Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15134 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. II, 31/05/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 31/05/2021), n.15134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15419-2016 proposto da:

R.G., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO

RAVERA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FISIA ITALIMPIANTI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODOLFO BOZZO in

virtù di procura a margine del controricorso;

U.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA,

195, presso lo studio dell’avvocato MARA PARPAGLIONI, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento n. 1105/2015 della CORTE D’APPELLO di

GENOVA, depositata il 25/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Sentito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per

l’inammissibilità ovvero per il rigetto del ricorso;

Udito l’Avvocato Sergio Vacirca per la Fisia Italimpianti S.p.A..

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. R.G., deduceva che, pur avendo lavorato sino al 2000 alle dipendenze di Castalia S.p.A., poi divenuta FISIA Italimpianti S.p.A. e poi Fisia Ambiente S.p.A., quale responsabile del servizio di protezione e prevenzione ai sensi della L. n. 626 del 1994 (RSPP) e coordinatore e supporto specialistico in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro, evidenziava che la Regione Lombardia nel 1989 aveva affidato alla detta società la progettazione esecutiva denominata (OMISSIS), per la sistemazione idrogeologica del territorio e la bonifica di terreni oggetto di esondazioni.

Aggiungeva che il progetto definitivo era stato consegnato alla committente nel gennaio 1999 e che, resesi disponibili le somme per il finanziamento dell’opera, era stata sottoscritta una Convenzione quadro, con la quale alla società era affidata l’esecuzione dell’opera.

La convenzione prevedeva tuttavia l’obbligo dell’appaltatrice di consegnare il piano di sicurezza e di coordinamento ed il piano generale di sicurezza di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996.

A tal fine Fisia si era rivolta al R. per la redazione di tali piani, il quale aveva evidenziato che, pur essendo munito dei requisiti professionali prescritti per la redazione di tali atti, non poteva predisporli in quanto dipendente della società appaltatrice e che la redazione degli stessi esulava dalle proprie mansioni lavorative.

Sosteneva, quindi, che U.V., che era anche l’amministratore delegato della società, in proprio ed assumendo la qualità di responsabile dei lavori per conto della committente, lo aveva nominato coordinatore per la progettazione, notificando tale nomina poi alla ASL.

In adempimento di tale incarico il R. aggiungeva di avere redatto i documenti prescritti dalla normativa in materia di sicurezza e che la Regione Lombardia aveva accettato tale designazione, riportando il suo nominativo nel cartello di cantiere.

Evidenziava che, mentre era stato regolarmente versato il compenso per l’attività svolta all’ing. K., che era stato invece designato quale coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non aveva invece ricevuto alcun compenso che, determinato sulla base dell’apposita tariffa, ammontava ad Euro 98.935,00 ovvero alla diversa somma di Euro 67.527,29, avuto riguardo alla tariffa prevista dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Genova.

Ciò premesso conveniva in giudizio U.V. affinchè fosse condannato al pagamento delle suddette somme; in via subordinata chiedeva la condanna di Fisia al pagamento delle medesime somme ex art. 2041 c.c..

Il Tribunale di Genova, nella resistenza dei convenuti, con la sentenza n. 4331/2009, ha rigettato la domanda ed avverso tale sentenza il R. ha proposto appello, cui hanno resistito entrambi gli appellati.

La Corte d’Appello di Genova con la pronuncia n. 1105 del 25/9/2015 rigettava il gravame, condannando l’appellante al rimborso delle spese del grado.

La sentenza ricordava come nel marzo-aprile del 1999 il R. fosse dipendente della società appellata, svolgendo le mansioni di RSPP e di esperto della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro.

A tali mansioni andava ricondotta anche l’attività svolta a seguito della lettera del 3 marzo 1999 con la quale l’ U., quale amministratore delegato della società datrice di lavoro, lo nominava coordinatore per la progettazione, con il compito di redigere i piani di sicurezza ed il relativo fascicolo tecnico dell’opera, relativi all’appalto conferito dalla Regione Lombardia, denominato (OMISSIS).

Non poteva indurre a diverse conclusioni il richiamo nella missiva alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, atteso che l’ U. aveva speso la sua qualità di amministratore delegato, con il richiamo al contratto di appalto, ribadendo che la società avrebbe tenuto indenne il suo dipendente da eventuali responsabilità verso terzi, nelle quali fosse incorso nell’adempimento dell’incarico conferitogli.

Ma, anche laddove si dovesse ritenere che al contratto di appalto (la cui progettazione esecutiva era stata affidata alla Fisia in data 28/2/1997, e quindi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996, avvenuta in data 24/3/1997) si applichi la nuova disciplina, doveva reputarsi che la stessa in concreto non avesse avuto attuazione, posto che la committente Regione Lombardia, alla quale spettava la nomina del coordinatore per la progettazione, anche tramite un responsabile dei lavori dalla stessa committente designato, non aveva mai provveduto a tale adempimento.

