Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15147 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 11/07/2011), n.15147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17180-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1116/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/06/2006, r.g.n. 2187/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega GIUSEPPE VELLA;

udito l’Avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Biella, la P. evocava in giudizio la società Poste Italiane e, premesso di essere stata assunta con vari contratti a tempo determinato, di cui il primo per il periodo dal 29 dicembre 1997 a 30 gennaio 1998 ed il secondo dal 14 aprile 1999 al 29 maggio 1999, denunciava la nullità delle clausole di apposizione del termine, chiedendo, previo accertamento della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato a far data dall’inizio del rapporto, di ordinare alla parte convenuta di riassumerla e di retribuirla per il periodo successivo.

La s.p.a. Poste Italiane eccepiva in via preliminare che il rapporto a termine si era risolto per mutuo consenso; nel merito assumeva la legittimità delle pattuizioni contrattuali sulla cui base era stato stipulato il contratto a termine e la conseguente validità del rapporto a tempo determinato; per quanto atteneva alle conseguenze economiche dell’eventuale declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine, deduceva che il diritto alle retribuzioni successive all’interruzione di fatto del rapporto era subordinato alla situazione di mora credendi del datore e quindi all’offerta di prestazione lavorativa da parte del lavoratore. Il Tribunale di Biella, con sentenza del 3 novembre 2004, accoglieva le domande accertando la nullità del secondo contratto a termine, dichiarando che tra le parti si era costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal 14 aprile 1999, condannando la parte convenuta alla corresponsione delle retribuzioni per il periodo successivo ai 18 settembre 2003 (data in cui si era tenuto il tentativo obbligatorio di conciliazione), oltre al rimborso delle spese di lite.

La società Poste Italiane proponeva appello, ribadendo la legittimità del contratto a termine ed in subordine chiedendo che la debenza delle retribuzioni fosse fatta decorrere dalla notifica del ricorso introduttivo del giudizio e precisando che la P., invitata a prendere servizio, non si era presentata, per cui era stata licenziata per assenza ingiustificata.

Quest’ultima si costituiva in giudizio chiedendo la reiezione dell’appello.

Con sentenza depositata il 14 giugno 2006, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la società Poste al pagamento, in favore della P., delle retribuzioni maturate dalla data di notifica del ricorso, detratto l’aliunde perceptum. Respingeva nel resto.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane, affidato a tre motivi.

Resiste la P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. -Con il primo motivo la società Poste Italiane censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 56 del 1987, art. 23 ed art. 1362 c.c.), ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per contraddittoria ed omessa pronuncia ex art. 360 n. 5 c.p.c, lamentando che la corte di merito ritenne erroneamente che il menzionato art. 23 non consentiva all’autonomia collettiva di prevedere fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni (oggettive o soggettive) tipicamente aziendali e non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro, in contrasto con la pacifica natura di delega in bianco alle parti sociali ivi contenuta, subordinando comunque la legittimità del contratto a termine alla dimostrazione del nesso causale tra l’assunzione dei singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto.

Il motivo è in parte inammissibile (ove denuncia una omessa pronuncia, neppure specificata, concretante comunque una violazione dell’art. 112 c.p.c. – ex plurimis Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755 – per la quale difetta del tutto il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.) e per il resto infondato.

La corte di merito non ha dubitato della facoltà delle parti sociali di prevedere liberamente nuove ipotesi di assunzione a termine in base all’ampia delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 ma ha ritenuto illegittimo il contratto a tempo determinato stipulato successivamente al 30 aprile 1998, e precisamente in data 14 aprile 1999.

Occorre al riguardo osservare che le assunzioni a termine sono state effettuate in base all’accordo 25 settembre 1997, integrativo del c.c.n.l. 26 novembre 1994, che autorizzava la stipulazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in relazione alla trasformazione giuridica dell’ente, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Nella stessa data, veniva stipulato un Accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, secondo il quale le parti si davano atto che, fino al 31 gennaio 1998, l’impresa si trovava nella situazione di cui al punto che precede (clausola “madre”, di cui sopra) dovendo affrontare di processo di trasformazione della sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattativa. Successivamente, l’accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, siglato il 16 gennaio 1998, riporta la stessa dicitura del primo accordo attuativo, stabilendo che in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30 aprile 1998.

