Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15137 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15137 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 29991-2007 proposto da:
COMUNE DI CAPO D’ORLANDO, in persona del Sindaco
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COLA DI RIENZO 28, presso l’avvocato ZAllA ROBERTO,

Data pubblicazione: 02/07/2014

rappresentato e difeso dall’avvocato GRASSO
BERNARDETTE, giusta procura a margine del ricorso;

_cAT556gots8- ricorrente

2014
contro

3.046

D’ANDREA

MADDALENA

(C.F.

DNDMDL66D50G284P),

elettivamente domiciliata in ROMA – LIDO DI OSTIA,

1

VIA CARLO DEL GRECO 59, presso l’avvocato LA MOTTA
DORA, rappresentata e difesa dagli avvocati
COMUNALE BRUNO, DIANA LUCA, giusta procura in calce
al controricorso;
– controri corrente –

D’ANDREA PIETRO, D’ANDREA ROSARIA, D’ANDREA ELENA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 273/2007 della CORTE
D’APPELLO di MESSINA, depositata il 17/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 21/05/2014 dal Consigliere
Dott. STEFANO BENINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

contro

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 10.7.1997, D’Andrea
Pietro, D’Andrea Giacoma, D’Andrea Rosaria, D’Andrea
Maddalena e D’Andrea Elena convenivano in giudizio davanti
al Tribunale di Patti il Comune di Capo d’Orlando,

chiedendo la determinazione dell’indennità per il periodo
di occupazione legittima, ed il risarcimento del danno per
l’occupazione appropriativa di un fondo di loro proprietà
di mq. 5.690, destinato alla realizzazione di verde
pubblico attrezzato.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione convenuta,
contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva
il rigetto.
Avverso la sentenza di primo grado, depositata il
27.6.2001, che condannava il convenuto al risarcimento del
danno, quantificato in lire 51.393.252 e a lire 27.656.580
per indennità di occupazione, proponeva appello il Comune
di Capo d’Orlando.
Con sentenza depositata il 17.5.2007, la Corte d’appello
di Messina rigettava il gravame, osservando che il venir
meno del rapporto di immedesimazione organica tra l’ente e
il funzionario, di modo che quest’ultimo sia direttamente
responsabile per l’impegno di spesa assunto in assenza di
copertura finanziaria, si verifica per le sole forniture
di merci e servizi, che l’azione non era prescritta,
decorrendo il termine dalla scadenza dell’occupazione
legittima, all’interno della quale era avvenuta
3

l’irreversibile

trasformazione

del

fondo,

che

le

contestazioni sull’accertamento del valore del fondo, ai
fini della liquidazione del danno, erano generiche. La
sentenza è stata emessa nei confronti degli appellati, e
riguardo a D’Andrea Pietro e D’Andrea Rosaria, anche in

qualità di eredi di D’Andrea Giacoma.
Ricorre per cassazione il Comune di Capo d’Orlando,
affidandosi a due motivi, al cui accoglimento si oppone
con controricorso D’Andrea Maddalena, illustrato da
memoria. Non hanno spiegato difese D’Andrea Pietro,
D’Andrea Rosaria, e D’Andrea Elena.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il Comune di Capo
d’Orlando, denunciando erroneità nei presupposti di fatto
e di diritto, illogicità manifesta e difetto assoluto di
motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.;
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116
c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non
aver spiegato le ragioni per cui ha ritenuto sufficiente
utilizzare ai fini della decisione una relazione del
c.t.u. nominato nella precedente causa avente ad oggetto
l’opposizione alla stima dell’indennità di esproprio,
piuttosto che un nuovo esperimento di c.t.u.
Con il secondo motivo di ricorso, il Comune di Capo
d’Orlando, denunciando violazione e falsa applicazione
della legge 25.6.1865 n. 2359, dell’art. 23 1. 144/89, e
4

dell’art. 35 d.lgs. 77/95, vigenti

ratione temporis,

in

relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ed omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su punti
decisivi, censura la sentenza impugnata per non aver
tenuto conto che avendo disposto l’occupazione senza

emettere tempestivo decreto di esproprio, il Sindaco è
divenuto direttamente responsabile nei confronti del
privato, rompendo il rapporto di immedesimazione organica,
con conseguente carenza di legittimazione passiva
dell’amministrazione comunale.
Il primo motivo è inammissibile.
Esso solleva una questione che attiene alla formazione del
convincimento del giudice, e che per questo si esplica
nella motivazione della sentenza. Il ricorrente si duole
che il giudice di primo grado abbia recepito le
indicazioni di un c.t.u. nominato in altro giudizio, e che
la Corte d’appello abbia avvalorato il

