Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15135 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2020, (ud. 04/10/2019, dep. 16/07/2020), n.15135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14079-2018 proposto da:

EON PRODUZIONE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA XX SETTEMBRE, presso lo studio

dell’avvocato EUGENIO DELLA VALLE, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 387/2017 della COMM. TRIB. REG. dell’UMBRIA,

depositata il 02/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STEFANO VISONA’ che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato DELLA VALLE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALASCIANO che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 559/2015 La Commissione Tributaria Provinciale di Perugia rigettò il ricorso proposto da E.ON Produzione Spa contro il diniego di rimborso da parte delle Agenzia delle Dogane dell’accisa versata sui prodotti energetici (in particolare, carbone destinato alla produzione di energia elettrica nelle due Centrali di (OMISSIS) e di (OMISSIS)), per gli anni 2011 e 2012, per l’importo di Euro 7.251.417,43.

La impugnazione era stata motivata sotto il profilo della incompatibilità della disposizione interna relativa al suddetto tributo (D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 21, comma 9), con la Dir. n. 2003/96 CE, art. 14, par. 1, lett. a), la quale prevede la esenzione, salva la ricorrenza di “motivi di politica ambientale”, ritenuti dalla ricorrente non rintracciabili nella disposizione interna, così da giustificare una deroga al principio generale e la doppia imposizione sia delle fonti di energia utilizzate per la produzione della elettricità che il prodotto finale, nonchè la violazione del principio Euro – unitario di proporzionalità, in assenza oltretutto di una specifica autorizzazione del legislatore delegante in merito alla possibilità di derogare al regime generale della esenzione; ma la CTP ritenne che la delega legislativa contemplasse pure la deroga e che la disposizione interna, dettata, al fine di sottoporre ad imposta, nell’ambito della produzione di energia elettrica, sostanze, quali il carbone, principale fonte di emissione di CO2, atte a causare pregiudizio per l’ambiente e la salute, fosse compatibile con la Direttiva Comunitaria e con il principio di proporzionalità alla stregua dell’obiettivo perseguito.

La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, investita dall’appello della contribuente che ripropose i motivi iniziali, sostenendo altresì che la normativa nazionale non sarebbe idonea a disincentivare i prodotti con il più altro contenuto di carbonio, anche perchè nella fissazione delle aliquote erano previste pure logiche non ambientali che qualificavano la natura tributaria della accisa e chiedendo, ove necessario, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione Europea ai sensi del Trattato UE, art. 267, con sentenza n. 387/3/2017, depositata in data 2.11.2017, rigettò l’appello, escludendo il contrasto fra la norma interna e la direttiva UE nonchè la violazione del principio di proporzionalità e ritenendo che non sussistessero i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, anche perchè il Nono Considerando della Direttiva aveva lasciati liberi gli stati membri di modulare la tassazione secondo le rispettive esigenze, senza entrare nel merito delle politiche ambientali e fiscali nazionali, mentre la normativa italiana, in base ad una interpretazione logico – sistematica, presentava comunque anche una finalità di tutela ambientale, disincentivando la combustione del carbone e favorendo l’uso del gas naturale non soggetto a tassazione.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso la Spa E.ON Produzione con atto notificato il 28 aprile 2018, affidato a due motivi e successiva memoria.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Dogane.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la contribuente lamenta violazione e falsa applicazione della Dir. n. 2003/96 UE, art. 14, paragrafo 1, lett. a), e dei principi Euro – unitari di interpretazione restrittiva e proporzionalità, nonchè contrasto della normativa relativa alle accise sul carbone di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, con la predetta disposizione Euro – unitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62.

2. In sintesi la ricorrente sostiene che i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto che, in base alla Direttiva Europea, fosse possibile prevedere eccezionalmente la tassazione del prodotto energetico di cui si tratta (carbone) rispettando soltanto i presunti limiti minimi di tassazione fissati dalla normativa Europea, benchè il legislatore Europeo avesse inteso, in via del tutto eccezionale, derogare al divieto di doppia imposizione, consentendo la tassazione sui consumi anche dei prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica solo in presenza di uno specifico motivo ambientale, il che doveva essere interpretato restrittivamente ed in base al principio di proporzionalità, per cui la deroga non poteva essere consentita attraverso un generico richiamo al motivo di politica ambientale ed al rispetto del limite minimo di tassazione fissato a livello Europeo, dovendo invece lo stato membro motivare adeguatamente la sua scelta per uno scopo non puramente di bilancio e dimostrare che la doppia tassazione conduceva ad un beneficio ambientale concreto più elevato di quello che avrebbe ottenuto senza la tassazione dei prodotti energetici, pena la violazione del principio Euro – unitario di proporzionalità.

