Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15140 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 22/07/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 22/07/2016), n.15140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21575/2014 proposto da:

SALUS MC SRL UNIPERSONALE, in persona del suo Amministratore Unico,

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE AMBROSIO, rappresentata e difesa dagli avvocati VITTORIO DE

FRANCO, DOMENICO DE SANTIS, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANZARO, in persona del Direttore

Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVAN

BATTISTA MARTINI 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MARASCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI ALOISIO, giusta

procura speciale ai margini del controricorso;

– controficorrente –

contro

REGIONE CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3229/2012 del TRIBUNALE di CATANZARO del

7/8/2012, depositata il 26/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato Vittorio DE FRANCO difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti del ricorso e chiede la condanna alle spese.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. La Salus M.C. s.r.l. Unipersonale ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, contro la Regione Calabria e l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro avverso la sentenza resa in primo grado in una controversia inter partes dal Tribunale di Catanzaro il 26 ottobre 2012.

L’impugnazione è stata proposta a seguito dell’ordinanza del 15 dicembre 2013, con cui la Corte d’Appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., l’appello proposto contro la sentenza del Tribunale.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’Azienda intimata, mentre non ha svolto attività difensiva la Regione Calabria.

3. Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione all’avvocato dei ricorrenti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. All’adunanza della Corte è comparso ed è stato sentito il difensore della ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., si sono svolte le seguenti considerazioni:

3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente inammissibile.

Queste le ragioni.

3.1. Nel ricorso la ricorrente non ha allegato che l’ordinanza della Corte d’Appello non le sarebbe stata comunicata.

Ora, dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, prevede che il termine per l’impugnazione, riferito alla sentenza di primo grado, decorre dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore e, quindi, per il caso di mancanza dell’una e dell’altra formalità, prevede l’operatività del c.d. termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c..

Ne segue che chi esercita il diritto di ricorrere in cassazione, se è avvenuta la comunicazione dell’ordinanza deve rispettare il termine di sessanta giorni da essa, posto che l’art. 348-ter, comma 3, secondo inciso, quando allude al termine per propone ricorso per cassazione, allude a quello di cui dell’art. 325 c.p.c., comma 2. Solo per il caso che la controparte abbia notificato la sentenza prima della comunicazione (che l’art. 133 c.p.c., assoggetta ad un termine di cinque giorni e ciò anche nel testo applicabile alla controversia) notifichi, il termine de quo decorre dalla notificazione. Lo stesso decorso si verifica se la cancelleria ometta del tutto la comunicazione. In fine, solo qualora risulti omessa la comunicazione e manchi anche la notificazione, opera il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c..

Questa essendo la disciplina dettata dal legislatore chi esercita il diritto di ricorrere in Cassazione a norma dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, per dimostrare la sua tempestività, qualora proponga il ricorso oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, potendo la comunicazione avvenire fino dallo stesso giorno della pubblicazione, è tenuto ad allegare, se la comunicazione sia mancata al momento in cui notifica il ricorso, che essa non è avvenuta e, gradatamente, che non è avvenuta la notificazione e che, pertanto, propone il ricorso fruendo del c.d. termine lungo.

Nella specie la ricorrente non ha allegato che l’ordinanza non le sarebbe stata comunicata ed ha notificato il ricorso nel settembre del 2014, cioè ben oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza e, dunque, posto che la comunicazione potrebbe essere stata fatta a partire dalla pubblicazione, oltre il termine che in ipotesi potrebbe da essa essere decorso, ove la comunicazione fosse stata coeva.

In tale situazione non essendo stata allegata la mancata comunicazione, l’impugnazione non appare tempestiva già sulla base della sola lettura del ricorso, giacchè, essendo la comunicazione possibile dalla data della pubblicazione, la mancata allegazione del se e quando essa sia avvenuta rende il ricorso nella sua attività assertiva carente dell’allegazione della sua tempestività.

Parte ricorrente potrà semmai dare dimostrazione della mancanza della comunicazione da parte della cancelleria al momento della proposizione del ricorso per cassazione o di una sua effettuazione in un momento tale che il ricorso possa considerarsi tempestivo e ciò, rispettivamente, tramite eventuale attestazione di cancelleria oppure tramite il deposito della comunicazione ricevuta.

Tale dimostrazione ed il relativo deposito potranno avvenire in relazione alla fissanda adunanza della Corte e ciò senza che all’eventuale produzione dell’attestazione o della comunicazione possa essere di ostacolo l’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 2, atteso che esso non risulta applicabile all’impugnazione della sentenza di primo grado, giacchè il suo disposto – sulla cui esegesi si vedano Cass. sez. un. nn. 9004 e 9055 del 2009 – si riferisce alla relata di notificazione della sentenza impugnata, che qui non è rilevante, dato che il termine decorrente dalla comunicazione, previsto dall’art. 348-ter non concerne la comunicazione della sentenza di primo grado, mentre per quanto attiene all’eventuale possibilità di impugnazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. (nei limiti in cui l’ha ammessa Cass. sez. un. n. 1914 del 2016), la norma non è applicabile giacchè il legislatore, introducendo l’art. 348-ter, ed in particolare l’ipotesi del decorso dalla comunicazione del deposito dell’ordinanza, in concorso con quella del decorso dalla sua notificazione, non ha detto che alla prima ipotesi si estendeva la previsione del n. 2 del primo comma dell’art. 369 c.p.c. (il che rende la situazione differente da quella – di cui all’art. 47, secondo comma, c.p.c. della decisione impugnabile con il regolamento di competenza necessario, che, invece, rappresentando l’ipotesi normale di decorso del termine di proposizione del regolamento si presta ad essere equiparata alla notificazione ad istanza di parte sulla base dell’estensione delle norme sul ricorso per cassazione al ricorso per regolamento).

3.2. Si deve, poi, aggiungere che il ricorso sarebbe in ogni caso inammissibile perchè, come ha rilevato la parte resistente, deduce con l’unico motivo il paradigma del n. 5 anteriore al testo vigente ed applicabile nella specie”.

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere, tenuto conto che il difensore della ricorrente è comparso all’adunanza e si è limitato a chiedere la compensazione delle spese giudiziali, senza contestare la relazione.

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi, atteso che sulla questione della impugnabilità dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., discussa in dottrina, all’epoca della proposizione del ricorso non vi erano precedenti della Corte e, d’altro canto, vi è stato successivamente un contrasto di giurisprudenza in seno alle sezioni semplici, risolto dalla citata sentenza delle Sezioni Unite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve invece dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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