Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15148 del 20/06/2017

Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017, (ud. 07/10/2016, dep.20/06/2017),  n. 15148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12099/2014 proposto da:

F.E., I.A., F.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CAIO MARIO 8, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

FALCUCCI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GABRIELE MARIA D’ALESIO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ISTITUTO SUORE COMPASSIONISTE SERVE DI MARIA, in persona del suo

legale rappresentante p.t., Suor L.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GAETANO VENDITTI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 755/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato GABRIELE MARIA D’ALESIO;

udito l’Avvocato ANDREA DEL VECCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma con sentenza in data 4.2.2014 n. 755 rigettava entrambi gli appelli riuniti proposti da I.A. nonchè da F.A. e F.E. (eredi ed aventi causa “jure successionis” di I.S.), confermando la decisione n. 23176/2012 del Tribunale che aveva accertato l’inadempimento del conduttore I.S. consistito nella esecuzione di opere abusive sull’area pertinenziale dell’immobile locato a destinazione abitativa in (OMISSIS), dichiarando risolto il contratto stipulato con il locatore Istituto delle Suore Compassioniste Serve di Maria, e condannando inoltre gli eredi del conduttore all’immediato rilascio del bene.

Il Giudice di appello condivideva il rigetto del primo giudice delle eccezioni pregiudiziali formulate dagli appellanti, rilevando la insussistenza del rapporto di pregiudizialità sia con la distinta causa concernente azione possessoria avente ad oggetto la particella pertinenziale, in assenza di coincidenza delle parti processuali, sia con l’altro giudizio avente ad oggetto l’accertamento della usucapione del bene; nel merito riteneva corretto l’accertamento dei fatti di inadempimento – peraltro neppure gravato di appello – e comprovato il rapporto pertinenziale, essendo destinata l’area adiacente l’immobile a garantire spazi a verde, aria e luce alla parte edificata e dunque dovendo intendersi ricompresa anche tale area nel bene locato, indipendentemente dalla omessa specifica menzione in contratto.

La sentenza di appello non notificata è stata impugnata, con quattro mezzi, dagli eredi del conduttore, con ricorso ritualmente notificato all’Istituto religioso proprietario che ha resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere affrontato la Corte d’appello, così come il primo giudice, “con motivazione esaustiva il punto decisivo della controversia e precisamente se il terreno particella 286 sia nell’attuale possesso degli eredi del fu I.S.”.

Il motivo è inammissibile, non perchè – come erroneamente eccepito dalla parte resistente – incontra la preclusione della conferma della decisione di primo grado “sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto” (cd. doppia conforme) prevista dall’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, norma che non opera “ratione temporis” nel caso di specie in quanto applicabile ai giudizi di appello introdotti successivamente alla data 11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012), ma in quanto non risulta conforme al parametro normativo corrispondente al vizio di legittimità dedotto.