3. La Agenzia delle Dogane oppone con il controricorso che la finalità di politica ambientale era chiaramente esplicitata nella normativa interna attraverso la espressione “per motivi ambientali” contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 21, comma 9, e nel TUA, punto 11, della Tabella A allegata, che ammette la tassazione per motivi ambientali dei prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica, nonchè nei lavori preparatori al D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, di recepimento della Dir. n. 2003/96, (con cui la delega rimetteva al Governo di adottare i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle Direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B… rimettendo ad esso le scelte già facoltizzate dalla seconda parte della Dir. n. 2003/96/CE, art. 14, par. 1, lett a)), laddove si diceva che “le aliquote fissate dal D.P.C.M. 15 gennaio 1999, emanato in applicazione della L. n. 448 del 1998, art. 8, comma 5, dovevano ritenersi coerenti sia con l’esigenza di armonizzare il sistema delle accise gravanti sui combustibili fossili con quanto previsto in materia dall’Unione Europea, sia con il principio di applicare una tassazione in funzione delle emissioni di anidride carbonica dei diversi combustibili e del loro contenuto di carbonio. Ciò in modo da disincentivare l’uso dei combustibili ad alto contenuto di carbonio e favorire quelli a basso contenuto. Le aliquote stabilite dal citato D.P.C.M…..sono pertanto da ritenersi rappresentative dell’impatto dei singoli prodotti sull’ambiente” ed in altri atti parlamentari che impegnavano il Governo ad attuare una politica fiscale improntata a principi di fiscalità ecologica poichè la fiscalità costituiva lo strumento per la attuazione di una politica ambientale efficace, posto che le emissioni di CO2 risultavano, da fonte EUROSTAT, quadruplicate nei trenta anni precedenti, con la prospettiva di un ulteriore raddoppio nei prossimi anni. Inoltre il Nono Considerando della Dir. n. 2003/96, aveva il preciso scopo di lasciare liberi gli stati membri di operare le scelte derivanti dall’applicazione della Direttiva adeguandole alle esigenze poste dai diversi contesti nazionali, senza entrare nel merito delle singole politiche fiscali ed ambientali, non potendosi poi condividere neppure la tesi della contribuente per cui la imposizione sarebbe stata preordinata per l’aumento del gettito fiscale, così come era avvenuto per la addizionale all’energia elettrica finalizzata esclusivamente a reperire entrate per finanziare le spese dell’ente locale, giustamente stigmatizzata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, citata dalla ricorrente, che però non aveva alcun rilievo nel caso in esame.

4. Il motivo è infondato.

4.1. La Dir. del Consiglio, 27 ottobre 2003, n. 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (Testo rilevante ai fini del SEE) prevede all’14: ” 1. In aggiunta alle disposizioni generali di cui alla Dir. n. 92/12/CEE, relative alle esenzioni di cui godono i prodotti tassabili quando sono destinati a determinati usi, e fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esentano dalla tassazione i prodotti elencati in appresso, alle condizioni da essi stabilite al fine di garantire un’agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse e di evitare frodi, evasioni o abusi: a) i prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per produrre elettricità e l’elettricità utilizzata per mantenere la capacità di produrre l’elettricità stessa. Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di tassare questi prodotti per motivi di politica ambientale, prescindendo dai livelli minimi di tassazione stabiliti nella presente direttiva. In tal caso l’imposta su detti prodotti non rientra nel calcolo del livello minimo di tassazione sull’elettricità stabilito all’art. 10; b)….; c)… 2. Gli Stati membri possono limitare l’ambito delle esenzioni di cui al paragrafo 1, lettere b) e c), ai trasporti internazionali ed intracomunitari. Inoltre, uno Stato membro può derogare alle esenzioni di cui al paragrafo 1, lettere b) e c), nel caso in cui abbia stipulato un accordo bilaterale con un altro Stato membro. In tali casi gli Stati membri possono applicare un livello di tassazione inferiore al livello minimo stabilito nella presente direttiva”.

