Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15146 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15146 Anno 2015
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: FERRO MASSIMO

Data pubblicazione: 20/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

EDILIA soc. coop. a r.1., in persona del liquidatote e 1.r.p.t., rappr. e diE dagli avv.
Guido Battagliese e Raffaello Battagliese del foro di Milano, elett. dom. presso lo
studio dell’avv. Massimiliano Giandotti, in Roma, via Paolo Orlando n.111, come da
procura in calce all’atto _ c:F. •. ) 1,5 2.0-4,0Aspi –

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-ricorrente Contro

PELLICANO E PARTNERS ma., in persona del 1.r.p.t
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-intimato-

Fallimento EDILIA soc. coop. a r.1., in persona del curatore fallimentare p.t.,
-intimatoper la cassazione della sentenza App. Milano 26.2.2008k

G I 5108

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Anna Maria Soldi
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Il PROCESSO
Edilia s.c.ar.l. in liquidazione impugna la sentenza App. Milano 26.2.2008 con cui
venne respinto il proprio appello avverso la sentenza Trib. Milano 7.11.2007 che ne
aveva dichiarato il fallimento, su istanza del creditore Pellicanò & Partners s.r.l.
Ritenne la corte, per quanto qui di interesse, che non avendo la parte appellante
rispettato il termine assegnatole per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto
presidenziale di fissazione dell’udienza ex art.. 18 1.fall., non poteva più addivenirsi alla
relativa proroga, su disposizione rinnovativa impartita dal medesimo giudice, infatti
richiesto in tal senso solo a scadenza avvenuta del termine originario e solo
all’udienza. La circostanza integrava pertanto una situazione impediente non più
emendabile mediante la fissazione positiva di nuova udienza, con la conseguenza che
l’impugnazione stessa andava dichiarata inammissibile.
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge ai sensi degli artt. 18
1.fall. e 154 cod.proc.civ., in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ., avendo
erroneamente la sentenza impugnata negato la proroga del termine scaduto senza la
notifica dell’impugnazione e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza,
nonostante il predetto termine fosse solo ordinatorio.
Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione dell’art.132 cod.proc.civ., per
rapporto all’art.111 Cost, avendo la corte d’appello emesso una motivazione da
considerare inesistente perché circoscritta alla sola affermazione del carattere
acceleratori° e rispettivamente perentorio del termine in materia.
Con il terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione, avendo riguardo alla disattesa
argomentazione su quale circostanza esterna incompatibile si era verificata rispetto
alla proroga richiesta.
Con il quarto motivo, si solleva in via subordinata la violazione dell’arti 8 1.fall. e
l’omessa motivazione su punto decisivo, avendo errato la corte ove non ha
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udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 12 giugno 2015
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

