Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15132 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15132 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SALVAGO SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 9014-2009 proposto da:
COMUNE DI ORVINIO (c.f. 00109530576), in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA AZUNI 9, presso l’avvocato PAOLO DE

Data pubblicazione: 02/07/2014

CAMELIS, che lo rappresenta e difende, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente-

2014
960

contro

IMPRESA PROVARONI FULVIO;
– intimata –

1

Nonché da:
IMPRESA PROVARONI FULVIO

(p.i.

0005310578),

in

persona dell’omonimo titolare, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA BUFALOTTA 174, presso
l’avvocato PATRIZIA BARLETTELLI, rappresentata e

procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

COMUNE DI ORVINIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 4998/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2014

dal

Presidente Dott,

SALVATORE SAL VAGO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato DE CAMELIS che
ha chiesto l’accoglimento;
udito,

per

la

controricorrente

e

difesa dall’avvocato MARCUCCI MARIA ANTONIA, giusta

ricorrente

incidentale, l’Avvocato MARCO ARCANGELI, con delega,
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto di entrambi

2

i ricorsi.
Svolgimento del processo
1.11 Tribunale di Rieti,con sentenza del 6 luglio 2004
dichiarava la legittimità della rescissione del contratto

di appalto con l’impresa Fulvio Provaroni per la
sistemazione del centro storico comunale, pronunciata dal
comune di Orvinio ai sensi dell’art.340 legge 2248/1865
all.F;

rigettava

conseguentemente

la domanda

di

risoluzione del contratto proposta dall’impresa,condannando
la stazione appaltante al pagamento dei lavori eseguiti per
l’importo

di

e

110.132,58,nonché

l’appaltatore

al

versamento della penale da ritardo in C 34.344,38.
In riforma della decisione,la Corte di appello di Roma,con
sentenza dell’i dicembre 2008 ha dichiarato risolto il
contratto di appalto per inadempimento del comune,che ha
condannato al risarcimento del danno nella misura di C
35.988,22,in quanto: a)la stazione appaltante non soltanto
non aveva reso edotta l’impresa della presenza di tubature
del gas nel centro storico,ma aveva approntato la
necessaria perizia di variante per ovviarvi con un ritardo
di 141 giorni senza neppure emettere il certificato di
sopensione dei lavori; b)non erano stati predisposti gli
strumenti per le annotazioni dei lavori effettuati,con
possibili ricadute sulla eventuale decadenza da riserve;
c)il c.t.u. aveva evidenziato la necessità di una seconda
3

variante per l’esecuzione di lavori non previsti dal
progetto, invece non ammessa dalla stazione
appaltante,malgrado le reiterate richieste dell’impresa;
d)a nulla perciò valevano la successiva sospensione dei

lavori da parte di quest’ultima ed il suo rifiuto ad
ottemperare agli ordini di ripresa dei lavori,trattandosi
di circostanze intervenute quando il sinallagma
contrattuale era già compromesso.
Per la cassazione della sentenza il comune ha proposto
ricorso per 4 motivi;cui resiste l’impresa con
controricorso,con il quale ha formulato a sua volta ricorso
incidentale per un motivo.
Motivi della decisione
2.Con il primo motivo,i1 comune deducendo violazione
dell’art.112 cod. proc.civ. addebita alla sentenza
impugnata di avere pronunciato la risoluzione del contratto
con condanna di esso comune al pagamento dei lavori sul
presupposto che gli stessi fossero stati ultimati alla data
del 13 dicembre 2000:non affermato neppure dall’impresa in
alcuna delle sue difese,né accertato dal c.t.u. ovvero
dalla sentenza del Tribunale.
Il motivo non ha pregio,avendo la sentenza di appello
fondato la risoluzione del contratto per inadempimento
dell’amministrazione esclusivamente sulle circostanze sopra
indicate ai punti a,b, e c;ed avendo menzionato la data del
4

13 dicembre 2000 “prevista dalle parti quale data di
ultimazione dei lavori” soltanto per indicare il momento
temporale in cui il sinallagma contrattuale dovesse
considerarsi compromesso per i suddetti ritenuti

inadempimenti del comune;nonché per dedurne l’irrilevanza
dei comportamenti successivi delle parti ai fini della
valutazione richiesta dall’art.1453 cod. civ.

