dall’art. 7, comma 3, della direttiva.

Entrambi i motivi restano assorbiti.

4. Il provvedimento impugnato deve pertanto essere cassato in relazione al primo motivo accolto, con rinvio al Giudice di Pace di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Giudice di Pace di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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