1. Il pi-into motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Con esso, innanzitutto, la
parte fa valere con riassunzione finale indistinta e in unico quesito una violazione
descritta in modo generico ed astratto, senza cioè individuare né il principio di diritto
sottoposto a censura, né quello diverso invocato, né la concreta fattispecie su cui la
alternativa e corretta interpretazione delle norme — peraltro menzionate nel solo
incipit della redazione del motivo – avrebbe dovuto dispiegare la sua forza regolatrice.
Si tratta di un limite che riflette una ragione di prima inammissibilità, secondo
indirizzo consolidato di questa Corte (Cass. s.u. 21672/2013). In ogni caso, nella
vicenda si rinvengono le ragioni per aggiornare alla materia il principio a suo tempo
sostenuto per i procedimenti di impugnazione che si svolgono con rito camerale, nei
quali l’omessa notificazione del ricorso nel termine assegnato nel decreto di
fissazione d’udienza determinerebbe l’improcedibilità dell’appello (come deciso da
Cass. 17202/2013, in materia di dichiarazione dello stato di adottabilità di un
minore), in quanto, pur trattandosi di un termine ordinatorio ex art. 154
cod.proc.civ., ne consegue la decadenza dell’attività processuale cui è finalizzato, in
mancanza d’istanza di proroga prima della scadenza (conf., prima, Cass. 27086/2011,
addirittura in un caso di mancata comunicazione a cura della cancelleria altresì del
decreto di fissazione d’udienza).
2. Va invero osservato che la fattispecie concerne un’impugnazione avverso la
sentenza dichiarativa di fallimento disciplinata, nella sua fase introduttiva, dal regime
dell’appello, qual’era regolato dall’art.18 1.fall. (introdotto ai sensi del d.lgs. n.5 del
2006) all’epoca del deposito della sentenza impugnata, censurata con il ricorso alla
corte d’appello, il cui presidente aveva fissato con decreto l’udienza di comparizione
delle parti per il 17.1.2008, poi rinviata al successivo 21.2.2008. E pacifico che
nessuna notifica veniva tuttavia effettuata dalla società fallita, che solo all’udienza del
21.2.2008 e per la prima volta — rappresentando la meta circostanza
dell’inadempimento in sé – instava per la fissazione di nuova udienza, con
concessione di nuovi termini per l’incombente ai sensi dell’art.291 cod.proc.civ. In
materia, preliminarmente, può procedersi da quanto statuito con altri precedenti per i
quali “finstaurazione del giudizio camerale è caratterizzato da due fasi distinte che si
pedizionano, rispettivamente, la prima con il deposito del ricorso in cancelleria e la seconda con la
notifica al convenuto del ricorso e de/pedissequo decreto de/presidente del tribunale, contenente la
fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso e del decreto.
Pertanto, il rapporto cittadino – giudice si costituisce già con il deposito del ricorso, mentre la seconda
fase è finalizzata esclusivamente alla costituzione del necessario contraddittorio fra le parti, con la
conseguenza che l’omessa notifica o il mancato rispetto del termine fissato per la stessa non
comportano, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso, già regolarmente proposto con il
suo deposito in cancelleria, ma soltanto la necessità di assicurare l’effettiva instaurazione del
contraddittorio che può realizzarsi, in applicazione dell’ari-. 162 cod. proc. civ., comma 1 mediante
l’ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice ovvero mediante la rinnovazione della
stessa eseguita spontaneamente dalla parte oppuretramite la costitnione spontanea del r :dente. In
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ITO

considerato che il difetto di negligenza della parte avrebbe permesso la proroga
giudiziale del termine.

3. Ci sono tuttavia altri arresti, ancora in tema di procedimenti camerali, che possono
più da vicino — e per quanto ed ancora non in materia fallimentare — focalizzare la
vicenda. Così Cass. 11418/2014 ha espresso un principio in apparente divergenza
rispetto alla cit. Cass. 17202/2013, laddove ha statuito che il termine per la notifica del
ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza ha la mera funzione di
instaurare il contraddittorio, per cui la sua inosservanza, senza preventiva
presentazione dell’istanza di proroga, non avrebbe effetto preclusivo, implicando
soltanto la necessità di fissarne uno nuovo ove la controparte non si sia costituita,
mentre l’avvenuta costituzione di quest’ultima ha efficacia sanante ex tunc (nella specie,
la S.C. ebbe a cassare la sentenza di merito che aveva dichiarato l’improcedibilità
dell’appello avverso la sentenza dichiarativa di paternità naturale sull’erroneo
presupposto che la violazione del termine per la notifica del ricorso e del decreto, pur
se ordinatorio, determinava la decadenza dell’attività processuale cui era correlato, ove
non fosse intervenuta proroga prima della scadenza, in assenza di valide ragioni per la
rimessione in termini). Analogamente Cass. 25211/2013 ha reso il medesimo
principio allorché ha cassato l’impugnato decreto che aveva ritenuto improcedibile il
reclamo avverso il provvedimento di modifica delle condizioni previste in una
sentenza di divorzio per carenza di notificazione del relativo ricorso, con il pedissequo
decreto di fissazione dell’udienza, non essendosi attivato il difensore del reclamante
per venire a conoscenza di quest’ultimo e notificarlo benché emesso diversi mesi
prima dell’udienza ivi fissata (conf. Cass. 21111/2014). Parimenti, per Cass.,
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ITO