3.Con il secondo motivo,i1 comune,deducendo violazione
degli art.25 legge 109 del 1994 e 1455 cod. civ.,nonché
difetti di motivazione censura la sentenza impugnata per
avergli addebitato: a)di non aver approvato una seconda
variante perché ritenuta necessara dal c.t.u. senza
avvedersi che il disposto della menzionata norma della
legge 109 non la consente se non nelle ipotesi eccezionali
ivi individuate,che qui pacificamente non ricorrevano: b)la
presenza nel sottosuolo,ignorata nel progetto, della
tubatura del gas nel sottosuolo del centro storco,tanto da
rendere necessaria l’approvazione di una prima variante
dopo ben 141 giorni di sospensione durante i quali nessun
formale provvedimento era stato adottato:malgrado il
successivo atto di sottomissione del 2 agosto 2000 con cui
l’impresa dichiarava di non avere nulla da pretendere in
relazione alla vicenda suddetta; c)la mancata
predisposizione di libretti e strumenti per l’annotazione
5

dei lavori smentita dalla raccomnadata inviata dalla d.l.
all’appaltatore il 15 aprile 2001.
Il motivo è fondato.
La

sentenza

impugnata

in palese violazione della

giurisprudenza di questa Corte,la quale al fine di
individuare la responsabilità di una delle parti del
contratto,nonché i relativi inadempimenti per pronunciare
la risoluzione di cui agli art.1453 e 1455 cod. civ.,
impone al giudice di merito di procedere alla valutazione
sinergica del comportamento di entrambe, compiendo una
indagine globale ed unitaria coinvolgente nell’insieme
l’intero loro comportamento (Cass.336/2013; 19879/2011),
ha invece isolato i comportamenti del comune denunciati
dalla controparte;ed ha apoditticamente attribuito la
qualifica di singoli inadempimenti idonei a sconvolgere il
sinallagma contrattuale: a)alla mancata individuazione nel
progetto originario delle tubature del gas nel sottosuolo
del centro storico,tanto da rendere necessaria una variante
dopo 141 giorni di sospensione; b)alla omessa
predisposizione degli strumenti per l’annotazione dei
lavori effettuati; c)alla omessa approvazione di una
seconda variante per la prosecuzione dei lavori
(realizzazione

di

un

massetto

necessario

alla

pavimentazione),considerata indispensabile dal c.t.u.

6

4.Sennonchè la stessa Corte di appello ha accertato che la
prima variante fu approvata con provvedimento del 2 agosto
2000,a seguito del quale seguì contestuale atto di
sottomissione dell’impresa che perciò ritenne opportuno

assumere i nuovi lavori, e dichiarare di non avere
null’altro a pretendere anche in merito alla precedente
sospensione. Per cui tanto se all’atto suddetto si
attribuisca la natura di accordo modificativo
dell’originario contratto (Cass.5763/1990; 263/1981),quanto
se vi si attribuisca quella di nuovo ed autonomo contratto
(Cass.18438/2013; 8094/2000),lo stesso,come ripetutamente
affermato da questa Corte, rientra nell’ampia previsione
dell’art.1372 cod. civ. che a ciascuna delle parti consente
la scelta di riprendere e/o continuare i lavori a nuove
(ovvero alle originarie) condizioni e di proseguire nella
esecuzione dell’appalto (Cass.12416/2004;4630/1994;
3712/1987). In coerenza,del resto, con il principio più
volte enunciato dalla giurisprudenza proprio per l’appalto
dei lavori pubblici,che a differenza dell’obbligazioni di
mezzi,la quale richiede al debitore soltanto la diligente
osservanza del del_ comportamento pattuito, indipendentemente
dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal
creditore,nell’obbligazione di risultato,propria
dell’appalto,in

cui

il

soddisfacimento

effettivo

dell’interesse di una parte è assunto come contenuto
7

essenziale ed irriducibile della prestazione, l’adempimento
coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito
dal creditore,indipendentemente dall’attività e dalla
diligenza spiegate dall’altra parte per conseguirlo.

