Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15133 del 20/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15133 Anno 2015
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA

to di preproduzione

sul ricorso proposto da
MEDIASET S.P.A., in persona del procuratore speciale Pasquale Straziota, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cicerone n. 60, presso gli avv. CARLA
PREVITI e STEFANO PREVITI, dai quali è rappresentata e difesa in virtù di
procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

I

contro
ORFINI FILM S.R.L.
INTIMATA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 623/09, pubblicata il 10
febbraio 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio
2015 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

3(iA
NRG 7055-10 Mediaset Spa-OrIbi Film Sri – Pag. I

SoíS

Data pubblicazione: 20/07/2015

udito l’avv. Carla Previti per la ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Giuseppe CORASANITI, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La Orfini Film S.r.l. convenne in giudizio la Mediaset S.p.a., per sentir
fissare il termine entro il quale, ai sensi del contratto di preproduzione stipulato tra
le parti il 29 aprile 1998, la convenuta avrebbe dovuto manifestare la volontà di
non produrre la serie televisiva illustrata nel materiale consegnatole da essa attrice, e per sentir accertare, in mancanza della relativa comunicazione, la propria facoltà di rendersi cessionaria del diritto di produzione.
Si costituì la Mediaset, chiedendo la fissazione di un termine adeguato ai
propri processi decisionali interni, nonché, nel caso in cui essa avesse deciso di
non produrre la serie televisiva, la condanna dell’attrice al pagamento dell’importo
versato per la preproduzione.
1.1. — Con sentenza del 15 aprile 2003, il Tribunale di Roma accolse la domanda, assegnando alla Mediaset il termine di quindici giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza per la comunicazione della propria decisione alla Orfini,
dichiarando, in mancanza, il diritto di quest’ultima a rendersi cessionaria del diritto di utilizzazione economica dell’opera, e rigettando la domanda riconvenzionale
proposta dalla convenuta.
2. — L’impugnazione proposta dalla Mediaset è stata rigettata dalla Corte
d’Appello di Roma con sentenza del 10 febbraio 2009.
Premesso che in primo grado la Mediaset si era limitata a chiedere l’assegnazione di un termine congruo, senza contestare il potere del giudice di fissarlo, la

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per quanto di ragione.

Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto inammissibile, in quanto fondata su presupposti giuridici diversi da quelli sui quali si era svolto il giudizio di primo grado, l’eccezione sollevata dall’appellante, secondo cui nella specie

disciplina contrattuale le attribuiva un diritto di recesso esercitabile in ogni tempo.
3. — Avverso la predetta sentenza la Mediaset propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.— Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità del
procedimento per violazione degli artt. 112 e 345, secondo comma, cod. proc.
civ., osservando che, nel dichiarare inammissibile la contestazione relativa all’applicabilità dell’art. 1183 cod. civ., la sentenza impugnata non ha considerato che
tale deduzione non era qualificabile come eccezione, ma come mera difesa. In
quanto volta non già ad introdurre nel giudizio un nuovo fatto modificativo, estintivo o impeditivo, ma a far valere una clausola contrattuale già acquisita al giudizio, della quale essa appellante proponeva una diversa lettura, la predetta deduzione non contravveniva al divieto posto dall’art. 345, secondo comma, cit., il quale,
peraltro, è riferibile esclusivamente alle eccezioni in senso stretto, ovverosia a
quelle espressamente riservate dalla legge all’iniziativa di parte.
1.1. — Il ricorso è fondato.
La questione sollevata con l’atto d’appello consisteva infatti nello stabilire se
la clausola di cui all’art. 8 del contratto di preproduzione stipulato tra le parti, nel
prevedere la comunicazione alla Orfini Film della decisione della Mediaset di non
produrre la serie televisiva illustrata negli elaborati consegnati in esecuzione del
contratto, attribuisse alla ricorrente una facoltà di recesso, il cui esercizio presup-

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non era applicabile l’art. 1183 cod. civ., ma al più l’art. 1375 cod. civ., in quanto la

poneva il riconoscimento di uno spafium deliberandi ragionevolmente compatibile con la complessità delle valutazioni sottese alla scelta e con l’osservanza del canone della buona fede imposto dall’art. 1375 cod. civ., ovvero, come ritenuto dal

ne, da adempiersi entro un termine la cui fissazione, in mancanza di accordo delle
parti, poteva essere richiesta al giudice ai sensi dell’art. 1183 cod. civ. In quanto
avente ad oggetto l’interpretazione della medesima clausola contrattuale posta a
fondamento della pretesa avanzata in primo grado, la censura proposta dall’appellante non implicava la deduzione di un fatto nuovo, avente efficacia estintiva, modificativa o impeditiva di quello fatto valere dall’attrice, e quindi idoneo ad introdurre nel processo un nuovo tema d’indagine, totalmente o parzialmente diverso
da quello che aveva costituito oggetto della precedente fase processuale, ma mirava a sollecitare una revisione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza appellata, attraverso la prospettazione di una diversa qualificazione giuridica della fattispecie, tale da condurre all’esclusione dell’applicabilità della norma invocata dalla
attrice. Nonostante il riferimento al diritto di recesso, mai menzionato in primo
grado, la sua proposizione non si poneva dunque in contrasto con il divieto dello
jus novorum previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 52
della legge 26 novembre 1990, n. 353, il quale, nell’escludere l’ammissibilità di
nuove eccezioni in grado di appello, si riferisce all’allegazione di nuove circostanze materiali o situazioni giuridiche o all’introduzione di nuovi temi d’indagine tali
da comportare l’alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della controversia, ma non impedisce alle parti di proporre nuove questioni giuridiche a corredo
di fatti già acquisiti al processo (cfr. Cass., Sei. III, 5 febbraio 2013, n. 2641; 21
giugno 2004, n. 11470; Cass., Sez. Il, 16 luglio 2004, n. 13253). Così come, d’al-

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Giudice di primo grado, ponesse a carico della Mediaset una specifica obbligazio-

tronde, il divieto di proporre domande nuove in appello non impedisce all’attore di
qualificare diversamente il rapporto giuridico posto a fondamento della pretesa,
fermi restando i fatti materiali allegati in primo grado, non può ritenersi preclusa

co diverso da quello individuato in precedenza: considerato infatti che il giudice
d’appello può procedere anche d’ufficio alla qualificazione dei fatti in modo diverso da quello risultante dalla sentenza di primo grado, l’esercizio della predetta facoltà si risolve in una mera sollecitazione all’esercizio del potere-dovere, spettante
al giudice di secondo grado, di definire autonomamente la natura del rapporto, al
fine d’individuarne il contenuto e gli effetti (cfr. Cass., Sez. lav., 26 gennaio 2006,
n. 1550; Cass., Sez. III, 4 marzo 2005, n. 4744).
2. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio
della causa alla Corte d’Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P. Q .M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di
Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2015, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

neppure al convenuto la facoltà di ricondurre la fattispecie ad uno schema giuridi-

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