tutti questi casi, infatti, viene raggiunto lo scopo che è quello di portare quest’ultimo a conoscenza del
ricorso contro di lui proposto e viene quindi assicurata la regolarità del contraddittorio.”
(Cass.14786/2012, conf. 22086/2013). Nel primo caso da cui è stato tratto il
principio, regolato già dal d.lgs. n.169 del 2007 ma con ratio di portata più generale,
dunque estensibile anche alla disciplina del regime intermedio, venne ritenuto che
proprio (e solo) il mancato rispetto del termine di dieci giorni dalla data della
comunicazione del decreto di fissazione di udienza entro cui effettuare la notifica,
“risulta comunque sanato dalla notifica effettuata dal reclamante prima di trenta giorni dalla data
di fissazione dell’udienza, nonché dalla costituzione in giudizio della controparte”, con un
esplicito richiamo a pronunce rese in procedimenti camerali diversi da quello
fallimentare, in particolare per il rinvio ad un reclamo avverso il provvedimento del
tribunale per i minorenni di cui all’art. 262 cod.civ. e art. 38 disp. att cod.dv., co. 1 e
3, in materia di attribuzione del cognome al figlio naturale riconosciuto, regolato dal
rito camerale e dal quale era stato mutuato il condiviso ordine di rinnovazione della
notifica dato dal giudice (Cass. 12983/2009). Anche nella vicenda seguente (Cass.
22086/2013) la violazione dell’art. 18 co.6 1.fall. era circoscritta al solo mancato
rispetto del termine dei 10 giorni fissato per la notifica del ricorso-decreto alle
controparti ed il principio espresso precisò che, ai fini del diritto di difesa (delle parti
destinatarie della notifica eseguita senza il termine dilatorio), contava che vi fosse un
intervallo di trenta giorni tra la notifica stessa e l’udienza, ai sensi del co.7 art.cit.
La fattispecie all’esame nell’odierno procedimento evidenza invece che non si può
discorrere di una mera nullità del procedimento di notifica, stante il mai avvenuto
suo esperimento.

4. Va invero osservato che: a) nel caso di cui a Cass. 21111/2014, la parte non aveva
proceduto ad alcuna notifica ma il giudice di merito aveva altresì ritenuto “inammissibile
anche la rimessione in termini, in quanto dal certificato medico prodotto non risultava un obiettivo
impedimento”; b) nel caso di cui a Cass. 16677/2014 “il ricorso era stato notificato ed il vizio
derivante dal mancato ri.qmito del termine ordinatorio assegnato alla reclamante per la notficaione
era stato sanato, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dalla costituzione del reclamato”,così non entrando
questa Corte direttamente nel tema della prorogabilità o meno del termine in data
successiva alla scadenza “che si sarebbe potut[o] porre solo nel caso di mancata costituzione del
reclamato”, pur osservando incidentalmente che la medesima questione sarebbe stata
risolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5700/14 (cit. anche dal precedente sub a)
e su cui infra), che hanno affermato che in tale ipotesi il giudice sarebbe tenuto ad
applicare l’art. 291 cod.proc.civ.; c) nella vicenda di cui a Cass. 25211/2013 il
principio sopra riportato è stato così declinato (e ritenuto prevalente anche rispetto al
fatto in sé) in un caso in cui “all’udienza fissata per la comparizione delle parti il difensore del
reclamante rappresentava di non aver notificato il reclamo con il decreto di fissazione dell’udienza alla
controparte, perché non consegnatogli dalla cancelleria, e chiedeva, quindi, di essere rimesso in termini
per provvedere a tale incombente, previa fissazione di nuova udienza.”; d) nel caso deciso con
Cass. 11418/2014, il termine dato dal giudice per le notifiche non era stato rispettato,
ma successivamente alla sua scadenza, e però prima della udienza, la parte chiedeva ed
otteneva nuovo termine, entro il quale questa volta le notifiche venivano eseguite; e)
nel caso di Cass. 19203/2014, infine, si riconosce che la corte territoriale, rilevato che
gli appellanti non avevano provveduto a notificare il ricorso e il decreto di fissazione
dell’udienza camerale entro il termine loro assegnato e che solo all’udienza avevano
richiesto la fissazione di un nuovo termine al medesimo scopo, ha fatto applicazione
del principio enunciato criticamente rispetto alla sentenza n. 20604/08 delle Sezioni
Unite in tema di rito del lavoro, osservando che un’applicazione non indiscs afa di
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16677/2014 il reclamo proposto alla corte d’appello avverso il provvedimento
camerale adottato dal tribunale (nella specie, in sede di revisione delle condizioni di
separazione dei coniugi) non è improcedibile se il convenuto si sia regolarmente
costituito in giudizio, così sanando ex art. 156 cod.proc.civ. il vizio derivante dal
mancato rispetto del termine ordinatorio assegnato al reclamante per la notificazione
del ricorso e non prorogato con istanza proposta prima della sua scadenza. Da ultimo,
anche Cass. 19203/2014 ha precisato che nei giudizi camerali i quali anche in grado di
appello si introducono con ricorso (nella specie, un procedimento per la declaratoria
dello stato di adottabilità), l’omessa notifica di quest’ultimo e del decreto di fissazione
dell’udienza, entro il termine ordinatorio assegnato dal giudice, non comporta
l’improcedibilità della domanda o dell’impugnazione, poiché, in assenza di una
espressa previsione in tal senso, vanno evitate interpretazioni formalistiche delle
norme processuali che limitino l’accesso delle parti alla tutela giurisdizionale, ma solo
la necessità dell’assegnazione di un nuovo termine, perentorio, in applicazione
analogica dell’art. 291 cod. proc. civ., sempre che la parte resistente o appellata non si
sia costituita, così sanando – con effetto ex tunc – il vizio della notificazione. Il
confronto tra i citati arresti e la vicenda di causa esprime tuttavia alcune significative
differenze, che danno conto della scelta qui alfine operata.

