Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15148 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 16/07/2020), n.15148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’ACQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30141/2017 R.G. proposto da

DSV s.p.a. (già Saima Avandero s.p.a.), in persona del L.R. pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Scarpa e

Claudio Lucisano, presso i quali è domiciliata in Roma, via

Crescenzio 91;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 1298/31/17, depositata in data 16/2/2017, notificata il

7/11/2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre

2019 dal Consigliere Adet Toni Novik.

Fatto

1. L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha notificato alla DSV s.p.a. (già Saima Avandero s.p.a.), quale coobbligata solidale, un invito di pagamento concernente Iva all’importazione, sanzioni e interessi per l’anno 2005. L’atto scaturiva dalla confutazione del ricorso al regime del deposito Iva, da essa gestito nell’interesse della Kuvera s.p.a, utilizzato, a dire dell’ufficio, in modo virtuale, ossia senza la materiale introduzione della merce. La contribuente ha impugnato l’atto. La Commissione tributaria provinciale ha parzialmente accolto il ricorso (per svista nell’ordinanza di questa Corte si legge che il ricorso era stato respinto); quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva, in fatto, sull’incertezza della prova offerta dall’amministrazione per affermare una responsabilità della contribuente, nonchè valorizzando l’archiviazione disposta nei confronti dei legali rappresentanti delle società.

2. La Corte di cassazione, adita dalla agenzia delle dogane, con Ordinanza n. 15984/15 del 10/6/2015 ha cassato la sentenza di secondo grado e rinviato per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, richiedendo “un compiuto accertamento della fisicità dell’introduzione nel deposito, al fine di verificare se sussistessero, o no, i presupposti per il differimento dell’obbligo di pagamento dell’imposta sino all’estrazione dei beni. In quella sede, il giudice di merito verificherà altresì se, sia stato, o no, comunque, eseguito il meccanismo dell’inversione contabile ai fini dell’assolvimento dell’imposta; circostanza, questa, che, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, non si può ritenere come acquisita perchè non contestata, giacchè la sentenza impugnata non ne fa parola, nè logicamente la postula”. Formulava quindi il seguente principio di diritto: “Al fine di evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per l’immissione in consumo di beni non comunitari immessi in libera pratica, occorre che la loro introduzione nei depositi fiscali istituiti ai fini iva sia fisica e non soltanto virtuale”.

3. Con sentenza n. 1298/31/2017, depositata il 16 febbraio 2017, la Commissione tributaria regionale della Campania (CTR), in sede di rinvio, rigettava l’appello proposto dalla società. A fondamento di questa decisione, la CTR: – riteneva accertato in base alle evidenze disponibili che la merce in contestazione non era mai transitata nel deposito Iva della società e che l’introduzione era stata virtuale; – considerava che, in mancanza di documentazione contabile ufficiale, “la mera autofatturazione dell’Iva interna all’atto dell’estrazione della merce solo virtualmente inserita nel deposito Iva, con registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo, non sia idonea a provare l’assolvimento, sia pur tardivo, dell’Iva all’importazione”. Le conclusioni raggiunte inducevano la CTR a rigettare i motivi di appello relativi alle sanzioni.

4. La contribuente propone ricorso avverso questa sentenza, per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui reagisce l’Agenzia delle dogane e dei monopoli con controricorso, nel quale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività e, nel merito, ne chiede il rigetto.

Diritto

1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione preliminare di tardività del ricorso, genericamente proposta dall’agenzia delle dogane: la sentenza della CTR è stata notificata il 7 novembre 2017 ed il ricorso è stato spedito a mezzo posta il 21 dicembre 2017, nel rispetto dei termini.

2. Con il primo motivo, la società eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., in prospettiva dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la C.T.R. adempiuto all’onere imposto dalla sentenza rescindente di accertare in fatto l’avvenuta emissione di autofattura e la sua registrazione nei registri degli acquisti e delle vendite; l’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui la mera autofatturazione dell’Iva interna all’atto dell’estrazione della merce solo virtualmente inserita nel deposito Iva non era idonea a trovare l’assolvimento, sia pur tardivo, dell’Iva all’importazione contraddiceva il principio di diritto enunciato dalla cassazione.