Ne derivava che l’ U. in proprio non poteva procedere ad una valida nomina del detto coordinatore, essendo quindi priva di fondamento la tesi dell’appellante secondo cui il convenuto si sarebbe validamente sostituito alla Regione per dare concreta attuazione alla legge statale.

Una volta quindi esclusa l’applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, alcun compenso autonomo poteva essere riconosciuto al R. nei confronti dell’ U. in proprio, dovendosi per converso ritenere che l’attività professionale espletata rientrasse tra le attività svolte nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con la società (attività che verosimilmente, in ragione dell’avvenuta conciliazione, al momento delle dimissioni del R., non avrebbe potuto trovare alcun ulteriore riconoscimento economico).

La Corte, poi, rilevava che effettivamente l’attore aveva proposto in via subordinata domanda di arricchimento senza causa nei confronti della società, domanda che però non era stata esaminata dal Tribunale.

La stessa però si rivelava del pari infondata.

Infatti, si trattava di domanda che era sovrapponibile a quella avanzata a titolo contrattuale nei confronti dell’ U., e che si sostanziava in una richiesta di adempimento, omettendo però qualsiasi allegazione specificamente incentrata sull’asserito impoverimento in conseguenza del quale la società avrebbe dovuto indennizzarlo.

Ma la domanda si palesava comunque infondata, in quanto non era dato comprendere come la Fisia si fosse arricchita, trattenendo un compenso, asseritamente destinato, secondo la tesi dell’appellante, a quest’ultimo, per un incarico che però non la società, ma la Regione o un soggetto da quest’ultima designato, gli avrebbe dovuto conferire.

2. Avverso tale sentenza R.G. propone ricorso per cassazione affidato ad otto motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Il ricorrente e la Fisia Italimpianti S.p.A. hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 2, 4, 5,9,12 e 21, del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2,4,8,9,10,78 e 79 e degli artt. 2103 e 2104 c.c..

Deduce parte ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe violato le norme indicate in rubrica affermando che il R. avrebbe svolto l’attività per la quale viene richiesto il compenso nella qualità di dipendente della Fisia.

In tal modo sarebbe stata trascurata la netta distinzione che la normativa pone tra la figura del RSPP ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994 rispetto a quella del coordinatore per la progettazione di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996.

Il primo ha un ruolo di mera consulenza del datore di lavoro, senza assumere alcuna autonoma posizione di garanzia e senza assumere una personale responsabilità penale o civile per gli eventuali danni conseguenti ad infortunio sul lavoro. Il secondo invece detta direttamente regole e prescrizioni antiinfortunistiche cogenti che i datori di lavoro sono obbligati ad adottare.

Per l’effetto, assume in prima persona ed in via esclusiva ogni rischio e responsabilità connessi sia penalmente che civilmente.

Ne deriva che la sentenza gravata, pur a fronte dell’espletamento da parte del ricorrente di attività connesse al ruolo di coordinatore per la progettazione, ha erroneamente reputato che le stesse rientrassero tra quelle svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, permettendo in tal modo di eludere la netta distinzione che a livello normativo è delineata tra i due diversi ruoli.

Il motivo è infondato.

Per quanto rileva ai fini della decisione, il D.Lgs. n. 494 del 1996, poi abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008 (le cui previsioni in parte qua ricalcano in massima parte quelle invocate da parte ricorrente), all’art. 2 offre le seguenti definizioni:

“1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intendono per:

a) cantiere temporaneo o mobile, in appresso denominato “cantiere”: qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato all’allegato I;

b) committente: il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto;

c) responsabile dei lavori: soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione o della esecuzione o del controllo dell’esecuzione dell’opera. Nel caso di appalto di opera pubblica, il responsabile dei lavori è il responsabile unico del procedimento ai sensi del L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 7, e successive modifiche;

d) lavoratore autonomo: persona fisica la cui attività professionale concorre alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione;

e) coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell’opera, di seguito denominato coordinatore per la progettazione: soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 4;

f) coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera, di seguito denominato coordinatore per l’esecuzione dei lavori: soggetto, diverso dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice, incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 5;

f-bis) uomini-giorno: entità presunta del cantiere rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione dell’opera;

f-ter) piano operativo di sicurezza: il documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4 e successive modifiche.” Il successivo art. 4 dispone, poi, che laddove sia stato nominato il coordinatore per la progettazione, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 3:

“1. Durante la progettazione dell’opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:

a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12, comma 1;

b) predispone un fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato II al documento UE 26/05/93. Il fascicolo non è predisposto nel caso di lavori di manutenzione ordinaria di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, lett. a).”