I ricorrenti non hanno individuato, infatti, alcun “fatto storico” principale (in quanto integrante il fatto costitutivo del diritto vantato) o secondario (in quanto dallo stesso può inferirsi, secondo lo schema della prova logica, il fatto costitutivo del diritto allegato), ritualmente allegato e verificato nel processo ma del tutto ignorato dal Giudice di appello, e che riveste carattere “decisivo” (in quanto se fosse stato rilevato e considerato dal Giudice di merito avrebbe condotto con certezza ad una differente decisione favorevole al ricorrente), ma si lamentano piuttosto della inesatta – secondo la loro soggettiva prospettiva-valutazione di merito che la Corte territoriale avrebbe compiuto del rapporto pertinenziale tra area ed edificio, della interpretazione della volontà dei contraenti in relazione alla inclusione delle aree pertinenziali nel bene locato, della rilevanza pregiudiziale della causa possessoria (iniziata dalla società Pirelli Re, precedente proprietaria dell’immobile e definito in primo grado con pronuncia di rigetto – entenza Tribunale Roma n. 9962/2009 – gravata da appello dalla società). Orbene il vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile ai provvedimenti depositati successivamente alla data 11.9.2012, confina il controllo motivazionale alla verifica della esistenza del requisito di validità della motivazione, nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in riferimento alle note ipotesi della mancanza della motivazione quale elemento grafico materiale del provvedimento giurisdizionale; della motivazione apparente; della manifesta ed irriducibile contraddittorietà tra le proposizioni del testo del provvedimento; e della motivazione perplessa od assolutamente incomprensibile. Al di fuori delle ipotesi indicate residua ormai soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, da cui consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Corte Cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Deve ritenersi dunque estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, valutando la maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), non essendo, pertanto, censurabile con il vizio in questione errori attinenti alla individuazione di “questioni” o le “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Tanto premesse, l’intero motivo in esame è volto a ribadire che il contratto di locazione non menzionava espressamente nell’oggetto della locazione, neppure come bene comune, l’area corrispondente alla particella catastale (OMISSIS) (l’appartamento era ricompreso nel fabbricato contraddistinto in catasto con la particella (OMISSIS)) e che pertanto ogni questione relativa a tale porzione immobiliare rimaneva estranea all’esercizio dei diritti ed all’adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di locazione, atto negoziale il cui contenuto è stato, tuttavia, oggetto di diretto esame da parte della Corte d’appello che ha rilevato tale mancata menzione nel testo contrattuale, ma ha ritenuto comunque che le parti avessero inteso implicitamente ricomprese nel bene locato anche “le aree libere adiacenti” al fabbricato, in quanto prive di una autonoma funzione e destinate esclusivamente a servizio del primo (spazi verdi, aria, luce). Difetta in conseguenza la individuazione di un “fatto storico decisivo” che il Giudice di merito avrebbe pretermesso di esaminare.

Nè a diversa conclusione si perviene in relazione al procedimento possessorio (del quale peraltro i ricorrenti neppure indicano se e quali atti siano stati prodotti in giudizio), anch’esso esplicitamente considerato in sentenza dal Giudice di appello e ritenuto irrilevante a fondare la eccezione di pregiudizialità proposta dagli appellanti (tanto più non essendo stato rilevato il carattere della “decisività” dell’esito negativo del giudizio possessorio, rispetto alla sentenza n. 1239/2014 che in primo grado ha definito la causa relativa alla usucapione dell’area, rigettando la pretesa e rilevando che il contratto di locazione attribuiva al conduttore il diritto di godere degli spazi comuni al pari degli altro coabitanti: cfr. controricorso, pag. 15), od al contratto di compravendita 10.6.2005, stipulato tra la società alienante Pirelli Re e l’Istituto religioso acquirente, del quale i ricorrenti hanno omesso di trascrivere il contenuto in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, impedendo in conseguenza qualsiasi verifica da parte di questa Corte del “modo” in cui l’area (part. (OMISSIS)) era stata considerata dalle parti contraenti ai fini della cessione.

Anche il secondo motivo è inammissibile laddove assume la violazione dell’art. 40 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (recte n. 4), atteso che la mancata riunione per connessione delle tre cause (locazione, possessoria, usucapione) viene fatta valere in relazione alla denunciata “pregiudizialità” tecnico-giuridica dell’accertamento del possesso e della proprietà dell’area contraddistinta dalla part. (OMISSIS).