Con il secondo motivo, la società eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e ss. – del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, conv. in L. n. 427 del 1993 – del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17 – del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che dai documenti contabili prodotti e dagli accertamenti della Guardia di Finanza, confluiti nel processo verbale di constatazione, emergeva la corretta contabilizzazione di tutte le autofatture emesse dalla società importatrice, con le relative annotazioni effettuate sui registri Iva degli acquisti e delle vendite.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. La Corte di giustizia, nella causa Equoland, richiamata nella sentenza impugnata, ha osservato che la violazione dell’obbligo formale d’introduzione fisica delle merci nel deposito “non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’Iva all’importazione poichè questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo” (punto 37), stabilendo che “la sesta direttiva dev’essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’auto fatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo” (punto 49 e dispositivo). Ha, dunque, inequivocabilmente postulato che l’Iva all’importazione e l’Iva intracomunitaria sono la stessa imposta, pur se assoggettate a termini ed a modalità diverse di riscossione. L’avvenuta autofatturazione esclude pertanto nel caso di specie la ricorrenza di una ipotesi di omesso versamento dell’IVA.

Su queste premesse, nella sentenza impugnata si rinviene la dedotta violazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione: la società riportando alle pagine 8-9 il contenuto del processo verbale di constatazione, ha dato conto che in esso si leggeva che “la Kuvera S.p.A. al fine di dare forma all’esecuzione all’estrazione dei beni dal deposito Iva ha emesso le dovute autofatture mediante le quali ha assoggettato al tributo Iva il valore delle merci precedentemente importate e cartolarmente introdotte nel deposito in questione. Pertanto il soggetto economico che proceda all’estrazione dei beni è obbligato ad assolvere il tributo Iva attraverso il conosciuto meccanismo delle “reverse-charge” previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3″, annotando l’autofattura nel registro delle fatture emesse e in quello degli acquisti.

La CTR, in ossequio al principio di diritto, avrebbe dovuto valutare che nel p.v.c. era attestata la corretta registrazione delle autofatture nei registri contabili.

3. Venendo all’indebito differimento del pagamento dell’Iva che ha dato luogo all’applicazione di sanzioni con il provvedimento n. 23.869 del 9/7/2008. La CTR ha respinto il motivo di appello ritenendo “dovuta dalla Saima Avandero S.p.A l’Iva richiesta”, non considerando che l’introduzione solo virtuale della merce in deposito fiscale, dal quale era derivato il mancato pagamento dell’IVA all’importazione e l’assolvimento dell’IVA interna all’atto dell’estrazione della merce con il sistema dell’autofatturazione, integra soltanto una violazione formale, concretandosi il “fisico” deposito in un semplice adempimento “formale” che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo

L’adeguata determinazione della sanzione applicabile all’importatore che si sia avvalso del sistema di sospensione del versamento dell’imposta all’importazione senza immettere materialmente la merce nel deposito fiscale, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito. (Cass. sez. trib. n. 12231 del 2017). La CTR, in particolare, dovrà valutare in sede di rinvio la proporzionalità della sanzione applicata in relazione alla contestazione esposta dall’Ufficio, considerando la rilevanza del pagamento effettuato all’atto di estrazione della merce con le forme della auto fatturazione disciplina dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50bis, comma 6, e tenendo conto del tempo intercorso fra omesso versamento dell’IVA all’importazione ed eventuale assolvimento dell’IVA interna -con annotazione nei relativi registri – all’atto dell’estrazione della merce (v. pp. 39 e 42 sent. Equoland). Ciò anche al fine di vagliare l’applicazione alla fattispecie delle misure sanzionatorie ridotte previste dal medesimo art. 13 cit., in caso di ritardo nel versamento e della loro proporzionalità in relazione ai criteri indicati dalla Corte di Giustizia ai punti n. 42/44 della sentenza Equoland (sentenza n. 16109/2015).

3. All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, e accata i apo i in diversa composizione, che, attenendosi ai principi enunciati, rideterminerà la sanzione. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, /sezione staccata di/ ainoq, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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