4.2. In esecuzione di tale direttiva il legislatore nazionale ha previsto con il Testo Unico Accise, art. 21, comma 9, che “I prodotti energetici di cui al comma 1 (fra cui rientra pacificamente il carbone che viene in considerazione nel caso in esame), qualora siano utilizzati per la produzione di energia elettrica, sono sottoposti ad accisa per motivi di politica ambientale, con l’applicazione delle aliquote stabilite dalla Tabella A”.

4.3. La ricorrente, dopo avere versato l’accisa dovuta per le annualità 2011 e 2012, successivamente ne ha chiesto il rimborso sostenendo, in primo luogo, che la finalità ambientale della norma interna non sarebbe motivata, non essendo sufficiente una mera indicazione legislativa della asserita finalità, occorrendo invece una motivazione specifica della scelta nazionale, pur consentita dalla Direttiva Europa, ed addirittura, alla stregua dei criteri di proporzionalità e di ristrettezza, la dimostrazione della efficacia del beneficio ambientale cioè la prova di un beneficio ambientale più elevato di quello che si sarebbe ottenuto in assenza di quella normativa in deroga.

4.4. In proposito si rileva in primo luogo che la finalità di politica ambientale della tassazione del carbone che qui interessa è esplicitata dalla legge interna in perfetta sintonia e concordanza anche di espressione lessicale con quella usata dalla Direttiva, mentre la necessità che la legge interna contenga, nel dettato normativo, una motivazione specifica di tale finalità ed addirittura la prova che la finalità sarebbe stata raggiunta appare al di fuori di qualsiasi logica. Tanto più che la finalità è esplicitata dalla Direttiva e dai documenti di accompagnamento della stessa, mentre la legge interna, esecutiva della delibera, ben poteva limitarsi ad affermare la finalità perseguita dal legislatore interno in relazione alla previsione ed alla specifica finalità comunitaria espressa in numerosi documenti attraverso i quali l’Unione Europea si è fatta portavoce in sede mondiale della necessità di adottare politiche ambientali dirette a ridurre l’effetto serra. Non si poteva poi certamente dimostrare in sede di approvazione della legge interna che era stata raggiunta una finalità ambientale che si auspicava ma la cui realizzazione concreta era ancora da venire.

4.5. La finalità della norma interna di cui si tratta è peraltro esplicitata più diffusamente in vari atti parlamentari di accompagnamento al DDL relativo alla carbon tax (Atto Camera 5267) in cui si afferma che l’intento del legislatore è stato quello di tassare i consumi del carbone “tal quali” senza alcuna mediazione, per una precisa finalità ambientale perseguita attraverso un’accisa non armonizzata per la cui istituzione è stata data facoltà agli stati membri dell’Unione Europea e che la istituzione dell’imposta con motivazione ambientale è in linea con il principio “chi inquina paga” che rimane pienamente valido per compensare il danno ambientale imposto alla collettività.

4.6. Anche durante l’iter parlamentare di esame della L. n. 448 del 1998, in caso analogo, è stata ribadita la finalità di perseguire l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivanti dall’impiego di oli minerali che, nell’allegato A del Protocollo di Kyoto, sono considerate fonti di emissione di gas serra, con destinazione delle entrate, fra l’altro, a finanziare le spese di investimento per la riduzione delle emissioni e l’aumento dell’efficienza e per misure compensative di settore con incentivi per la riduzione delle emissioni inquinanti (art. 8), senza comunque aumento della pressione fiscale complessiva, a dimostrazione del fatto che la finalità era esclusivamente ambientale e che il gettito era preordinato a quella finalità.

