Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15147 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. II, 31/05/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 31/05/2021), n.15147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24478-2019 proposto da:

B.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA EUGENIA LO

BELLO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in TRENTO,

P.zza CESARE BATTISTI 26;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– resistente –

avverso il decreto n. 1278/2019 dei TRIBUNALE di TRENTO depositato in

data 3/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

CENNI DEL FATTO

B.F. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS) in (OMISSIS); di essere di etnia ashanti e di religione cristiana; di avere in vita i genitori e 4 fratelli; di essere omosessuale; che nel 2013 si era trasferito nella città di Tafo per aiutare un cugino che lavorava nella vendita di accessori di telefonia; che, alla fine del 2013, aveva conosciuto un uomo, di nome G., che gli aveva proposto di lavorare per lui; che successivamente aveva avuto con G. una relazione sessuale, in cambio di denaro per suo padre, bisognoso di cure mediche; che quando G. aveva manifestato la sua gelosia, minacciandolo di morte e tentando anche di aggredirlo con dell’acido, egli decideva di fuggire dal proprio Paese raggiungendo l’Italia il 5.9.2016; temeva sia di essere ucciso da G., sia di non poter vivere la propria omosessualità liberamente nel proprio Paese.

Con decreto n. 1278/2019, depositato in data 3.7.2019, il Tribunale di Trento rigettava il ricorso, condividendo le persuasive motivazioni della Commissione a sostegno del provvedimento di rigetto, evidenziandosi la non credibilità della narrazione del ricorrente, contraddittoria su fatti essenziali della sua vita, che si rinvenivano nel raffronto tra l’audizione innanzi alla Commissione e quella resa innanzi al Tribunale. La non credibilità si estendeva anche alla parte relativa all’asserito orientamento sessuale. Pertanto, la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato doveva essere rigettata, così come quella di protezione sussidiaria, considerando che il ricorrente non aveva dichiarato alcuna lesione personale e specifica di diritti umani e che dalle fonti internazionali consultate in (OMISSIS) non risultava una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato. Anche la domanda di protezione umanitaria non poteva trovare accoglimento in quanto il ricorrente non aveva mai riferito di essere stato specificamente leso nei suoi diritti umani, limitandosi a documentare di aver lavorato a tempo determinato per un breve periodo, di aver seguito un progetto formativo individuale e di aver svolto attività di volontariato.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione B.F. sulla base di due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Il Tribunale non avrebbe approfondito il vissuto e il contesto sociale di provenienza del ricorrente, il quale, sia in sede di audizione che di interrogatorio libero, aveva dato prova di aver compiuto ogni ragionevole sforzo per provare i fatti posti a fondamento della sua richiesta. Invece, il Tribunale si era limitato ad aderire alle motivazioni espresse dalla Commissione Territoriale, contravvenendo così al proprio obbligo di cooperazione istruttoria officiosa.

1.1. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (peraltro in termini generali) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

1.2. – Sotto altro profilo, questa Corte (Cass. sez. un. 8053 del 2014) ha affermato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle pronunce impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 29.3.2019) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

2. – A ciò va aggiunto che questa Corte ha chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018).

Come inoltre precisato (Cass. n. 14006 del 2018) con riguardo alla protezione sussidiaria dello straniero, prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), “l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia”.

2.1. – Tanto premesso, va rilevato che il Tribunale, pure avendo analiticamente motivato (fruendo, peraltro, del sito ministeriale “(OMISSIS)”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale) le ragioni per le quali si debba escludere che il richiedente provenga da una zona del (OMISSIS) in cui si registri un clima di tensione tale da far presumere che in caso di suo rientro possa andare incontro a torture o altre forme di trattamento inumano e degradante; deducendo viceversa che la situazione politica del Paese, risulta, al momento, sufficientemente stabile, tanto da escludere episodi di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3. – Orbene, va posto in rilievo come (movendo da una mera condivisione delle argomentazioni elaborate dalla Commissione Territoriale in ordine al narrato del richiedente) da un lato si osservava che il racconto effettuato da questo risultava non credibile; e dall’altro lato si rilevava che in sede di interrogatorio libero non gli fosse stata concessa la possibilità di fornire ulteriori precisazioni in merito alle vicissitudini ed alle violenze subite; laddove vicecersa le domande erano poste in senso meramente confermativo, senza richiesta di specificazione.

Il Tribunale, basando la propria decisione su un mero confronto tra quanto dichiarato dal ricorrente innanzi alla Commissione rispetto a quanto riferito innanzi a lui, contravveniva all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa. Essendo la ragione per cui i richiedenti vengono interrogati liberamente innanzi al Tribunale da rinvenire nell’esigenza di acquisire elementi di fatto ulteriori a specificazione di quanto precedentemente dichiarato e non quella di porre in evidenza minime incongruenze tra le dichiarazioni.

Quanto alla dichiarata omosessualità, considerato il trattamento riservato dalle autorità ghanesi e le sanzioni penali previste dall’ordinamento interno per coloro che manifestino tale orientamento sessuale, risulta necessaria una scrupolosa indagine circa l’effettività di tale inclinazione. Tale indagine ovviamente non può esaurirsi in un mero richiamo alle argomentazioni espresse dalla Commissione Territoriale ovvero dal Tribunale; il quale in questo modo contravveniva all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul Giudice. Quanto alla protezione sussidiaria, si deduce una rilevante contraddittorietà della motivazione del decreto che, da un lato riporta una serie di situazioni critiche, mentre dall’altro lato, nel concludere, afferma che la situazione generale della (OMISSIS) non consentiva di ritenere sussistente un’ipotesi di minaccia grave o di guerriglia tale da fondare il riconoscimento della suddetta forma di protezione.

Il Tribunale avrebbe dovuto valutare la veridicità del narrato sulla base degli elementi forniti dal ricorrente, oltre che sulla base delle più accreditate fonti internazionali. Dal canto suo il ricorrente ha viceversa fornito anche prove documentali in ordine al proprio vissuto (quali certificati medici), che tuttavia non sarebbero state prese in considerazione (come comprovato dalla mancanza di elementi in senso contrario, che lasciava presumere l’assenza di elementi a riprova delle condizioni del ricorrente).

4. – Il primo motivo, pertanto, va accolto, nei limiti di cui in motivazione e con assorbimento del secondo motivo; va cassato il decreto impugnato, con rinvio del processo al Tribunale di Trento, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, dichiara assorbito il secondo motivo; cassa il decreto impugnato e rinvia il giudizio al Tribunale di Trento, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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