Ancora, mentre il successivo art. 10 prevede i requisiti professionali che debba possedere colui che sia nominato quale coordinatore per la progettazione, l’art. 12 specifica il contenuto che deve avere il piano di sicurezza e coordinamento da trasmettere a cura della committente o del responsabile dei lavori a mente dell’art. 13, aggiungendo poi che la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 4, comma 1, espone il coordinatore per la progettazione alla contravvenzione di cui all’art. 21.

Una volta richiamate per estrema sintesi le previsioni normative che delineano la figura e la disciplina dell’attività del coordinatore per la progettazione, l’assunto del ricorrente secondo cui, pur avendo svolto tali mansioni, la sentenza gravata lo avrebbe considerato alla stregua di un RSPP, e cioè di un mero consulente interno della società appaltatrice, riconducendo quindi la sua attività a quella svolta nell’esercizio delle mansioni proprie di un lavoratore subordinato, non si confronta con l’effettiva ratio della sentenza stessa.

I giudici di appello, oltre a rilevare la dubbia applicabilità ratione temporis all’opera pubblica oggetto di causa delle previsioni dettate dal D.Lgs. n. 494 del 1996 (e ciò avuto riguardo a quanto dettato dall’art. 25, che differiva a sei mesi dalla data di pubblicazione sulla G.U. la sua entrata in vigore), atteso che la progettazione esecutiva era stata oggetto di affidamento alla società con atto del 28 febbraio 1997, hanno altresì rilevato che in concreto impediva l’invocabilità delle dette previsioni la circostanza assorbente secondo cui nè la committente nè un responsabile dei lavori dalla stessa nominato (e ciò in quanto non vi era alcuna prova che tale designazione fosse avvenuta da parte della Regione Lombardia) avessero provveduto alla nomina del coordinatore nella persona del R., così che, in assenza di una designazione del ricorrente da parte degli unici soggetti a tanto abilitati, era da escludersi la possibilità di invocare la disciplina che il legislatore detta per il solo coordinatore legittimamente designato ai sensi dell’art. 3, comma 3.

Deve quindi escludersi che ricorra la denunciata violazione di legge, atteso che la sentenza gravata, pur avendo presente la normativa di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, ed il ruolo che nella medesima è specificamente assegnato al coordinatore per la progettazione, ha tuttavia escluso che la medesima fosse invocabile per il R., in quanto ne mancava il presupposto applicativo, costituito dall’avvenuta designazione ad opera della committente ovvero del responsabile dei lavori (cfr. in tal senso Cass. pen. 1490/2010 a mente della quale, poichè con la nomina del responsabile dei lavori si attribuisce a tale soggetto un ruolo di alta vigilanza sulla sicurezza, è da escludere che la relativa nomina possa cadere sul datore di lavoro dell’impresa esecutrice dei lavori, giacchè, diversamente opinando, si perverrebbe all’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato per ciò che riguarda la sicurezza del cantiere).

La sentenza impugnata ha, appunto, valorizzato la circostanza che, nella lettera di incarico invocata dal R., l’ U. avesse speso la qualità di amministratore delegato della società, traendo da tale considerazione, e con valutazione in fatto (in quanto inerente all’interpretazione della volontà delle parti, rimessa appunto al giudice di merito), la conclusione per cui l’ U. non aveva agito in proprio, ed ancor meno nella veste di responsabile dei lavori (sulla quale si avrà modo di tornare in occasione della disamina dei successivi motivi), ma quale rappresentante della società.

L’impossibilità di attribuire al R. la qualità di coordinatore per la progettazione (ancorchè poi in concreto questi possa avere espletato alcune delle attività che la legge a questi riserva), discende non già da un’indebita confusione tra la detta qualifica e quella di RSPP, ma dal riscontro della carenza a monte del requisito formale, rappresentato dalla designazione del committente o del responsabile dei lavori dalla stessa individuato (ed in maniera formale), essendosi quindi ritenuto che l’attività svolta trovasse l’unica giustificazione nel rapporto di lavoro che lo avvinceva con la Fisia, avendo l’ U. speso la qualità di legale rappresentante della medesima nella lettera di incarico.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quanto all’affermazione del giudice di appello secondo cui alla fattispecie non si applicherebbe ratione temporis la disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996.

La sentenza avrebbe però omesso di considerare il fatto decisivo rappresentato dalla volontà della Regione Lombardia, nonostante l’affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva prima dell’entrata in vigore della novella legislativa, di dare piena a puntuale applicazione alla normativa sopravvenuta.