4.7. I criteri di stretta interpretazione e di proporzionalità sono rispettati dalla legge di cui si tratta, considerato anche che è la direttiva comunitaria a prevedere ex se che le misure in deroga rientranti nella facoltà degli stati membri erano proporzionali alle finalità che la direttiva intendeva perseguire. In ogni caso la interpretazione che la ricorrente vorrebbe dare in concreto al principio di proporzionalità non trova alcuna riscontro nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e di questa Corte che sono nel senso che i mezzi predisposti devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti dalla normativa e non eccedere quanto è necessario per perseguirli, così come avvenuto nel caso in esame in cui la norma interna è nata dopo un percorso ricco di approfondimenti e studi specifici orientati alle problematiche ambientali e per finalità puramente ambientali, non potendosi invece pretendere la dimostrazione, ovviamente ex post, non essendo possibile ex ante, che la misura adottata fosse la migliore in assoluto per ottenere il massimo beneficio ambientale; così come risultante dalle elaborazione del principio da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v., per tutte, sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04) e da parte anche di questa Corte (Sez. 5 -, Sentenza n. 16204 del 20/06/2018 Rv. 649230 – 02). E non è ipotizzabile neppure un eccesso di delega da parte del legislatore delegato, come sostenuto dalla ricorrente, per non avere il legislatore delegante imposto paletti al delegato, poichè, al contrario, la delega era precisa e rimetteva al Governo le scelte facoltizzate dalla seconda parte della Dir. n. 2003/96/CE, art. 14, par. 1, lett. a, per cui la delega era ben delimitata pure dalle linee guida fissate dalla Direttiva comunitaria anche con riguardo alla applicazione della deroga facoltizzata dalla Direttiva.

4.8. Sotto un secondo profilo la ricorrente sostiene che la norma, per essere conforme alla direttiva, non dovrebbe essere “fiscale” bensì esclusivamente ambientale, ma anche tale assunto non trova alcun riscontro nella Direttiva la quale prevede la utilizzazione dello strumento fiscale e cioè di una disposizione che tassa il prodotto inquinante (nella specie in carbone, il cui carattere inquinante non è mai stato posto in discussione dalla ricorrente) onde disincentivarne l’uso, per cui la pretesa che la norma che dispone una tassazione sia una norma “non fiscale” non tiene conto della specifica scelta dello strumento fiscale da parte della Direttiva, negandone il contenuto pacifico e le finalità.

4.9. Sotto un ulteriore profilo, sia pure secondario, la ricorrente richiama, ancora, la lettera della Commissione Europea al regno Unito, nell’ambito della procedura di infrazione n. (OMISSIS), con cui si chiedeva che il Regno Unito giustificasse la tassazione britannica sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica, che sarebbe indicativa della necessità di una specifica motivazione e prova; si tratta peraltro, come già rilevato dalle sentenze di merito, di un documento irrilevante per il presente giudizio poichè non si tratta di un atto a contenuto normativo, proveniente dalla Commissione e quindi neppure da un organo giurisdizionale, con semplice valenza di interlocuzione in un caso che non pare avere alcun collegamento con quello in esame.

4.10. Si deve quindi concludere per la infondatezza del primo motivo di ricorso, in presenza di una previsione legislativa interna precisa e proporzionata, rispondente a motivi di politica ambientale, come risultante dal testo normativo e dagli atti parlamentari.

5. E’ infondato anche il secondo motivo con cui la società E.On deduce violazione del trattato sull’Unione Europea, art. 19, paragrafo 3, e del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europa, art. 267, in relazione agli artt. 360 c.p.c., n. 3, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, e si duole della decisione della CTR laddove ha escluso la necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, operando, ad avviso della ricorrente, non già una interpretazione della norma interna, bensì una interpretazione illegittima della normativa Europea con riguardo al concetto di “motivo di politica ambientale” di cui alla Dir., art. 14, che era di esclusiva competenza della Corte di Giustizia.

5.1. In proposito la ricorrente sostiene che, in base al principio di leale collaborazione, è necessario chiedere che sia la Corte di Giustizia a pronunciarsi sulla questione di pregiudizialità, non potendosi consentire agli stati membri di esercitare le facoltà concesse dalla Dir. n. 96 del 2003, considerato anche che il Nono Considerando deve essere letto nel senso di una discrezionalità limitata alla attuazione di politiche adeguate al contesto nazionale, nel rispetto delle scelte adottate dal legislatore dell’unione a livello Europeo, non prevedendo la normativa Europea la possibile coesistenza di una finalità fiscale accanto a quella ambientale.

