Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15135 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15135 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

PU

SENTENZA

sul ricorso 13999-2008 proposto da:
MG ADVERTISING S.R.L., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA A. CHINOTTO l, presso

Data pubblicazione: 20/07/2015

l’avvocato ERMANNO PRASTARO, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;

c -F • `• A65 44 4 4 DoG
– ricorrente –

2015
827

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEMPIO DI

1

GIOVE 21,

presso gli UFFICI DELL’AVVOCATURA

COMUNALE, rappresentato e difeso dall’avvocato
v

BARONI MASSIMO, giusta procura a margine del
.dr

controricorso;
– controricorrente

D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/04/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 06/05/2015 dal Consigliere
Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato SABRINA
MARIANI, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1523/2007 della CORTE

o

3

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Roma accolse la domanda proposta da MG Advertising s.r.l. contro il
Comune capitolino e dichiarò illegittimi gli inviti al pagamento dell’indennità per
occupazione abusiva di suolo pubblico, realizzata attraverso l’installazione di impianti

pubblicitari, che l’ente locale aveva notificato all’attrice nel settembre del ’97.
A sostegno della decisione il giudice rilevò: che non spettava al Comune di
determinare autoritativamente ed unilateralmente il danno subito; che tuttavia,
dovendosi accertare l’effettivo ammontare del pregiudizio subito, appariva corretto il
criterio di liquidazione adoperato dall’ente, che aveva quantificato il danno in misura
pari al doppio del canone concessorio stabilito per l’occupazione di suolo pubblico, a
sua volta mutuato dalla tariffa in materia di imposta sulla pubblicità di cui al d. Igs. n,
507/93; che era invece illegittima la richiesta di pagamento degli importi con
decorrenza dal 1°.1.97, anziché dalla data di accertamento dell’illecito, non potendo
trovare applicazione in fattispecie risarcitoria l’art. 8 comma 4 0 del d.lgs. n. 507/93
dettato in materia di determinazione dell’imposta comunale di pubblicità, costituente
norma di stretta interpretazione, insuscettibile di applicazione analogica.
La sentenza, impugnata in via principale dal Comune soccombente ed in via
incidentale da M.G. Advertinsig, è stata riformata dalla Corte d’appello di Roma che,
con sentenza del 2.4.07, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale ed ha
accolto quello principale, conseguentemente rigettando la domanda di accertamento
negativo avanzata dalla società.
La corte territoriale ha rilevato che, una volta ritenuta legittima la liquidazione del
danno sulla base del criterio stabilito per la determinazione della tassa di
occupazione di suolo pubblico, non v’era ragione per discostarsi da tale criterio nella
sua interezza e dunque di operare il calcolo su base annua, indipendentemente
dalla data in cui era avvenuto l’accertamento dell’infrazione.
La sentenza è stata impugnata dal MG Advertisng con ricorso per cassazione
3

affidato a sette motivi ed illustrato da memoria, cui il Comune di Roma ha resistito
con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1)Con i primi cinque motivi di ricorso MG Advertising – nel denunciare plurime
violazioni del d.lgs. n. 507/03, del principio della riserva di legge, dell’art. 2043 c.c.
nonché vizi di omessa o contraddittoria motivazione – lamenta che la corte del

merito, dopo aver correttamente affermato che il Comune, ai fini della quantificazione
del danno da occupazione abusiva, non poteva avvalersi del regolamento comunale
che, in applicazione dell’art. 9 comma 7 del d. Igs. n. 507/93, fissa i criteri di
determinazione dei canoni concessori per gli impianti pubblicitari regolarmente
autorizzati, abbia poi ritenuto congrue le somme richieste, ancorché commisurate ai
medesimi criteri, senza neppure chiarire perché essi potevano essere adottati nella
loro interezza, ovvero liquidando il danno su base annua anziché dalla data di
accertamento dell’illecito.
Formula, a illustrazione dei motivi, i quesiti di diritto e/o i paragrafi riassuntivi che si
seguito si riportano:
“E’ illegittima la richiesta di pagamento del risarcimento del danno come avanzata
dal Comune negli inviti al pagamento sulla base dei criteri regolamentari regolanti la
diversa materia del canone, per violazione del principio della riserva di legge in
materia sanzionatoria e difetto di fondamento normativo?”.
“Gli inviti a pagamento, vista la carenza di fondamento legislativo dei criteri regolanti
la materia del canone nel d. Igs. n. 507/93, sono nulli anche per violazione del
principio del divieto di interpretazione estensiva analogica, non potendosi applicare
alla fattispecie norme regolanti la diversa materia dell’imposta di pubblicità?”
‘E illegittima la sentenza che afferma la legittimità della pretesa comunale non
motivando circa il fondamento della sua decisione, impedendo di verificare l’iter
logico seguito nella statuizione?”
“Sono illegittimi gli inviti a pagamento che richiedono l’indennità con decorrenza dal
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primo gennaio dell’anno in cui è stata eseguita l’occupazione per violazione del
criterio di estensione analogica delle disposizioni dettate in materia di pubblicità
abusiva ai fini dell’imposta dagli artt. 8 e 12 del d. lgs, n. 507/93?”
“E’ illegittima la declaratoria di legittimità della richiesta di indennità quantificata dal
Comune con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui si è verificata
l’occupazione prescindendo dalla data di effettivo accertamento come previsto

dall’art. 2043 c.c.?”
2)1 motivi vanno dichiarati inammissibili.

