Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15134 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15134 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 25179-2008 proposto da:
PASCULLI DE ANGELIS SERGIO (C.F. PSCSRG38H23A893E),
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO
BUOZZI 51, presso l’avvocato CARDI MARCELLO,

Data pubblicazione: 02/07/2014

rappresentato e difeso dall’avvocato VERNOLA
MASSIMO, giusta procura speciale per Notaio dott.
2014
963

CATERINA MARDESIC di BITONTO (BARI) – Rep.n. 67413
del 7.3.2013;
MONGIELLO CALO’ GRAZIA (C.F. MNGGRZ53D51A823S),
CALO’ MICHELE ARCANGELO (C.F. CLAMHL76S26A662F),
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DELLA

1

LIBERTA’

20,

presso

l’avvocato

MANFREDONIA

PIERLUIGI, rappresentati e difesi dall’avvocato LA
VOLPE VITANTONIO, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrenti –

COMUNE DI BITONTO;
– intimato Nonché da:
COMUNE DI BITONTO (C.F. 00382650729), in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso ALFREDO PLACIDI,
rappresentato e difeso dagli avvocati DE MARCO
NICOL0′, PAPARELLA FRANCESCO, giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controrícorrente e ricorrente incidentale contro
CALO’ MONGIELLO GRAZIA (C F. MNGGRZ53D51A823S),
CALO’ MICHELE ARCANGELO (C.F. CLAMHL76S26A662F),

contro

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DELLA
LIBERTA’ 20, presso l’avvocato MANFREDONIA
PIERLUIGI, rappresentati e difesi dall’avvocato LA
VOLPE VITANTONIO, giusta procura in calce al
ricorso principale;
– controricorrentl al ricorso incidentale –

2

contro
PASCULLI DE ANGELIS SERGIO;

intimato

avverso la sentenza n. 886/2007 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 20/08/2007;

pubblica udienza del 07/05/2014 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato VERNOLA che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente e ricorrente
incidentale, l’Avvocato SANDRO DE MARCO, con
delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità,
ricorso.

in

subordine

rigetto

del

udita la relazione della causa svolta nella

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 agosto 2008 la Corte di appello di
Bari confermava la sentenza in data 21 dicembre 2004 con
cui il Tribunale della stessa città aveva dichiarato

inammissibile, per difetto di legittimazione attiva, la
domanda di Sergio Pasculli De Angelis e di Vito Calò,
intesa ad ottenere la condanna del Comune di Bitonto al
risarcimento dei danni patiti dagli attori per l’illecita
occupazione e l’irreversibile trasformazione di un terreno
(contraddistinto con la particella n. 250) da essi
acquistato con atto del 10 febbraio 1995. In particolare,
la Corte di appello osservava che: 1) nel 1990, come
risultava dalla documentazione in atti e in specie dai
pagamenti effettuati nel 1989 all’impresa appaltatrice per
la l’impermeabilizzazione dell’opera pubblica, «l’opera
realizzanda già esisteva nella sua struttura di base, e
aveva prodotto l’irreversibile trasformazione del suolo»;
2) la vicenda andava inquadrata nell’ambito di una
occupazione appropriativa, come assunto dagli attori in
primo grado e non di una occupazione usurpativa come dagli
stessi assunto con l’appello, considerato che il
procedimento espropriativo era iniziato con la delibera
comunale n. 19 del 19 gennaio 1983, la quale aveva fissato
«sia i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica
utilità, sia i termini quinquennali per l’occupazione e
4

l’esecuzione dell’opera»; pertanto, alla data di scadenza
del periodo di occupazione legittima, e cioè alla data del
19 gennaio 1990, si era verificatO’l’acquisto dell’area da
parte del Comune in conseguenza dell’irreversibile
trasformazione del suolo, senza emissione del decreto

ablativo (inutilmente intervenuto soltanto il 23 maggio
1995) e senza che si potesse attribuire rilievo, in quanto
annullata dal TAR Puglia con sentenza n. 394/1989, alla
delibera consiliare n. 83 del 1985 che aveva riapprovato il
progetto dell’opera pubblica ai fini della pubblica utilità
ed urgenza; 3) la dichiarazione di pubblica utilità,
insensibile alle proroghe per legge del termine stabilito
per l’occupazione d’urgenza, era divenuta illegittima alla
scadenza del relativo termine, in quanto non più assistita
da quel momento da un titolo giustificativo; ne conseguiva
che la vicenda non poteva essere ricondotta alla
fattispecie dell’occupazione usurpativa, configurabile
soltanto quando «gli atti prodromici della vicenda ablativa
o non esistono ab origine (per comportamenti materiali di
apprensione della p.a.) o sono travolti da annullamenti del
giudice amministrativo che li espungono retroattivamente»;
ne conseguiva ulteriormente che l’accessione invertita del
terreno de quo si era verificata ben prima dell’acquisto
dello stesso da parte degli attori; 4) la domanda formulata
dagli attori con l’atto introduttivo del giudizio era
diretta «a conseguire il risarcimento dei danni per
5