5. Se dunque, per la diversità dei presupposti di materia, non soccorrono in modo
diretto i precedenti citati, nessuno dei quali si è formato con riguardo al regime
d’impugnazione della sentenza di fallimento, né essi presentano profili di fatto
interamente sovrapponibili, occorre allora misurare la portata del principio di cui a
Cass. s.u. 20604/2008 in relazione al suo aggiornamento evolutivo (e non
superamento assoluto) in Cass. s.u. 5700/2014, dettato su analoga questione e diversa
materia con riferimento al procedimento ex 1. n. 89 del 2001, atich’esso introdotto con
ricorso e trattato con rito camerale. La conclusione per cui i principi enunciati dalla
prima decisione, in materia di rito del lavoro, non sono applicabili
indiscriminatamente ad ogni altro procedimento che si introduca con ricorso, e per la
particolare struttura di quel rito, e perché in esso il contrappeso della sanzione
dell’improcedibilità è rappresentato dall’obbligo di comunicazione di avviso
dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza, non sussistente in ogni
rito camerale, in cui — come riportato da Cass. 19203/2014 – è onere della parte di
attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso, permette tuttavia di
delineare la maggiore vicinanza all’eadem ratio originaria della sentenza n. 20604/2008
con cui conformare la decisione sulla causa ora in esame.

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6. Va invero ricordato che: a) per scelta esplicita e di ancoramento sistematico
dell’art.15, co.1, I.fall., il procedimento per la dichiarazione di fallimento, per quanto
delineato davanti al tribunale, vi si svolge “con le modalità dei procedimenti in camera
di consiglio”, ciò costituendo anche per il giudizio che lo segue un’indicazione
prospettica di generale e tendenziale anteposizione di quelle norme rispetto a quelle
del procedimento contenzioso regolato dal codice di rito per la cognizione ordinaria
(così per Cass. 12983/2009 “ai procedimenti di secondo grado si applicano (salvo
incompatibilità) le regole processuali proprie dei procedimenti di primo grado”); b) già nella
struttura dell’appello (ed ora del reclamo) di cui all’arti 8, co. 4 (ed ora co.6 dopo il
digs. n.169 del 2007) ligi. è positivamente prescritto un onere dell’ufficio di
comunicare alla parte che ha depositato la sua impugnazione avverso la sentenza di
fallimento il provvedimento presidenziale che avvia anche verso gli altri contraddittori
necessari l’instaurazione del contraddittorio, dopo che il rapporto processuale già si è
instaurato con l’ufficio; c) Cass. s.u. 20604/2008 ha statuito, con riguardo al rito del
lavoro, come l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge,
diventi improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di
fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito – alla stregua di
un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della
ragionevole durata del processo ex art. 111, co.2, Cost. – al giudice di assegnare, ex art.
421 cod.proc.civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova
notifica a norma dell’art. 291 cod.proc.civ., estendendo il principio al procedirnepto
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quell’arresto si imponeva per la constatazione che, nella vicenda trattata (declaratoria
dello stato di adottabilità), “non ricorreva., il contrappeso della sanzione dell’improcedibilità …
rappresentato dall’obbto di comunicazione di avviso dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione
dell’udienza, non sussistente nel rito camerale, in cui è onere della parte di attivarsi per prendere
cognizione dell’esito de/proprio ricorso”.