Si richiama a tal fine il contenuto della Delib. della Regione 12 febbraio 1999, n. 41401 e l’atto integrativo intervenuto sempre tra la Regione e Fisia in cui, in particolare, alla lett. d) la società si impegnava a consegnare alla committente entro 30 giorni dalla stipula della convenzione, il piano di sicurezza e di coordinamento ed il piano generale di sicurezza di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, con la previsione che i relativi oneri sarebbero stati a carico della Fisia.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 73 e 76 Cost. e del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 1,2 e 25, sempre in relazione alla mancata applicazione della normativa sopravvenuta al rapporto oggetto di causa, posto che, avuto riguardo alla data di entrata in vigore della stessa, solo nel gennaio 1999 era stata ultimata la progettazione dell’opera, con approvazione da parte della Regione nel febbraio dello stesso anno e con la successiva stipula dell’atto integrativo richiamato nel motivo che precede. Ne deriva che a tale data la disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996 era pienamente operante, sicchè risulta erronea l’affermazione del giudice di appello per la quale la fattispecie era assoggettata alla normativa previgente.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Va in primo luogo evidenziato che, come già sottolineato in occasione della disamina del primo motivo, la ragione fondamentale per la quale la sentenza gravata ha escluso il diritto al compenso vantato dal R. nei confronti dell’ U. è l’assenza del requisito, reputato imprescindibile, secondo una corretta esegesi della normativa di riferimento, della nomina da parte dell’ente committente ovvero di un responsabile dei lavori dallo stesso designato (e come si dirà oltre, in maniera formale).

Il riferimento alla dedotta inapplicabilità della disciplina sopravvenuta, avuto riguardo alla data di affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva alla società, risulta quindi rafforzativo del convincimento, come detto fondato essenzialmente sul rilievo dell’inapplicabilità della novella a seguito della mancata nomina da parte del soggetto cui compete ai sensi dell’art. 3, e mira a supportare la scelta della mancata nomina anche in ragione delle incertezze che la committente aveva manifestato in merito all’effettiva applicazione della novella.

Di tale incertezza, che si è quindi ripercossa sulla mancata nomina del coordinatore per la progettazione da parte del soggetto a tanto legittimato, sono dimostrativi gli stessi documenti che a detta del ricorrente documenterebbero l’omessa disamina di un fatto decisivo.

Infatti, rilevato che il motivo in parte qua è ammissibile, non potendo trovare applicazione ratione temporis la novella di cui all’art. 348-ter c.p.c., che si applica ai soli casi in cui il giudizio di appello sia stato introdotto in data successiva al 12 settembre 2012 (laddove nel caso in esame l’appello era stato iscritto a ruolo già nel 2010), deve osservarsi che nel motivo viene riprodotta solo parte della delibera della Regione Lombardia n. 41401 del 12 febbraio 1999, essendo stata omessa la parte, di cui pur si riferisce l’esistenza in ricorso, laddove alla pag. 25 si richiama il contenuto della difesa in primo grado dell’ U. (e che è invece riportata dai controricorrenti), nella quale la Regione manifestava in premessa che da un punto di vista formale dovesse trovare applicazione la normativa in materia di sicurezza di cui alla previgente L. n. 55 del 1990 e non il successivo D.Lgs. n. 494 del 1996.

Una volta integrato il contenuto della delibera de qua con tale premessa, assume ben diverso significato il richiamo nella stessa fatto al parere del Servizio Giuridico Legislativo che, lungi dall’esprimere la volontà di dare piena a puntale applicazione, anche dal punto di vista formale, agli adempimenti posti dalla novella, manifesta piuttosto l’intento di assicurare il rispetto della nuova normativa dal punto di vista sostanziale, prevedendosi quindi la predisposizione a carico del soggetto esecutore delle opere (e non anche del nominando coordinatore per la progettazione) di un piano di sicurezza e coordinamento conforme a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 494 del 1996.

Emerge quindi che la finalità della Regione era quella di assicurare dal punto di vista sostanziale (e non anche formale) che l’attività di progettazione fosse rispondente ai più rigorosi requisiti dettati dalla novella, ma ponendo l’obbligo di redigere la documentazione necessaria a carico ed a spese della società affidataria dei lavori, come appunto confermato dall’art. 4, lett. d), dell’atto integrativo.

Nè appare contraddire tale conclusione la circostanza che si sia poi provveduto a designare formalmente l’ing. K. quale coordinatore per l’esecuzione dei lavori a mente del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, atteso che tale diversa figura spiega la sua attività nell’ambito della materiale esecuzione dei lavori, che effettivamente non era ancora iniziata alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996, a differenza del diverso ruolo che è chiamato ad assolvere il coordinatore di cui all’art. 4 nell’attività di progettazione, il cui incarico risultava già conferito prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996 (in tal senso, si veda sempre Cass. pen. 1490/2010 che sottolinea come le due figure professionali ineriscano a due diversi momenti dell’attività relativa all’opera da eseguire, e precisamente quella rivendicata dal R. alla fase progettuale, quella svolta dal K. alla fase esecutiva).