l’illecita apprensione dei suoli e non oper[ava] alcun
riferimento ad occupazioni materiali da parte della p.a. in
carenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, ma
invece, e soltanto, denunci[ava] la occupazione del suolo
da parte del Comune per mancanza del tempestivo decreto di

esproprio entro la data di scadenza della dichiarazione di
p.u. e del periodo di legittima occupazione, assumendo
l’avvenuta realizzazione dell’opera già al gennaio 1990»;
ne conseguiva che la domanda formulata in appello di
accertamento dell’occupazione usurpativa era «diversa,
anche sotto il profilo del petitum e della causa petendi,
rispetto a quella dedotta e proposta nell’ambito del primo
grado della controversia, diretta a conseguire il
risarcimento dei danni da occupazione appropriativa».
Pertanto, «in prima evidenza», con l’appello gli attori
avevano posto in essere «un inammissibile revirement».
Sergio De Angelis Pasculli nonché Grazia Mongiello Calò
e Michele Arcangelo Calò (eredi di Vito Calò, ed in tale
veste già parti nel giudizio di appello unitamente a
Onofrio Calò e Lucia Calò) propongono ricorso per
cassazione, deducendo cinque motivi. Il Comune di Bitonto
resiste con controricorso e propone ricorso incidentale
affidato ad un motivo al quale i ricorrenti principali
resistono con controricorso. Lucia Calò ed Onofrio Calò non
hanno svolto attività difensiva. Entrambe le parti
costituite hanno presentato memoria.
6

MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti, come dispone l’art. 335
c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono la
violazione dell’art. 13 della legge n. 2359/1865,

lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva
ritenuto che, dopo la scadenza del termine della
dichiarazione di pubblica utilità, l’irreversibile
trasformazione del suolo potesse dare luogo ad una
occupazione acquisitiva; dopo detta scadenza, infatti, il
comportamento della p.a. non era riconducibile ad una
potestà amministrativa e la successiva costruzione
dell’opera rappresentava soltanto un’attività materiale
illecita, lesiva del diritto di proprietà e non idonea a
determinare l’acquisto della proprietà a titolo originario
in capo alla pubblica amministrazione. La fattispecie,
pertanto, doveva essere qualificata come occupazione
usurpativa e non acquisitiva, considerato che la delibera
comunale del 19 gennaio 1983, recante dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera, stabiliva un termine di due
anni per l’inizio dei lavori e delle operazioni di
esproprio e prevedeva ulteriori cinque anni dalla data di
inizio per il completamento della procedura espropriativa.
Ne conseguiva che non essendo stata completata l’opera
entro il 19 gennaio 1990, data di scadenza della

7

dichiarazione di pubblica utilità, quest’ultima aveva perso
ogni efficacia.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono
il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta efficacia
della dichiarazione di pubblica utilità anche dopo la

scadenza dei relativi termini.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di
motivazione con riferimento alla individuazione della data
dell’irreversibile trasformazione, lamentando che la Corte
di appello: a) al fine di configurare nella fattispecie una
occupazione appropriativa, aveva ritenuto che nella specie
fossero applicabili le proroghe legali dei termini di
occupazione d’urgenza, senza però considerare l’intervenuta
scadenza del termine della dichiarazione di pubblica
utilità e la conseguente inefficacia di quest’ultima; b)
malgrado il chiarimento offerto in appello, aveva
erroneamente ritenuto che l’irreversibile trasformazione
del suolo alla data del 19 gennaio 1990 fosse stata da essi
riconosciuta nella comparsa conclusionale di primo grado,
ove in realtà si lamentava che alla predetta data avrebbe
dovuto essere conclusa la procedura espropriativa, mentre
il Comune aveva indebitamente continuato ad occupare il
terreno di loro proprietà e realizzato l’opera; c) aveva
escluso di poter desumere la data di irreversibile
trasformazione del suolo dal certificato di collaudo, dal
quale risultava che i lavori nel 1989 erano durati meno di
8

30 giorni, per poi riprendere soltanto nel 1996 ed essere
completati il 5 marzo 1997.
Con il quarto motivo i ricorrenti