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per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, per identità di ratio di
regolamentazione ed ancorchè detto procedimento debba considerarsi un ordinario
processo di cognizione anziché un mezzo di impugnazione (e citando tale pronuncia
Corte cost. ord. n. 60/2010, seguita da ord. 253/12, ha negato rilevanza alla questione
di costituzionalità dell’art435 cod.proc.civ., avendo colto che quella aveva affermato
che l’inosservanza del termine di cui all’art. cit. co .2 determina l’improcedibilità
dell’appello, ma non per la sola violazione del predetto termine, concorrendo altresì la
inosservanza dell’art. 435, co.3, per non essere mai intervenuta la notifica ivi prevista);
d) Cass. s.u. 5700/2014 ha giustificato il proprio consapevole ma solo limitato
scostamento da Cass. s.u. 20604/2008 rilevando che non si dubita che il legislatore
possa condizionare Pesercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini, anche a
pena di improcedibilità o di inammissibilità, ma che “in ossequio al principio di effettività
della tutela giurisdizionak dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista
implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito alla parte onerata dal
rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale esso prende a decorrere”;
cosicchè “nei procedimenti camerag come quello di cui si tratta, non è previsto un onere di
comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della
udienza: il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa
comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del
proprio ricorso. E dunque, nei procedimenti in questione, in applicazione analogica del regime di
sanatoria delle nullità (artt. 164 e 291 c.p.c.), già esistente nel sistema, siccome dettato con
rifirimento al processo di cognizione, k comparizione di entrambe le parti avrà un effetto sanante del
vizio di omessa o inesistente notifica, mentre giudice potrà, in difetto di spontanea costituzione del
resistente all’udienza fissata nel decreto e di comparizione del sok ricorrente, procedere alla fissazione
di un nuovo termine per la notifica del ricorso.”; e) anche di recente, la giurisprudenza di
legittimità in materia laburistica ha osservato che “tutte le attività che concorrono a definire
il meccanismo processuale concernente l’attivazione regolare del contraddittorio, così come tutte le fasi
della dinamica processuale, devono essere ispirate a principi di diligenza e di correttezza ed a condotte
collaborative di quanti agiscono, seppure a diverso titolo, nel giudizio, e che risultino nella loro
interazione funzionali rispetto alla garanzia dei principi di ragionevole durata del processo e di
certezza delle situazioni giuridiche”, ciò sul presupposto che l’art. 111 Cost., co. 2, non
abbia una portata meramente declamatoria ed infatti la regola della “ragionevole durata”
del processo ha assunto anche un valore sopranazionale alla stregua dell’art. 6 CEDU
– come applicata dalla Corte europea — così che si è ripetuto che nel caso in cui il
ricorrente, nonostante la rituale comunicazione della udienza di discussione fissata ex
art. 435 cod.proc.civ., non provveda a notificare l’atto di appello, né, partecipando a
detta udienza, adduca alcun giustificato impedimento al fine di essere rimesso in
termini ai sensi dell’art. 153 cod.proc.civ., la improcedibilità della impugnazione può
essere dichiarata d’ufficio (per Cass. 1175/2015 anche nel caso di notifica avvenuta
per altra successiva udienza, cui la causa – in quella prima udienza — sia stata rinviata
dal giudice per l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado); né è consentito al
giudice assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto
mai compiuto o giuridicamente inesistente, senza che sull’inerzia della parte possa
avere influenza (ai fini di una possibilità di sanatoria) l’avvenuta precedente regolare
notifica del provvedimento di fissazione dell’udienza per la decisione s rich sta di