Ribadito quindi che la ragione principale del rigetto della domanda attorea nei confronti dell’ U. risiede nell’impossibilità di poter far valere la qualità di coordinatore per la progettazione, in assenza di una valida designazione (stante l’assenza dei relativi poteri in capo al convenuto), i fatti di cui si denuncia l’omessa disamina sono privi del carattere della decisività, posto che una loro corretta lettura depone proprio nel senso della volontà dell’ente committente di non dare piena e puntuale applicazione, soprattutto per quanto concerne gli adempimenti formali, alla normativa sopravvenuta, essendo suo intento unicamente quello di garantire che la stessa fosse rispettata dal punto di vista sostanziale, ma senza assunzione degli oneri economici che la novella avrebbe posto a carico del committente, con il quale si viene appunto ad instaurare il rapporto contrattuale con il coordinatore per la progettazione.

Nè rileva ai fini della decisione la correttezza o meno della soluzione in ordine alla effettiva vigenza anche per il contratto in esame delle norme di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, essendo prevalsa, ai fini del rigetto della domanda attorea, non già l’affermazione circa l’inapplicabilità della novella ratione temporis, ma il riscontro circa il fatto che la stessa non era stata in concreto applicata (e ciò verosimilmente alla luce delle considerazioni svolte nella richiamata delibera del 12/2/1999), essendo, come visto, mancata la formale designazione del R. da parte dei soggetti cui la legge attribuisce il relativo potere.

5. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 1,2,4,5 e 20, nella parte in cui il giudice di appello ha escluso che vi fosse stata una valida designazione del R. quale coordinatore per la progettazione per effetto della lettera di incarico sottoscritta dall’ U..

Dopo avere richiamato i vari adempimenti che il D.Lgs. n. 494 del 1996 prevede a carico del coordinatore per la progettazione, e dopo aver richiamato la definizione normativa di responsabile dei lavori, assume parte ricorrente, che, pur essendo mancata una formale designazione da parte della Regione, deve reputarsi che l’ U. avesse di fatto assunto tutti i compiti propri del responsabile dei lavori, e ciò soprattutto allorchè, a seguito delle obiezioni mosse dal R. all’iniziale richiesta di redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, essendosi opposta l’impossibilità per un dipendente della società appaltatrice di provvedere a tanto, aveva reiterato la richiesta, a questo punto agendo non più come legale rappresentante della società, ma in proprio e nella veste di responsabile dei lavori.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

In tal senso rilevano le suesposte considerazioni circa la possibilità di riscontrare, alla luce degli stessi documenti invocati da parte ricorrente, una volontà della committente di dare vita ad un’applicazione della disciplina sopravvenuta solo in chiave sostanziale, senza quindi provvedere anche alla formale designazione del coordinatore per la progettazione.

Nè rileva il diverso trattamento riservato alla figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, nella specie rivestita dall’ing. K., posto che, a differenza di quanto invece accaduto per il R., il nominativo del primo trova un formale riconoscimento nell’atto integrativo, dovendosi, come ricordato, avere riguardo anche alla circostanza che, mentre la progettazione era stata affidata sicuramente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996, l’esecuzione dei lavori sarebbe cominciata sicuramente in epoca successiva (giustificando quindi in tal modo una diversa scelta da parte della Regione).

A conforto di tale assunto si veda anche Cass. pen. 18472/2008, a mente della quale, mentre il coordinatore per la progettazione, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 5 dello stesso D.Lgs., ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC, che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni, precisando che trattasi di figure le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori. E’ stato quindi affermato che le giustificabili lacune del piano di sicurezza redatto dal coordinatore per la progettazione avrebbero dovuto essere colmate attraverso una concreta e puntuale azione di controllo, che competeva allo stesso imputato in qualità di coordinatore per esecuzione, e la cui omissione comportava la sua responsabilità in ordine al sinistro verificatosi.

Da ciò è possibile ricavare che, pur in assenza di una designazione del coordinatore per la progettazione, ma a seguito della scelta di munirsi dal punto di vista sostanziale di un piano di sicurezza e di coordinamento, poteva sorgere la necessità di addivenire alla nomina di un coordinatore per l’esecuzione, proprio al fine di colmare, durante la fase di esecuzione dei lavori, le lacune del piano predisposto nella fase progettuale ovvero di garantire una costante opera di adeguamento alla luce delle concrete modalità di esecuzione delle opere.