5.2. Come correttamente rilevato dalla Agenzia delle Dogane resistente, in aderenza alla corretta motivazione della sentenza di appello impugnata, la ricorrente non chiede però una interpretazione della Direttiva comunitaria, la cui formulazione è assai chiara ed indiscutibile, anche alla luce del Nono Considerando già citato, bensì, come si desume chiaramente dal testo della questione da rimettere alla Corte di Giustizia, formulato a pagina 48 del ricorso, contesta la norma interna in quanto sarebbe generica, “non avrebbe dimostrato che la tassazione consenta di raggiungere la finalità ambientale perseguita” e “non avrebbe dimostrato di avere valutato la proporzionalità della tassazione”.

5.3. Orbene, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorchè l’interpretazione sia autoevidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale a meno che non involga un’interpretazione generale ed astratta (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15041 del 16/06/2017 Rv. 644553 – 04). E’ stato infatti più volte ribadito che il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi del Trattato C.E., art. 234, presuppone che la questione interpretativa riguardi norme comunitarie, che la stessa sia rilevante ai fini della decisione e che sussistano effettivi dubbi sulla interpretazione, essendo il rinvio inutile (o non obbligato) quando l’interpretazione della norma sia evidente, cosicchè il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità Europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria rilevante ai fini della decisione sollevata da una delle parti, quando la corretta applicazione della stessa norma si impone con evidenza tale da non lasciar spazio a ragionevoli dubbi (Cass. 25/11/2003, n. 17953; Cass.14/09/1999, n. 9813; cfr. Corte Giustizia CE 6 ottobre 1982, C – 283/81, Cilfit).

5.4. Tale ultima situazione ricorre, appunto, nel caso in esame in cui le critiche della ricorrente si incentrano esclusivamente sulla norma nazionale per difetto di dettagliatezza e di capacità dimostrativa delle pretesa finalità ambientale perseguita; tanto più che, così come già rilevato, anche tali critiche sono infondate alla luce di quanto già esposto con riguardo al primo motivo di ricorso, essendo la norma nazionale fra l’altro rispondente anche ai principi comunitari di ristrettezza e di proporzionalità e meramente esecutiva di una Direttiva, che, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, per la sua chiarezza e precisione, era immediatamente applicabile nel diritto interno, con riguardo alla specifica Disp. di cui all’art. 14. n. 1, lett. a), che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, poichè ha natura “self executing” e può, quindi, essere direttamente applicata una volta che sia inutilmente scaduto il termine prescritto per il recepimento (31 dicembre 2003), senza che possa, in contrario, valere l’espressa previsione del potere degli Stati membri di stabilire “condizioni… al fine di garantire un’agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse e di evitare frodi, evasioni o abusi” e della “facoltà” degli stessi Stati di “tassare questi prodotti per motivi di politica ambientale, prescindendo dai livelli minimi di tassazione stabiliti nella presente direttiva”, se tale facoltà non sia stata esercitata (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3553 del 13/02/2009 Rv. 606709 -01).

5.5. Neppure i pretesi dubbi interpretativi della Direttiva, esposti dalla ricorrente con riferimento ad una pretesa discrezionalità “limitata”, concessa agli stati membri, che secondo la ricorrente dovrebbero essere specifici del singolo paese, colgono nel segno, essendo improponibile, anche alla luce del Nono Considerando, che la discrezionalità nazionale debba essere limitata alla politica del singolo paese, come se il potere inquinante di un certo prodotto potesse variare in relazione ai singoli stati, mentre è di tutta evidenza che la scelta della Direttiva è nel senso di riservare ai singoli paesi la attuazione di politiche adeguate al contesto nazionale, nel rispetto delle scelte adottate dal legislatore dell’unione a livello Europeo, secondo le esigenze interne, non volendo, dichiaratamente, la UE interferire sulle politiche nazionali “senza entrare nel merito delle singole politiche fiscali o ambientali”. Ed anche il richiamo, da parte della ricorrente, alla pretesa necessità, in base ad una corretta interpretazione della Direttiva Europea, che la finalità della norma interna debba essere esclusivamente ambientale e non anche fiscale è del tutto incongruente poichè la Direttiva prende atto della finalità di politica ambientale da raggiungere attraverso la norma fiscale ed il disincentivo collegato alla tassazione, per cui la pretesa di richiedere esclusivamente una finalità ambientale ad una norma che è fiscale e che, sia pure come strumento per raggiungere un diverso fine, è sempre una norma fiscale, appare privo di senso logico.