decisum di primo

grado senza giustificare l’utilizzabilità di tale
elaborato.
Il ricorrente erra nella lettura della sentenza della
)
Corte d’appello, la quale dà chiaramente atto che il
Tribunale ha istruito la causa con l’espletamento di
c.t.u. Le varie deduzioni, svolte dai giudici di entrambi
i gradi, appaiono evidentemente informate alla relazione
tecnica esperita. E’ evidente che la Corte d’appello,
allorché avvalora l’operato dell’ausiliare in primo grado,
solo per un errore materiale cita un nominativo, l’ing.
5

Alleruzzo, che non è l’autore di quella consulenza, che
invece è attribuibile all’ing. Pizzuto.
Il secondo motivo è infondato.
Correttamente la Corte di merito ha limitato l’ambito di

dell’amministrazione, prevista dall’art. 23 d.l. 2.3.1989
n. 66, conv. in 1. 24.4.1989 n. 144, alla responsabilità
contrattuale. Tale definizione, peraltro, è contenuta
nella giurisprudenza unanime che ha esaminato i rapporti
tra tale responsabilità, e quella di cui all’art. 2041
c.c. (tra le altre, Cass. 29.7.1997, n. 708; 20.8.2003, n.
12208), ed è limitata ai contratti di fornitura di beni e
servizi, in cui vi sia stato contatto diretto tra il
privato fornitore e il funzionario, che abbia consentito
,

la fornitura.
Tale

interpretazione

è

normativamente

avvalorata

nell’evoluzione legislativa, dall’art. 35 d.lgs. 25.2.1995
n. 77, che ha riprodotto in termini sostanzialmente
identici l’art. 23 d.l. 6/89 (che è stato
contemporaneamente abrogato dall’art. 123), che statuisce
la responsabilità diretta dell’amministratore o del
funzionario “ai fini della controprestazione e per ogni
effetto di legge tra il privato fornitore e
l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito
la fornitura”.

applicazione della responsabilità diretta

E’ evidente che nell’ipotesi di obbligo indennitario o
risarcitorio per procedure espropriative, siamo al di
fuori della concettualità espressa da tali termini.
A ciò si aggiunga che l’art. 37 dello stesso d.lgs. 77/95,
nell’ammettere il riconoscimento postumo di legittimità di

debiti fuori bilancio, considera separatamente “la
“procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per
opere di pubblica utilità” (lett. d), dalla “acquisizione
di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai
commi 1, 2 e 3 dell’articolo 35” (lett. e), che è proprio
l’ipotesi in relazione alla quale il coma 4 riconosce la
responsabilità diretta dell’amministratore o del
funzionario.
Il ricorso va dunque rigettato con le conseguenze in
. ordine alle spese.
E’ appena il caso di osservare che non può essere accolta
la richiesta della controricorrente, avanzata solo con la
memoria illustrativa, di riliquidare il danno secondo il
criterio del valore venale, dopo la dichiarazione di
illegittimità costituzionale del risarcimento ridotto, di
cui all’art.

5-bis,

comma

7-bis

d.l. 11.7.1992 n. 333,

conv. in 1. 8.8.1992 n. 359, come introdotto dall’art. 3,
comma 65, 1. 23.12.1996 n. 662 (Corte cost. 24.10.2007, n.
349).
Il principio per cui la norma dichiarata incostituzionale
non può essere applicata dal giorno successivo alla
pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale,
e

7

ai sensi dell’art. 136 Cost. e della 1. 11.3.1953, n. 87,
art. 30, terzo comma, va coordinata con il principio della
domanda. Gli attuali intimati non solo non hanno proposto
in questa sede ricorso, ma avevano fatto acquiescenza già

Ove infatti la Corte d’appello sia stata investita del
gravame dell’ente pubblico dolutosi della quantificazione
del danno attuata dal primo giudice, il proprietario non
può pretendere maggiorazioni, ad esempio risultanti da una
nuova c.t.u., disposta in secondo grado, ove questi non
abbia contestato la statuizione del Tribunale in punto di
liquidazione del risarcimento dovuto (Cass. 28.2.2006, n.
4400).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle
spese, liquidate in euro 7.000 per compensi, euro 200 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 21.5.2014

alla liquidazione del danno effettuata dal Tribunale,

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