Occorre premettere che se appare corretta l’affermazione del Giudice di appello, secondo cui non potrebbe ravvisarsi una relazione di pregiudizialità con il giudizio possessorio attesa la alterità delle parti processuali, in quanto la legittimazione ad agire ex art. 703 c.p.c., spetta al soggetto cha ha subito lo spoglio (mentre l’acquirente del diritto di proprietà a titolo particolare, nel caso di specie, è titolare del mero “jus possidendi”, non risultando essere stato immesso – prima dello spoglio – nel materiale possesso nell’area contesa, e dunque rimane estraneo agli effetti della sentenza emessa nel giudizio “inter alios”, in quanto volta ad accertare la effettiva situazione di possesso in capo a soggetti diversi dall’Istituto religioso), non altrettanto è possibile affermare con riferimento al giudizio avente ad oggetto la usucapione della proprietà dell’area in questione, nel quale non è dato invece ravvisare tale diversità delle parti processuali, tenuto conto che il terzo acquirente a titolo particolare, per atto tra vivi (Istituto religioso), è legittimato ad assumere la qualità di parte in tali giudizi ed a richiedere la estromissione del dante causa (Pirelli Re s.r.l.) e, comunque, rimane soggetto agli effetti del giudicato ex art. 111 c.p.c., comma 4 ed art. 2909 c.c..

Tuttavia impedisce l’accesso all’esame del fondo della censura dedotta la carenza dei requisiti di specificità del motivo (cfr. Corte Cass. Sez. Sentenza n. 18026 del 19/10/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 22878 del 10/11/2015, in relazione alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., ma che enunciano un principio estendibile anche alla mancata riunione per connessione delle cause) in quanto:

a) in relazione alla causa avanti il Tribunale di Roma RG n. 70695/2009, definita in primo grado con sentenza n. 1239/2014 di rigetto della domanda di accertamento della usucapione, i ricorrenti neppure si peritano di riferire se avverso tale sentenza sia stato interposto gravame, ed in caso affermativo se la causa sia tuttora pendente in grado di appello, non essendo consentito alla Corte di verificare l’attuale persistenza del rapporto di pregiudizialità tra cause e di valutare se le cause, avuto riguardo alla fase ed al grado in cui pendono, consentano o meno la riunione dei processi; solo successivamente è stato allegato dagli stessi ricorrenti che è stata pubblicata la sentenza in grado di appello in data 5.10.2016 n. 5870, che ha dichiarato la intervenuta usucapione dell’area contraddistinta alla part. (OMISSIS), dovendo ritenersi pertanto definitivamente preclusa la possibilità di una riunione delle cause, pendenti in diverso grado, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse a coltivare la censura

b) in relazione alla causa avanti il tribunale di Roma RG n. 52040/2004, definita in primo grado con sentenza n. 9962/2009 di rigetto della tutela possessoria richiesta da Pirelli Re s.r.l. (in quanto l’azione era stata proposta oltre il termine annuale ex art. 1168 c.c.), il riferimento alla pendenza di un gravame, appare del tutto generico ed impreciso, non essendo indicato in che fase del giudizio di secondo grado si trovi la causa indicata.

Il terzo motivo è inammissibile risultando assolutamente incomprensibile la rubrica (“violazione del diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al P della domanda per ultra petita ex artt. 277 c.p.c. e segg.”) ed ancor meno la parte espositiva che ripropone la stessa critica svolta nel precedente motivo in ordine alla mancata applicazione da parte della Corte d’appello dell’art. 40 c.p.c..

Del pari inammissibile il quarto motivo che – sembrerebbe – denunciare la omessa pronuncia su “specifica richiesta come spiegata nelle proprie conclusioni”, venendosi meramente a contrapporre, anapoditticamente, alla statuizione della sentenza secondo cui il contratto di locazione aveva ad oggetto l’immobile destinato ad uso abitativo e le sue pertinenze (tra cui l’area contraddistinta dalla part. (OMISSIS)), la contraria affermazione secondo cui il terreno particella (OMISSIS) “non è stato oggetto e non rientra nel contratto di locazione”: risulta quindi palese la carenza dei requisiti strutturali essenziali, previsti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, per consentire l’accesso della censura al sindacato di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna delle parti ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (i ricorrenti sono stati ammessi al gratuito patrocinio).

PQM

 

rigetta il ricorso principale.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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