In data 27 aprile – 1998 viene stipulato un Accordo modificativo dell’art. 14 c.c.n.l., comma 4 (si tratta del c.c.n.l. 26.11.1994), con il quale, oltre che estendere anche al mese di maggio le assunzioni per il periodo di ferie, le parti prendono atto, inoltre, che l’azienda dopo l’avvenuta trasformazione in S.p.A., si trova a dover fronteggiare esigenze imprevedibili e contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione. Per fronteggiare tale esigenze, si conviene che l’Azienda disporrà la proroga di 30 giorni dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30 aprile 1998, così come previsto dalla normativa vigente in materia. Nel settembre 1998, infine, interviene l’accordo relativo al Part-time “Addendum all’art. 7 c.c.n.l. 26 novembre 1994”, con il quale viene modificata l’originaria disciplina collettiva sui contratti di assunzione a tempo determinato e parziale, e si stabilisce altresì che le assunzioni di cui trattasi avvengono in applicazione dell’accordo sottoscritto in data 25 settembre 1997 come successivamente integrato che si intende pertanto prorogato a tutto il 31 dicembre 1998.

Questa Corte ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603) che negando che le parti collettive, con l’accordo del 25 settembre 1997, avessero inteso introdurre limiti temporali al ricorso ai contratti a termine, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi sopra indicati non avrebbero avuto alcun senso, neppure se considerati come meramente ricognitivi.

In particolare, se il contratto del 25 settembre 1997 non prevedesse alcun termine di efficacia per la facoltà conferita all’Azienda di stipulare i contratti a termine – essendo questa consentita al definitivo compimento della ristrutturazione – non avrebbe avuto alcun senso stipulare gli accordi attuativi in cui invece un termine risulta indicato; una diversa interpretazione escluderebbe qualunque effetto sia all’accordo attuativo in pari data, in cui si dava atto che l’azienda si trovava in stato di ristrutturazione fino al 31 gennaio 1998, sia al successivo accordo “attuativo” del 16 gennaio 1998, giacchè nulla ci sarebbe stato da “attuare” e nulla da “riconoscere” dal punto di vista temporale. Ancora minore senso avrebbe avuto la pattuizione contenuta in quest’ultimo accordo per cui ai contratti a termine poteva procedersi fino al 30 aprile 1998, ovvero che la società sarebbe stata specificamente legittimata a ricorrere ai contratti a termine “oltre” la data fissata.

Ne consegue l’illegittimità dei contratti a termine stipulati, per la causale in questione e come nel caso oggetto del presente giudizio, oltre il 30 aprile 1998.

2. – Con il secondo ed il terzo motivo la società Poste Italiane denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1427 e segg. e 2697 c.c.), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente al mancato riconoscimento della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, ravvisabile nella prolungata inerzia della lavoratrice successivamente alla risoluzione del contratto, unitamente ad altre circostanze dedotte nei precedenti scritti difensivi ed incontestate, quali le dimissioni rassegnate prima dello spirare del termine apposto all’ultimo contratto, la percezione senza riserve del t.f.r., il reperimento di altra attività lavorativa.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha al riguardo più volte affermato che in tema di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato per mutuo consenso tacito ed al fine della dimostrazione della chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto e, in ogni caso, la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto, cfr. da ultimo Cass. 11 marzo 2011 n. 5887; Cass. n. 23319 del 2010; Cass. n. 2279 del 2010; Cass. n. 26935 del 2008.

Quanto al reperimento di altra attività lavorativa, già ritenuta da questa Corte circostanza irrilevante per i fini che qui interessano (Cass. 28 luglio 2005 n. 15900), deve evidenziarsi che la ricorrente non chiarisce minimamente il fatto, nè la relativa fonte di prova.

Quanto alle dimissioni rassegnate, secondo la società Poste, nel corso dell’ultimo contratto a tempo determinato, deve evidenziarsi che la ricorrente allega e riproduce, indicando anche l’ubicazione del relativo documento all’interno del fascicolo di parte, la lettera di dimissioni della lavoratrice, che tuttavia si riferisce ad un terzo contratto a termine non oggetto del presente giudizio (dal 2 novembre 1999 al 29 febbraio 2000), sicchè la censura risulta inconferente ed infine inammissibile non attenendo alla res litigiosa. Nè la società Poste deduce alcunchè in ordine agli effetti di tali dimissioni ai fini della misura risarcitoria disposta dalla sentenza impugnata, sicchè il ricorso deve in definitiva respingersi. Non può quindi accogliersi la richiesta, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c. della società, inerente l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010. Ed invero, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nei ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Le spese del presente gudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di causa, pari ad Euro 30.00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, spese generali i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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