5.6. Quello che non è consentito è che, come nel caso delle addizionali locali, la finalità esclusiva sia quella di incrementare il gettito fiscale, dovendo avere la disposizione finalità ambientali da perseguire attraverso una norma fiscale che disincentiva le emissioni di CO2 (v., da ultimo, in caso analogo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 15198 del 04/06/2019 (Rv. 654134 – 01: In tema di accise sul consumo di energia elettrica, il caso delle addizionali provinciali che debbono rispondere ad una o più finalità specifiche previste dalla Dir. n. 2008/118/CE, art. 1, par. 2, come interpretata dalla Corte di giustizia UE, dovendosi evitare che le imposizioni indirette, aggiuntive rispetto alle accise armonizzate, ostacolino indebitamente gli scambi; pertanto, va disapplicata, per contrasto col diritto unionale, la disciplina interna di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, conv. in L. n. 20 del 1989, avente come finalità una mera esigenza di bilancio degli enti locali, con conseguente non debenza delle addizionali medesime), non invece che la norma fiscale abbia “anche” una funzione ed una finalità fiscale, il che appare ineludibile, costituendo essa, appunto, lo strumento, per raggiungere la finalità ambientale.

5.7. In tale ambito, anche l’inciso contenuto nella sentenza di questa Corte n. 3553 del 2009, più volte richiamato dalla ricorrente per sostenere la natura esclusivamente fiscale della norma interna di recepimento della Direttiva di cui si tratta, non giova alla tesi della ricorrente, poichè, laddove la suddetta sentenza di questa Corte ha evidenziato la insostenibilità della tesi della natura “ambientale” dell’accisa in questione “perchè: (1) la stessa non ha doti proteiformi, cioè intrinseca capacità di mutare l’originaria (certamente tributaria e non ambientale) natura; (2) la Dir. n. 2003/96/CE, art. 28, impone agli stati membri di comunicare alla Commissione “il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva”, quindi anche il testo delle eventuali “disposizioni” adottate (ovviamente in epoca successiva all’emanazione della direttiva stessa) per fini di “politica ambientale” in quanto anche queste (tenuto conto di quanto riportato nel richiamato “considerando” del provvedimento comunitario) possono incidere sul “settore disciplinato dalla… direttiva”, si è riferita ad una norma univocamente tributaria, preesistente alla normativa comunitaria, cui lo stato italiano pretendeva di attribuire natura ambientale senza avere dato nessuna comunicazione in ordine all’eventuale mantenimento della stessa od all’adozione di altra norma per fini di “politica ambientale”. Il caso si riferiva infatti al periodo precedente al recepimento da parte dell’Italia della Direttiva in considerazione, quando l’Italia non aveva ancora adottato la norma “ambientale” in esecuzione della direttiva, per cui tali considerazioni non possono valere per il periodo successivo, che qui interessa, quando la norma è stata adottata e l’Italia si è adeguata alla Direttiva.

5.8. Si ritiene quindi che la Direttiva CE sia chiara non solo nel suo contenuto ma anche nel punto in cui ha lasciato ampia facoltà agli stati membri di modulare la tassazione per finalità di politica ambientale e ciò anche in base alla sentenza della Corte di Giustizia del 5 marzo 2015, nella causa C-533/2013 citata a pagina 26 del ricorso, per cui, così come trascrive la ricorrente, una imposta, sia pure in relazione ad una diversa direttiva, persegue finalità ambientale soltanto qualora sia concepita con riguardo alla materia imponibile o all’aliquota in modo da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare prodotti nocivi per l’ambiente o da incoraggiare l’uso di altri prodotti non nocivi per l’ambiente; il che è, appunto, quanto avvenuto con riguardo alla tassazione del prodotto “carbone” e cioè della “materia imponibile” che qui interessa, che è una delle principali cause dell’effetto serra la cui riduzione costituisce una delle finalità più importanti che si è proposta l’Unione Europea per finalità ambientali.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Sussistono altresì i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2001, n. 115, art. 13, comma 1 quater, del (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, (della medesima L. n. 228, ex art. 18, in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata L. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 30.780, oltre spese prenotate a debito, dando atto della sussistenza dei presupposti processuali, di cui al D.P.R. n. 115 del 2001, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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