Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1514 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30460/2018 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in Ascoli Piceno in Rua

del Papavero n. 6, presso lo studio dell’avv. P. Alessandrini, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, e Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Bari, Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositato il

07/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di L’Aquila ha respinto il ricorso proposto da F.M. cittadino del Gambia, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale sia come “rifugiato” che nella forma della protezione sussidiaria che di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di essere stato costretto a lasciare il proprio Paese d’origine per sottrarsi alle persecuzioni conseguenti al suo rifiuto di acconsentire alla pratica della infibulazione nei confronti della sorella minore, nonostante il consenso prestato dallo zio paterno che lo avrebbe aggredito e picchiatoò per questo sarebbe fuggito per salvare la propria vita e quella della sorella. L’istante ha dichiarato di essere arrivato in Italia, passando per il Senegal, il Mali e la Libia, dove avrebbe perso le tracce della sorella, essendo i fratelli, ivi, stati asseritamente divisi.

Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e per il mancato riconoscimento dell’ipotesi di un danno grave costituito dai trattamenti inumani e degradanti, nonchè difetto di motivazione; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, art. 2 Cost., in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il primo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità” (Cass. n. 32064/18, 30105/18).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha, da una parte, evidenziato come la fuga del ricorrente dovuta al fatto che egli avesse cercato di evitare che la sorella minore subisse la pratica dell’infibulazione risulta estranea alla fattispecie normativa, in quanto, lo stesso ricorrente avrebbe dichiarato di non essere più in contatto con la stessa (vedi p. 3 del decreto del Tribunale), mentre, dall’altra, ha accertato approfonditamente, e con motivazione congrua, anche con l’ausilio di fonti informative aggiornate, che la situazione socio-politica in Gambia, è cambiata con l’elezione del nuovo Presidente B., che ha preannunciato riforme democratiche e la liberazione dei detenuti politici, cosicchè non è più attuale il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti per coloro che erano gli oppositori del vecchio regime in quanto il nuovo si pone in antitesi con quello precedente.

Il secondo motivo, in riferimento alla protezione umanitaria, è inammissibile, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, senza che avessero rilievo determinante, l’inserimento lavorativo la cui documentazione non è stata neppure “localizzata” ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nè il livello linguistico raggiunto.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte del ricorrente, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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