416…..c0~

1~14.ano

la

violazione dell’art. 1478 c.c., lamentando che la Corte di
appello non aveva considerato che il loro acquisto, pur

essendo stato formalizzato con atto del 10 febbraio 1995,
risaliva alle scritture private del 7 giugno 1984 e 21
giugno 1984, con le quali Anna Maria Carmela Pasculli aveva
promesso di vendere a Sergio Pasculli ed a Vito Calò il
terreno de quo, di proprietà di un terzot nel momento in cui
essa ne avrebbe conseguito la disponibilità; pertanto, gli
appellanti, che avevano conseguito il possesso del terreno
con la sottoscrizione delle citate scritture private, ne
avevano acquistato la proprietà alla data del 9 novembre
1991, quando era morto il terzo proprietario e la
venditrice, quale erede, ne aveva acquistato la proprietà
automaticamente trasferita ad essi ricorrenti.
Con il quinto motivo i ricorrenti ripropongono sotto il
profilo del vizio di motivazione la questione del loro
acquisto in epoca anteriore all’atto del 10 febbraio 1995.
Il ricorso è inammissibile in quanto non coglie la ratio
decidendi.

La Corte di appello, infatti, come riferito in

narrativa, dopo avere ribadito la configurabilità nella
fattispecie di una occupazione acquisitiva, ha sottolineato
«in prima evidenza» (pag. 10) la novità della domanda
proposta in appello rispetto a quella proposta nel giudizio
9

di primo grado. Sulla base di tale assorbente rilievo, la
Corte territoriale ha ritenuto che non occorresse «arrivare
a delibare le ulteriori affermazioni affastellate in questa
sede processuale di secondo grado, dagli appellanti e
dall’appellato per rilevare, in ogni caso, come l’appello

si fondi su affermazioni inammissibili e, comunque,
giuridicamente destituite di fondamento». È evidente,
pertanto, che la ratio decidendi va individuata nella sola
inammissibilità della domanda di risarcimento del danno da
occupazione usurpativa, quale unica domanda proposta in
appello, e che tale

ratio non è stata censurata dagli

odierni ricorrenti. Il risultato di inammissibilità,
d’altra parte, non cambierebbe neppure se si dovesse
ritenere sussistente una doppia

ratio decidendi

(inammissibilità e, comunque, infondatezza), in quanto la
ratio non censurata in questa sede sarebbe idonea, da sola,

a sorreggere la decisione. Restano assorbite le ulteriori
ragioni di inammissibilità che affliggono: i motivi che
deducono vizi di motivazione, per l’assenza del momento di
sintesi

ex

art. 366

bis

c.p.c.; i motivi intesi a

retrodatare l’acquisto al 9 novembre 1991, per carenza di
interesse, considerato che detta data è comunque successiva
all’acquisto del Comune; i motivi intesi, con manifesta
infondatezza, ad equiparare la promessa di vendita del bene
del terzo alla vendita del bene di un terzo di cui all’art.
1478 c.c.
10

Con l’unico motivo del ricorso incidentale subordinato,
il Comune di Bitonto deduce la violazione dell’art. 4 della
legge n. 166/2002, lamentando che erroneamente la Corte di
appello aveva escluso la legittimità della procedura
espropriativa, precisando che la relativa questione era

stata proposta in primo grado e riproposta in appello,
ancorchè con un mezzo non qualificato espressamente come
appello incidentale. In particolare, il Comune deduce che
il decreto di esproprio, emanato, il 23 maggio 1995, era

rr.

T.

intervenuto nei termini di legge itt ici.rel’or del prolungamento

dei termini, operante automaticamente senza necessità di
uno specifico provvedimento, in virtù della legge n.
42/1985 e degli artt. 14 della legge n. 47/1988, 22 della

legge n. 158/1991 e 4 della legge n. 166/2002. Al riguardo

precisava che il termine iniziale di occupazione decorreva
non dalla data del relativo decreto, ma dalla data
dell’immissione in possesso avvenuta il 17 giugno 1985,
come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata
in primo grado; ne conseguiva che il termine di occupazione
legittima di cinque anni, prorogato di altri cinque anni
dalle leggi citate, era venuto a scadere il 17 giugno 1995,
con conseguente tempestività del decreto di esproprio. In
particolare, la proroga disposta dalla legge n. 42/1985
trovava applicazione non solo alle occupazioni in corso al
momento della sua entrata in vigore (1 0 marzo 1985),
circostanza nella specie non ricorrente, ma anche, ai sensi
11

dell’art. 4 della legge n. 166/2002 alle occupazioni in
corso alla scadenza (28 gennaio 1986) prevista dalla stessa

legge n. 42/1985. Infine, l’art. 4 della legge n. 166/2002

v

chiariva anche che per la validità delle proroghe non era
necessario alcun provvedimento dichiarativo della pubblica

della dichiarazione di pubblica utilità.
Il ricorso resta assorbito dall’inammissibilità del
ricorso principale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q . M •

riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso
principale e dichiara assorbito quello incidentale;
condanna i ricorrenti al rimborso delle spese di lite
liquidate in 6.200,00=, di cui 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 maggio
2014.

amministrazione, con conseguente proroga anche del termine

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