Occorre poi ricordare che, secondo la giurisprudenza penale di questa Corte (cfr. Cass. pen. 41993/2011), il responsabile unico, D.Lgs. n. 494 del 1996, ex art. 6, assume una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, nella quale ha l’obbligo di sorvegliarne la corretta attuazione, controllando anche l’adeguatezza e la specificità dei piani di sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata all’incolumità dei lavoratori, così che, proprio in ragione della peculiarità delle responsabilità, è stato condivisibilmente affermato che (Cass. pen. 1490/2010 cit.), ove il committente non possa o non voglia gestire in proprio il ruolo di responsabile per la sicurezza, per tale ruolo possa designare il responsabile dei lavori, quale soggetto incaricato ai fini della progettazione, dell’esecuzione o del controllo dell’esecuzione dell’opera. Tale incarico, lo si voglia o no tratteggiare come una forma di delega, per assumere rilevanza giuridica deve comunque presentare una chiara evidenza formale, di guisa che sia possibile inferire quale sia l’ambito del trasferimento di ruolo e di responsabilità, e deve altresì sostanziarsi anche nel conferimento effettivo dei poteri decisori, gestionali e di spesa occorrenti, essendo escluso che la relativa nomina possa cadere sul datore di lavoro dell’impresa esecutrice dei lavori, giacchè, diversamente opinando, si perverrebbe all’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato.

Orbene, a fronte dell’accertamento in fatto operato dal giudice di merito secondo cui l’incarico non risultava conferito dall’ U. al R. a titolo personale, ma nella qualità di legale rappresentante della società datrice di lavoro del ricorrente, senza che emergesse in alcun modo una formale designazione dello stesso quale responsabile dei lavori da parte della Regione, deve escludersi che ricorra la dedotta violazione di legge.

Il motivo in esame, in contrasto con quanto sopra evidenziato circa la necessità di una designazione formale, ritiene di poter ricavare la stessa da una pretesa autoqualificazione dell’ U. quale responsabile dei lavori, contenuta nella notifica preliminare di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 11, ovvero nella semplice circostanza che il nominativo del R. fosse stato inserito nel cartello di cantiere, senza però mai individuare l’atto formale di designazione effettivamente proveniente dalla Regione, ma assumendo che sarebbe stato lo stesso U. ad attribuirsi la qualifica di responsabile dei lavori, attesa la decisione della Regione di non occuparsi della sicurezza.

Il richiamo al disinteresse della Regione per le questioni concernenti la sicurezza nella fase della progettazione, oltre a trovare giustificazione nella scelta sopra riportata di dare un’applicazione sostanziale alla disciplina sopravvenuta, affidando però l’incarico di predisporre quanto necessario alla stessa società appaltatrice, denota in maniera evidente come sia carente il presupposto che la norma invocata impone per assegnare ad un determinato soggetto la qualità di responsabile dei lavori, e cioè una scelta formale da parte del committente, essendo insostenibile che la designazione possa essere superata dalla decisione dello stesso U. di adempiere in prima persona gli obblighi connessi alla qualità di responsabile (cfr. pag. 39 del ricorso).

6. Il quinto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

Dopo avere riassunto i fatti già esposti in occasione dei precedenti motivi di ricorso, si sostiene che la decisione impugnata sarebbe inficiata dall’omessa disamina dei seguenti fatti:

il ricorrente con una comunicazione interna aveva escluso di poter svolgere la funzione di coordinatore per la progettazione, nella qualità di lavoratore subordinato;

– aveva poi assolto all’incarico di coordinatore presso la propria abitazione, al di fuori dell’orario di lavoro e con mezzi personali;

– aveva apposto la propria personale sottoscrizione in calce alla premessa al piano di sicurezza ed al fascicolo tecnico dell’opera, corredando tale firma con il timbro di appartenenza al locale Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri, denotando quindi l’estraneità dell’opera rispetto ai compiti svolti quale dipendente della società;

– la qualità di coordinatore per la progettazione era stata confermata dalla notifica preliminare fatta dall’ U. e dal fatto che il suo nominativo era riportato nel cartello di cantiere;

l’incarico di coordinatore era stato poi oggetto di revoca solo a distanza di oltre due mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, a conforto dell’autonomia di tale incarico;

mancava una distinta revoca dell’incarico di RSPP, che era invece cessata automaticamente al momento delle dimissioni dal rapporto di lavoro;

la scheda informativa del personale del ricorrente non riportava la funzione di coordinatore per la progettazione, quanto all’indicazione delle mansioni lavorative espletate e non faceva nemmeno menzione dell’incarico di redazione del piano di sicurezza.

