Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15141 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. I, 22/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 22/06/2010), n.15141

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5029-2008 proposto da:

S.P. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

sul ricorso 8328-2008 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.P., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine del

ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

01/02/2007, n. 2906/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso come da verbale di udienza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 26.10.2006, S.P. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 26.01-1.02..2007, l’adita Corte di appello, condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare all’istante della somma di Euro 9.000,00 a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, oltre alla metà delle spese processuali, liquidate per l’intero in Euro 18,58 per anticipazioni, Euro 588,00 per diritti ed Euro 400,00 per onorari, distratte in favore del difensore antistatario.

Premesso anche che la Presidenza del Consiglio dei Ministri si era costituita rassegnando le seguenti conclusioni “… provvedere alla liquidazione dell’indennizzo richiesto ex adverso alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza interna ed internazionale, disponendo la compensazione delle spese”, la Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che la S. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo, da lei introdotto nei confronti del Comune di Napoli, dinanzi al TAR Campania, con ricorso depositato il 13.03.1995 ed ancora pendente in primo grado, dopo 11 anni e 10 mesi circa, peraltro senza che la stessa avesse presentato istanze di prelievo;

– che la durata ragionevole del primo grado di detto processo amministrativo poteva essere fissata in un triennio;

– che per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, stimabile in anni 8 e mesi 10 circa il chiesto indennizzo del danno morale doveva essere equitativamente liquidato all’attualità nella complessiva misura di Euro 9.000,00, avuto riguardo alle concrete connotazioni della vicenda esaminata, con riferimento anche al fatto che non era stata presentata alcuna istanza di prelievo;

– che i limiti di accoglimento della domanda legittimavano la compensazione delle spese processuali nella misura di 1/2.

Avverso questo decreto la S. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 13.02.2008. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso notificato il 21.03.2008 e proposto ricorso incidentale, resistito dalla S. con controricorso notificato il 22.04.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente:

1) deve essere disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza;

2) vanno disattese le istanze che il Pg ha formulato all’udienza pubblica, in parte inerenti a questioni anche d’incostituzionalità (cfr., tra le altre, Cass. 200801354), già affrontate e risolte da questa Corte, con univoco condiviso indirizzo, ed in parte relative a temi di politica legislativa, estranei all’ambito decisorio.

Riassuntivamente ed in sintesi, con il ricorso principale la S. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia (motivi da 1 a 6 ) ai criteri di liquidazione del danno morale, che assume esserle dovuto nella misura di Euro 125 per ciascuno dei 139 mesi di durata del processo, con integrazione del bonus di Euro 2.000,00, e sia (motivi 7 e 8) alla compensazione parziale delle spese.

Il ricorso non merita favorevole apprezzamento.

Nel caso in disamina, infatti, la Corte di merito quale indennizzo per il sofferto danno morale, ha ineccepibilmente liquidato in via equitativa, l’importo complessivo di Euro 9.000,00 per circa anni 8 e mesi 10 d’incongruo ritardo, senza maggiorazioni, dal momento che:

– ha legittimamente non correlato l’indennizzo alla durata dell’intero processo, posto che la Legge Nazionale L. n. 89 del 2001, (art. 2 comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di riferire il ristoro al solo periodo di durata eccedente il ragionevole (cfr. tra le altre, Cass. 200508568;

200608714; 200723844) – ha legittimamente determinato in via equitativa, l’importo di circa Euro 1.000,00 ad anno di incongruo ritardo, senza maggiorazioni, in linea con i parametri di quantificazione della riparazione del danno non patrimoniale applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, oscillanti tra Euro 1.000,00 e 1.500,00, e che l’aderenza al parametro minimo appare congruamente argomentata con riferimento alle peculiarità del caso (tra le numerose altre, cfr.

Cass. 200704845).

– inammissibile e comunque infondata è la doglianza con cui si sollecita l’attribuzione dell’indennizzo supplementare di Euro 2.000,00, che non risulta quando è stato chiesto nella fase di merito e che in ogni caso presuppone casi di particolare gravita del danno in relazione alla posta in gioco, nella specie non evincibili (in tema cfr Cass. 20086808; 200917684) Del pari prive di pregio si rivelano, inoltre, le doglianze inerenti alla disposta compensazione parziale delle spese processuali del giudizio di merito, dal momento sia che nei processi davanti ai giudici nazionali, ivi compresi quelli di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il regime delle spese di lite deve seguire le regole legali previste dalla legge italiana (in tema, cfr.

Cass. 200318204; 200423789; 200714053), secondo le quali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte, sia che la statuizione di compensazione è incensurabile in sede di legittimità, salvo che risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, come nella specie con evidenza non è avvenuto, e sia ancora che la statuizione risulta adeguatamente sorretta dal riferimento al rapporto tra entità del chiesto ed entità dell’accordato.

Con il ricorso incidentale la Presidenza del Consiglio dei Ministri denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

L’Amministrazione censura la statuizione con cui i giudici di merito l’hanno condannata al pagamento della metà delle spese processuali, deducendo in sintesi che nel procedimento per equa riparazione, l’amministrazione, qualora non si sia costituita o costituendosi non si sia opposta alla pretesa del ricorrente, non può essere considerata soccombente, dato il carattere necessitato dell’azione e che in ogni caso l’amministrazione non può autonomamente esaminare l’istanza d’indennizzo e se fondata darvi corso ma deve attendere la pronuncia della Corte d’appello che determina l’an ed il quantum della pretesa indennitaria, ragione per cui è da escludere una sua responsabilità per l’insorgenza della lite.

Il motivo di ricorso non è fondato.

Alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89 non ricollega l’applicazione di una pena privata o di una sanzione nei confronti dell’amministrazione, ma un’equa riparazione in favore del soggetto che, per effetto della eccessiva durata del giudizio, abbia subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale (cfr Cass. 200211046; 200213422; 200214885;

200518455).

Anche la condanna della parte soccombente alle spese processuali, a norma dell’art. 91 cod. proc. civ., non ha natura sanzionatoria. Essa non avviene a titolo di risarcimento dei danni (il comportamento del soccombente non è assolutamente illecito, in quanto è esercizio di un diritto), ma è conseguenza obiettiva della soccombenza. Ai relativi fini non rilevano i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioè quelli che non implicano l’esclusione del dissenso nè importano l’adesione all’avversa richiesta – quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda dell’attore – e sta di fatto che è ritenuto soccombente e merita la condanna al rimborso delle spese processuali il convenuto contumace, oppure il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, si da rendere superfluo il ricorso all’autorità giudiziaria (cfr, Cass. 200104485).

L’obbligo del rimborso delle spese processuali si fonda sul principio di causalità, di cui la soccombenza costituisce solo un elemento rivelatore, e risponde all’esigenza di ristorare la parte vittoriosa dagli oneri inerenti al dispendio di attività processuale cui è stata costretta. La parte soccombente va identificata, alla stregua del principio di causalità sul quale si fonda la responsabilità del processo, in quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata o azionando una pretesa riconosciuta infondata, abbia dato causa alla lite, ovvero, nel caso di lite necessaria – quando, cioè, il bene richiesto non possa essere ottenuto se non con lo strumento necessario ed insostituibile del processo – con quella che ha tenuto nel processo un comportamento rivelatosi ingiustificato (cfr. Cass. 197901008). Alla stregua di tali principi, occorre concludere che nella specie i giudici di merito hanno legittimamente ritenuto che l’Amministrazione non potesse essere ritenuta esente dall’onere delle spese sostenute dal ricorrente per l’esercizio processuale del suo diritto all’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 (in tema, cfr Cass. 201.001101).

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione per intero delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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