7. Il Collegio ritiene inoltre che nemmeno possa rinvenirsi un’ eadem rafia nelle recenti
statuizioni con cui, dandosi menzione di un’ispirazione concorrente anche ai canoni
della rinnovazione della notifica posti da Cass. s.u. 5700/2014, si è stabilito che, in
tema di opposizione allo stato passivo, qualora il ricorrente non rispetti il termine a
comparire previsto dall’art. 99, co.5 legge fall. il giudice, in difetto di spontanea
costituzione del resistente, può concedere un ulteriore termine perentorio, entro il
quale rinnovare la notifica (Cass. 20396/2014, 25862/2014), trattandosi — come visto
per altri precedenti — di vicende in cui la notifica era stata comunque esperita e solo
tardivamente eseguita rispetto al termine concesso e la rado della decisione sviluppava
in modo assorbente la tesi, già posta da Cass. 8439/2012, della natura non perentoria
del termine fissato ai sensi del parallelo co.4 art.99 1.fall.
8. Tutte le precedenti osservazioni depongono conclusivamente per esprimere, in
continuità con il precedente di Cass. s.u. 20604/2008 e senza contraddizione con le
aperture di Cass. s.u. 5700/2014, il principio per cui, con riguardo all’impugnazione
della sentenza dichiarativa di fallimento e ove in giudizio sia mancata la. costituzione
delle controparti, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione
dell’udienza, pur non essendo di per sé perentorio, non ammette la sua proroga, con
concessione di un nuovo termine, se essa venga richiesta, come nella specie, solo
dopo la relativa scadenza, per la prima volta all’udienza stessa, nonostante la parte
impugnante abbia ricevuto la comunicazione del decreto presidenziale di cui all’art.18
co.4 1.fall. ratione temporis vigente e senza che sia stata riportata alcuna vicenda di
giustificazione, nemmeno allegata al giudice di merito, ostando alla rinnovazione
l’interpretazione costituzionalmente coerente con la ragionevole durata del processo
da condursi sull’arti 54 cod.proc.dv., criterio generale applicabile anche alla
fattispecie, posto che: a) nell’impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di
fallimento, come visto, la parte è posta ne112 condizione di conoscere il decreto
presidenziale di fissazione dell’udienza, cioè esattamente quel contrappeso alla
sanzione dell’improcedibilità compatibile con la teorica del giusto processo che
valorizzi innanzitutto la sua durata ragionevole, potendosi affermare, con Cass. s.u.
20604/2008 che l’ha ex professo utilizzato, che “una volta scaduto il termine ordinatorio senza
che si sia avuta una proroga – come è avvenuto nella fattioecie in esame – si determinano, per il venir
meno de/potere di compiere l’atto, conseguenze analoghe a quelle ricollegabifi al decorso del termine
perentorio”; b) proprio l’arresto del 2014 ha cura di chiarire che il procedimento di cui
alla legge n. 89 del 2001, che disciplina il procedimento per il conseguimento dell’equo
indennizzo da durata irragionevole del processo (rispetto al quale solamente il
principio di diritto è stato espresso), a differenza saliente di quelli di impugnazione o
di opposizione a decreto ingiuntivo, “non presuppone la legittima aspettativa della controparte
al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito e ragionevolmente breve, di un
provvedimento giudiziario già emesso”, evenienza invece agilmente riconoscibile nell’appello
(ora reclamo) avverso la sentenza dichiarativa di fallimento e per la stabilizzazione di
quest’ultima; c) tratto distintivo delle controversie di lavoro e di quelle in tema
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inibitoria ex art. 283 cod. proc. civ., trattandosi di attività che ha esaurito la propria
valenza propulsiva nell’ambito della diversa fase cautelare (Cass. 20613/2013).