Il motivo deve essere disatteso, dovendo escludersi il carattere di decisività per i fatti di cui si lamenta l’omessa disamina.

Ed, invero, va ribadita la portata assorbente ai fini del rigetto della domanda attorea del rilievo, non adeguatamente contrastato con i motivi che precedono, del fatto che anche in ragione delle scelte effettuate dalla Regione nella Delib. n. 41401 del 12/2/1999 (rispetto alla quale si pone in termini di coerenza l’atto integrativo della Convenzione quadro), è mancata una formale designazione del R. quale coordinatore per la progettazione da parte dei soggetti (committente e responsabile dei lavori) cui la legge attribuisce in esclusiva il relativo potere.

Una volta escluso che, per l’assenza di tale atto di designazione, le attività svolte dal ricorrente possano trovare giustificazione nelle previsioni di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, la Corte d’Appello, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto quindi che le attività svolte, ancorchè in fatto coincidenti con alcuni dei compiti riservati al coordinatore per la progettazione, avessero la loro giustificazione nel preesistente rapporto di lavoro con la società, e che una pretesa ad un’autonoma remunerazione trovasse ormai impedimento nell’accordo raggiunto all’esito della conciliazione in sede sindacale a definizione dei contrasti nati a seguito delle dimissioni del ricorrente.

Risulta priva quindi di decisività la circostanza che in precedenza il R. avesse manifestato obiezioni alla designazione di un dipendente come coordinatore per la progettazione, una volta che si ritenga, come opinato dalla Corte d’Appello, che non sia intervenuta la nomina di tale figura, così come risulta del tutto conseguenziale che tale qualifica non fosse riportata nella sua scheda personale.

Priva di decisività è la circostanza che l’attività affidatagli sia stata espletata presso la propria abitazione ed al di fuori dell’orario di lavoro, potendo ciò avallare al più delle maggiori pretese retributive nei confronti del datore di lavoro, ma non anche il compenso per un’attività svolta in carenza della formale designazione.

Quanto poi al fatto che il piano di sicurezza ed il fascicolo tecnico siano stati personalmente sottoscritti dal R., ciò si spiega in quanto trattasi di atti che, ancorchè redatti da un lavoratore dipendente, richiedono comunque in capo al medesimo particolari competenze professionali, delle quali occorreva fornire contezza.

Infine, le suesposte considerazioni in merito all’impossibilità di attribuire all’ U., peraltro sulla base di una sorta di auto-designazione, il ruolo di responsabile, rende del tutto prive di decisività le circostanze relative all’indicazione del suo nominativo nella notifica preliminare o nel cartello di cantiere ovvero nella successiva revoca dell’incarico di coordinatore, sempre proveniente da parte del solo U., trattandosi di atti la cui valenza è inficiata a monte dal mancato intervento in fase di designazione da parte della Regione Lombardia.

7. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 2, 4, 10,12 e 21 e degli artt. 1228,2043,2049 e 2094 c.c., nella parte in cui è stata rigettata la domanda attorea nei confronti dell’ U., in assenza della prova di un autonomo rapporto professionale contestuale e parallelo rispetto a quello di lavoro intrattenuto con la Fisia.

Si richiama il dato assunto come fondamentale costituto dall’impossibilità per la società di ricoprire l’incarico di coordinatore per la progettazione, il che impedirebbe che lo stesso ruolo potesse essere svolto dal R. quale dipendente della società esecutrice dei lavori.

Il motivo deve essere disatteso, alla luce delle considerazioni sviluppate in occasione della disamina dei motivi che precedono.

Ancora una volta l’erroneo presupposto, smentito dall’accertamento in fatto operato dal giudice di appello e non adeguatamente confutato dai motivi sinora esposti, è che il ricorrente sia stato validamente investito della qualifica di coordinatore per la progettazione.

Assorbente, come visto, è la mancata designazione da parte della committente o del responsabile dei lavori (essendo esclusa che tale ultima qualifica possa essere attribuita all’ U. come persona fisica), e ciò tenuto conto anche del rilievo, confortato dalla documentazione invocata dallo stesso ricorrente, che la mancata designazione formale di un coordinatore per la progettazione rispondeva alla decisione della Regione Lombardia di dare attuazione alle prescrizioni della novella di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996 solo per il profilo sostanziale, al fine di assicurare che nella sostanza fossero adottate le norme precauzionali a tutela della sicurezza dei lavoratori, ancorchè senza attivare il meccanismo formale, di cui la nomina del coordinatore per la progettazione costituisce un tassello, ma preferendo avvalersi, anche ai fini degli oneri di spesa, dell’attività della società appaltatrice.

