Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15148 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17181-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1113/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/06/2006 R.G.N. 1862/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI ;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega VELLA GIUSEPPE;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 14 giugno 2006, ha ritenuto nulla, per genericità della causale, l’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra la società Poste Italiane e C.D. dal 2 gennaio al 31 marzo 2003 (per “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio di recapito, smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Piemonte Val d’Aosta assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo di cui al contratto”) e per difetto di prova circa le specifiche esigenze dell’ufficio di destinazione del lavoratore. La corte territoriale accoglieva solo in parte il gravame della società Poste, riducendo la condanna al pagamento delle retribuzioni, contenuta nella sentenza del Tribunale di Biella, dalla notifica del ricorso introduttivo.

Propone ricorso per cassazione la società Poste, affidato a quattro motivi. Resiste il C. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la società Poste denuncia la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 420 e 437 c.p.c.; della L. n. 230 del 1962, art. 3 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando in particolare che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto generica la causale dell’assunzione in questione senza una specifica doglianza del C. al riguardo.

2. – Con il secondo motivo la società Poste denuncia la violazione del D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1 nonchè dell’art. 1362 e segg.

c.c., ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando nuovamente l’erroneità della sentenza impugnata laddove aveva ritenuto la causale di assunzione de qua generica in base alla prima delle norme richiamate.

3. – Con il terzo motivo la società Poste denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., ed inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che non gravava su di lei l’onere di provare la specificità e la sussistenza della causale di assunzione.

4. – Con il quarto motivo la società lamenta la violazione dell’art. 12 preleggi, nonchè dell’art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., per aver la Corte Territoriale ritenuto che anche in base alla disciplina di cui al D.Lgs n. 368 del 2001, l’eventuale nullità della clausola comportasse la sola caducazione di essa e non dell’intero contratto, affermando comunque un principio, quello della conversione del contratto, contenuto nella ormai abrogata L. n. 230 del 1962, ma non più nel Decreto n. 368 del 2001. Ad illustrazione dei vari motivi formulava i prescritti quesiti di diritto.

5.- I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati e risultano infondati.

Deve premettersi che questa Corte si è più volte pronunciata in materia affermando che: a) il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria, pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per tutte, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985; nello stesso senso la Corte Cost. con la sentenza 14 luglio 2009 n. 214); b) L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (per tutte, Cass. 27 aprile 2010 n. 10033);

c) in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, la Corte Cost. (sentenza n. 214 del 2009 ed ordinanze n. 65 del 2010 e n. 325 del 2009) e questa Corte hanno affermato che l’onere di specificazione delle causali contenuto nel D.Lgs. n. 368, art. 1 è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.

Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass. 24 maggio 2011 n. 11358, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577).

L’onere della prova è evidentemente a carico della datrice di lavoro (Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), che nel caso in esame nulla di specifico ha dedotto al riguardo.

Nè risulta fondata la dedotta violazione delle norme processuali indicate nel primo motivo di ricorso, non avendo la ricorrente riprodotto od allegati gli atti difensivi del giudizio di merito (in contrasto col principio dell’autosufficienza), da cui possa evincersi la denunciata violazione. Risulta peraltro dalla stessa lettura dell’odierno ricorso che il C. denunciò tempestivamente la genericità della causale di assunzione.

6. – Il ricorso va quindi respinto, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

La richiesta della società è contrastata, sotto vari profili, dalla difesa dell’intimata.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 12,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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