9. Il secondo motivo è assorbito dal rigetto del primo, pur dovendosene cogliere l’elevato
grado di genericità, dunque per tale ragione anche inammissibile.
10. Il terzo motivo è inammissibile perché da un lato censura con il vizio di motivazione
una pronuncia della quale predica il limite sotto il profilo del non avere mai
pronunciato su una questione della quale non riporta però la storica appartenenza al
contenzioso stesso, ove si consideri che la parte non ha indicato quali ragioni esterne
avrebbero potuto giustificare l’omissione dell’adempimento notificatorio. Dall’altro
lato, la redazione del quesito finale non individua con nettezza il fatto controverso e al
contempo invoca un contraddittorio principio di dimostrazione della situazione
esterna incompatibile con la proroga del termine, ascrivibile ad una regola giuridica —
da applicarsi d’ufficio – del tutto alternativa e nemmeno accennata nei suoi riferimenti.

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—estensore e

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dichiarazione e revoca del fallimento (anche a differenza di quelle sull’opposizione allo
stato passivo e salvo le eccezioni della materia laburistica, Cass. 16494/2013) è poi,
diversamente che per i procedimenti su cui si sono esercitati i precedenti citati, la
comune appartenenza al novero di quelli che, ex art92 ordinamento giudiziario, non
sono sospesi i termini durante il periodo feriale, inerendo essi ad affari civili a
trattazione urgente per valutazione normativa, il che costituisce conferma di una
prestazione giurisdizionale ispirata a necessaria selettività di conduzione ed effettività
del controllo di stretta legalità degli atti ove sollecitato dall’iniziativa impug-natoria, per
l’evidente interesse anche pubblico alla celere definizione; d) con la previsione di una
rinnovazione, nonostante la scadenza del termine, l’omessa enunciazione di una causa
di giustificazione dell’inottemperanza. e la formulazione della richiesta per la prima
volta solo all’udienza, si configurerebbe, in alternativa, un principio di totale
disponibilità della stessa udienza in capo alla parte impugnante, potestativamente e
acausalmente in grado di scegliere l’avvio effettivo e la durata del processo di
controllo della decisione di prime cure (se cioè impegnare il contraddittorio già
all’udienza fissata dal giudice ovvero opzionare una seconda udienza, a semplice
richiesta, e da essa far procedere la trattazione), risultandone una peculiare soggezione
organizzativa dell’organo giudiziario (nella condizione di non poter programmare
alcuna attività di effettiva unica udienza, in attesa dell’esaurimento delle facoltà
rimesse alla parte) tanto evidente quanto grave si porrebbe — senza reazione l’incidenza di un fattore unilaterale di alterazione volontaria della procedibilità, tra
l’altro tutto conseguente a congegni di mera interpretazione in deroga rispetto
all’impianto normativo disegnato positivamente e compiutamente dall’art.18 1.fall; e)
la chiara formulazione degli artt. 153 e 154 cod.pro.civ. e una interpretazione
costituzionalmente orientata anche di tali norme nel rispetto della ragionevole durata
del processo, per Cass. s.u. 20604/2008, ‘portano a condividere l’assunto che la differenza tra
termini “ordinatoti” e termini ‘perentori” risieda nella prorogabifità o meno dei primi, perché mentre
i termini perentori non possono in alcun caso “essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo
delle parti” (art. 153 c.p.e.), in relazione ai termini ordinatoti è consentito, di contro, al giudice la
loro abbreviazione o proroga, finanche d’ufficio, sempre però “prima della scadenza” (art. 154 c.p.c.).

11. Il quarto motivo è inammissibile, per assoluta genericità, quanto al primo quesito ed in
quanto nega la sussistenza di una motivazione invece specifica e argomentata sul
punto della negata proroga, oltre tutto decisa non sulla base di un criterio di esercizio
della discrezionalità, bensì per diretta discendenza da un esplicitato criterio normativa
regolatore dell’atto processuale e come tale non derogabile.
Il ricorso va dunque rigettato.
2
:

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2015.

P.Q.M.

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