Una volta quindi negata in capo al R. la qualità di coordinatore per la progettazione, risulta incensurabile la conclusione alla quale è pervenuto il giudice di appello di ritenere che i compiti svolti, quanto alla predisposizione di un documento avente le carrieristiche del piano di sicurezza, poichè scaturenti da una lettera di incarico sottoscritta da chi era all’epoca il legale rappresentante della società e rivolta ad un dipendente, fossero stati espletati nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, escludendo quindi la configurabilità di un autonomo diritto al compenso da far valere nei confronti dell’ U. in proprio.

8. Il settimo motivo di ricorso denuncia l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto al rigetto della domanda subordinata di arricchimento senza causa, avanzata in primo grado, e la cui decisione era stata omessa dal Tribunale.

Il fatto storico del quale sarebbe stata omessa la disamina è il contenuto dell’atto integrativo, più volte ricordato che alla lett. f) dell’art. 4 pone le spese per la redazione del piano di sicurezza e coordinamento, da consegnare entro 30 giorni alla committente, a carico della Fisia.

L’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 17 comma 14-bis, e quater della L. n. 109 del 1994, sempre in relazione al rigetto della domanda di arricchimento senza causa.

Si evidenzia che nella fattispecie si esula dalle ipotesi nelle quali l’arricchimento senza causa è correlato alla pretesa di un indennizzo per lo svolgimento di attività professionale quale conseguenza di un contratto con la PA affetto da nullità, posto che la domanda subordinata di arricchimento è stata rivolta nei confronti di una società privata.

Si deduce che, nella lettura evolutiva della norma in tema di arricchimento senza causa, l’arricchimento può configurarsi anche nel caso in cui il profitto scaturisca dall’utilizzazione di risorse altrui o di utilità spettanti ad altri.

Nella fattispecie l’arricchimento si sarebbe profilato in ragione del fatto che tra il R. e la società non era intercorso alcun valido contratto e che la seconda aveva tratto vantaggio dall’attività espletata da parte del primo, che, a seguito della consegna del piano di sicurezza e del fascicolo tecnico dell’opera redatti dal ricorrente, ha assolto agli obblighi imposti dalla previsione di cui all’art. 4 dell’atto integrativo, in tal modo evitando di corrispondere a terzi il compenso che lo stesso art. 4 poneva a carico della società.

Quanto alla misura dell’indennizzo, avuto riguardo al contenuto della L. n. 109 del 1994, art. 171, comma 14-bis e quater, lo stesso deve essere commisurato al corrispettivo dovuto alla figura professionale abilitata all’opera svolta, determinato sulla base dei minimi inderogabili di legge.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

Assume portata assorbente il rilievo che, alla luce di quanto affermato dalla Corte d’Appello, senza che l’impianto argomentativo sia stato inficiato dai precedenti motivi di ricorso, una volta esclusa la ricorrenza di un rapporto personale tra il R. e l’ U., la giustificazione delle prestazioni rese da parte del primo risieda nel rapporto di lavoro che intratteneva con la società, il che determina ex ante la carenza del requisito di sussidiarietà che legittima l’esercizio dell’azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della società.

L’intervenuta definizione in via transattiva dei rapporti intercorrenti tra la società ed il ricorrente preclude quindi che possa essere avanzata domanda di arricchimento senza causa, a fronte di una volontà delle parti di giungere ad una regolamentazione pattizia delle vicende patrimoniali generate dal rapporto di lavoro ormai concluso.

La Corte d’Appello in effetti prospetta tale ragione a giustificazione del rigetto, nella parte in cui, pur asserendo che sarebbe stata omessa ogni allegazione in punto di impoverimento del ricorrente, ribadisce che nella sostanza era stata riprodotta, sebbene avvalendosi della previsione di cui all’art. 2041 c.c., la domanda di adempimento già vanamente proposta avverso l’ U..

Si aggiunge poi che la domanda è infondata perchè è correlata all’esecuzione di un incarico che in tesi avrebbe dovuto essere conferito dalla Regione o da un suo delegato, sul presupposto che la società avrebbe trattenuto un compenso però destinato allo stesso R. (e tale affermazione evidenzia come nella realtà la previsione di cui all’art. 4 dell’atto integrativo sia stata oggetto di valutazione da parte della Corte distrettuale).

La complessiva ricostruzione delle vicende oggetto di causa e l’impossibilità di attrarre le prestazioni rese dal R. nella previsione normativa in tema di coordinatore per la progettazione (stante la concreta mancata applicazione della relativa disciplina nel rapporto oggetto di causa), denota la sostanziale infondatezza della tesi difensiva del ricorrente anche in relazione alla diversa previsione di cui all’art. 2041 c.c..

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

10. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovute.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio che liquida per la Fisia Italmimpianti S.p.A. in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge, e per l’ U. in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

 

 

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