Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15148 del 03/06/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 03/06/2019), n.15148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22359-2017 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARENULA,

16, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MAGRI’, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO DE MARI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1295/28/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La CTR Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto da C.R., confermando la decisione di primo grado con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008. Secondo la CTR l’immobile acquistato dal contribuente per un valore di Euro 110.000, malgrado il reddito annuo dichiarato di Euro 2.000,00 dal contribuente, giustificava il ricorso al sistema di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30, citato per la quantificazione del reddito, risultando dall’atto prodotto l’ulteriore corrispettivo dovuto dagli acquirenti dell’immobile (pari ad Euro 95.000).

C.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

La parte intimata non si è costituita.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,comma 2.

La censura è palesemente infondata, avendo il giudice dell’appello adottato un supporto motivazionale che supera senza dubbio il c.d. minimo costituzionale pur sempre imposto, a carico del giudicante, anche a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – cfr. Cass., S.U., n. 8054/2013 -. La CTR ha infatti ritenuto che il contribuente non avesse dimostrato di non avere corrisposto la parte preponderante del prezzo di acquisto dell’immobile, circostanza che, sola, avrebbe potuto inficiare la legittimità dell’accertamento.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4. La CTR avrebbe errato nell’affidarsi ad elementi incerti per superare la presunzione dell’art. 38 in favore del fisco, al quale spettava la dimostrazione dell’effettiva erogazione della spesa.

Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Il ricorrente osserva di avere dedotto in grado di appello, come specifico motivo di ricorso, la questione relativa alla certificazione PRA dalla quale desumere il tipo e il numero di veicoli intestati al contribuente. Non avendo la CTR sul medesimo provveduto, il ricorrente provvedeva a reiterare la relativa eccezione.

Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c.. La CTR avrebbe male applicato il regime probatorio rilevante nel caso di specie, poichè il meccanismo normativo in tema di riparto dell’onere della prova vincolerebbe l’Ufficio a dimostrare non solo il non possesso di moto ed auto, ma anche l’avvenuto effettivo esborso di somme per l’acquisto dell’immobile.

Il secondo ed il quarto motivo meritano un esame congiunto e sono entrambi infondati.

Ed invero, giova ricordare che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta-cfr. Cass. n. 25104/2014 -.

Orbene, nel caso di specie il contribuente non ha contestato l’esistenza di un indice redditometrico – l’acquisto di un immobile – ma soltanto di non avere corrisposto la gran parte del prezzo ivi indicato. Ora secondo la CTR il contribuente non ha assolto l’obbligo di dimostrazione del mancato versamento dell’integrale prezzo di acquisto.

Così facendo il giudice, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non ha commesso alcun errore in diritto, avendo semplicemente ritenuto che il contribuente non aveva assolto l’onere della prova che sullo stesso incombeva.

Le superiori considerazioni resistono alle prospettazioni difensive esposte in memoria, se solo si consideri che a fronte del dato documentale rappresentato dal corrispettivo dell’atto di compravendita, sarebbe stato onere dello stesso dimostrare che in effetti quel prezzo non era stato realmente corrisposto. Prova che la parte contribuente non ha fornito.

Tanto è sufficiente per ritenere l’infondatezza del secondo e del quarto motivo di ricorso.

Il terzo motivo è inammissibile.

Per un verso, il ricorrente ha dedotto mediante il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio la questione relativa al mancato esame della dedotta nullità della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva imputato al contribuente di non avere prodotto nè la copia della certificazione del PRA attestante il numero di autoveicoli al medesimo intestati nè dimostrato il mancato versamento del corrispettivo dell’immobile. Si tratta di una censura mal posta, non potendosi in alcun modo ipotizzare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè per altro verso potendosi riqualificare la censura sotto il profilo della nullità della sentenza per omesso esame di un motivo di censura, nemmeno ipotizzato nella parte motiva del motivo.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,commi 1 bis e 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019

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