Sfugge infatti alla ricorrente che, ai sensi dell’art. 1226 c.c. (richiamato dall’art. 2056
c.c.) qualora sia certa l’esistenza di un pregiudizio risarcibile ma sia impossibile, o
molto difficile, dimostrarne il preciso ammontare, il danno può essere liquidato dal
giudice in via equitativa, con valutazione che è rimessa al suo potere discrezionale e
che non può essere censurata in sede di legittimità qualora sia sorretta dalla chiara
indicazione del processo logico seguito nell’adozione dei criteri in base ai quali è
compiuta la quantificazione (cfr. Cass. n. 17492/07).
Tanto è accaduto nel caso di specie, in cui, essendo certa la commissione
dell’illecito e risultando il danno dimostrato in re ipsa, la corte del merito ha affermato
la congruità della pretesa risarcitoria avanzata dal Comune, rilevando per un verso
che, con accertamento non contestato in grado d’appello, il primo giudice aveva
ritenuto corretto parametrarla al doppio del canone concessorio per l’occupazione di
suolo pubblico (fissato con la delibera comunale n. 1016 del ’94) che sarebbe stato
dovuto in caso di autorizzazione all’installazione degli impianti, e, per l’altro, che non
vi erano elementi per discostarsi da tale criterio nella sua interezza, ovvero con
riferimento all’intera annualità nel corso della quale era stato commesso l’illecito.
A sostegno del proprio convincimento la corte distrettuale ha poi osservato che non
solo l’assunto del tribunale appariva contraddittorio, in quanto, versandosi in
fattispecie risarcitoria, il parametro al quale ancorare la determinazione del danno
non poteva essere ritenuto corretto ed, al contempo, non applicato (per di più in
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ragione dell’errato richiamo ad una norma — l’art. 8, 4Qcomma, del d. lgs. n. 507193 dettata in tema di imposta sulla pubblicità e non di quantificazione del canone
concessorio), ma che, inoltre, escludere la determinazione del danno su base annua
avrebbe dato luogo ad un’ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che
avevano collocato gli impianti abusivamente e coloro che, ottenuta l’autorizzazione
all’installazione degli impianti, avevano corrisposto il canone concessorio così come

determinato nella citata delibera comunale n. 1016/94.
Il giudice a quo, nel sottolineare ripetutamente come suo compito fosse di stabilire i
criteri cui commisurare il danno e nel puntualizzare che la sentenza di primo grado
andava riformata sia perché in sé contraddittoria, sia per evitare l’esito paradossale
di preservare dal pagamento annuale proprio chi aveva commesso l’abuso, ha
dunque chiaramente, seppur implicitamente, applicato l’art. 1226 c.c. e non già fatto
ricorso ad un’interpretazione estensiva od analogica di fonti normative non dettate in
materia risarcitoria.
Le censure illustrate da MGA risultano pertanto prive di attinenza al decisum: quelle
illustrate ai sensi del n. 3 dell’art. 360 1 comma c.p.c. muovono infatti dall’errato
presupposto che la corte del merito abbia ritenuto applicabili, ai fini della liquidazione
del danno, le disposizioni dettate in tema di determinazione del canone concessorio,
laddove la corte si è limitata a rilevare che la pretesa del Comune ben poteva essere
quantificata, in via equitativa, in base ai medesimi criteri stabiliti per il calcolo del
canone; quelle illustrate sotto il profilo del vizio di motivazione non muovono, invece,
alcuna critica al ragionamento logico che ha condotto il giudice a quo ad affermare
la correttezza in foto del parametro di liquidazione dell’importo risarcitorio già
individuato dal primo giudice.
3) Con il sesto motivo la ricorrente, denunciando vizio di omessa pronuncia nonché
difetto e contraddittorietà della motivazione, lamenta che la corte capitolina abbia
violato il giudicato formatosi in ordine al capo della sentenza di primo grado che
aveva affermato l’illegittimità della pretesa del Comune anche nella parte in cui
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aveva determinato unilateralmente la disciplina degli interessi di mora, in contrasto
con quella legale.
4) Con il settimo motivo MGA deduce, infine, che il giudice d’appello avrebbe
omesso di pronunciare sull’illegittimità degli accertamenti in base ai quali le erano
stati comunicati gli inviti al pagamento e non avrebbe tenuto conto che tutti i relativi

atti.
4) Anche questi motivi vanno dichiarati inammissibili.
L’uno, infatti, si fonda su documenti (gli inviti al pagamento, la sentenza di primo
grado) che non sono stati allegati al ricorso e di cui non risulta indicata l’esatta
collocazione processuale all’interno dei fascicoli di parte o di quello d’ufficio: risulta
dunque precluso a questa Corte, cui non è consentito l’accesso diretto agli atti di
causa, di verificare se le somme richieste dal Comune fossero effettivamente


e

comprensive di interessi moratori calcolati in misura superiore al tasso legale e se la
sentenza di primo grado avesse espressamente rilevato l’illegittimità degli inviti al
pagamento anche sotto tale specifico profilo.
L’altro attiene invece ad una questione, comportante accertamenti in fatto, che non
risulta aver formato oggetto d’indagine nei precedenti gradi di merito e che non
poteva pertanto essere dedotta per la prima volta nella presente sede di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente
al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali, che liquida in E 5.200, di cui E 200 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Roma, 6 maggio 2015

verbali erano stati annullati per omessa notifica o per carenza di sottoscrizione degli

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