Il che trova conferma legislativa perfino nell’ipotesi
degli artt. 344 della legge n. 2248, all. F), del 1865,
nonché 14 del d.P.R. n. 1063 del 1962, in cui
l’amministrazione appaltante richieda lavori diversi da
quelli considerati in contratto, in variante dell’opera
appaltata, per un importo di oltre un quinto a quello
stabilito:posto che anche in tal caso la richiesta
medesima non si correla ad un potere della stessa cui
corrisponda un obbligo dell’appaltatore, e, pertanto,
l’accordo fra le parti per l’esecuzione di tale variante (a
mezzo di atto di sottomissione dell’appaltatore alla
richiesta dell’amministrazione o di atto aggiuntivo) deve
parificarsi a quello che abbia ad oggetto lavori
extracontrattuali in senso stretto, rimesso alla volontà
discrezionale ed insindacabile delle parti.
Egualmente nella valutazione tipica degli opposti interessi
delle parti contraenti,pur in presenza di una sospensione
unilateralmente disposta,come nel caso, dalla stazione
appaltante,i1 legislatore ritiene che ove l’appaltatore
preferisca scegliere la prosecuzione anzicchè lo
scioglimento, nonostante la sospensione,quest’ultima non
8

abbia inciso in maniera apprezzabile sugli oneri derivanti
per il medesimo con il contratto di appalto:così come si
ricava in sede interpretativa dalla fattispecie di
protrazione illegittima del termine di sospensione di cui

al 2 ° comma del d.p.r. 1063 del 1962,in cui il diritto
dell’appaltatore alla refusione di maggiori oneri è
riconosciuto soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso abbia
optato per lo scioglimento del contratto e la p.a. vi si
sia opposta,perciò sancendo in modo univoco la regola che
il diritto suddetto dell’imprenditore presupponga il
perdurare del rapporto contrattuale per volontà
dell’amministrazione;ed escludendolo invece quando costui
preferisca protrarre l’esecuzione del contratto, ritenendo,
nel suo interesse, di proseguire i lavori
(Cass.sez.un.1570;8178

e

12401/1995,nonché

13038/1999;

18224/2002).
Proprio quest’ultima ipotesi si è verificata nella
fattispecie in cui l’impresa Provaroni non si è avvalsa
della facoltà di recesso consentitale fin dall’art.344
legge 2248 del 1865 All.F.,ma con l’atto di sottomissione,
sottoscritto peraltro senza riserve, ha concordato il nuovo
programma dei lavori,ritenendo nel suo interesse di
accettarne la prosecuzione;e perciò precludendosi la
facoltà di dolersi successivamente della situazione dei
lavori da essa ben conosciuta,nonché delle asserite
9

precedenti colpe della stazione appaltante,che non le
avevano impedito di considerare egualmente valido e
regolare il rapporto contrattuale.
5.

La sentenza impugnata,poi,

ha mostrato di non

comprendere la funzione del libretto di misura delle
lavorazioni di cui all’art.42 r.d. 350/1895 nonché dei
documenti contabili menzionati dalle disposizioni
successive e del registro di contabilità di cui agli art.52
e 53 (oggi richiesta dal d.p.r. 554/1999):posto che la loro
tenuta da parte del direttore di lavori non costituisce
affatto un obbligo che il committente è tenuto ad assumere
per legge o per contratto nei confronti dell’appaltatore,
sicchè la relativa violazione costituisca comportamento
imputabile al primo, e ne comporti la responsabilità per
inadempimento contrattuale a carico della stazione
appaltante.
Questi documenti contabili,invece, sono finalizzati alla
rilevazione e contabilizzazione dei lavori eseguiti in
corso d’opera al fine di consentirne l’inserimento nel
registro di contabilità;i1 quale da un lato serve a rendere
palese a quest’ultima le varie vicende che incidono sui
costi dell’appalto e le fornisce nel contempo una visione
d’insieme o unitaria della sua esecuzione (Cass.3525/2000).
E dall’altro consente di disporre di tutti gli elementi
fattuali necessari onde effettuare gli accreditamenti in
10

corso d’opera in favore dell’appaltatore,di procedere
successivamente al conto finale nonché predisporre la
liquidazione finale dei compensi allo stesso
spettanti,vincolanti per l’amministrazione con l’esecuzione

contestazione).
Per cui le relative annotazioni incidono sui diritti
dell’appaltatore soltanto in relazione alla sottoscrizione
da parte di quest’ultimo dei vari fogli di detto registro
(Cass.13396/2010):nel senso che mentre dette risultanze non
sono vincolanti per l’amministrazione che può rettificarle
o correggerle fino al collaudo lo divengono per
l’imprenditore quanto alle partite di lavori eseguiti,alla
loro misurazione,nonché ai prezzi per essi da praticare man
, mano che egli li sottoscriva senza riserve. Con la sola
conseguenza (estranea alla fattispecie), ove non siano
predisposti o siano compilati in ritardo ovvero
erroneamente e comunque non firmati dall’appaltatore, che
questi -oltre a non incorrere in eventuali decadenze
laddove gli sono richieste attività partecipative e/o
sottoscrizioni- non è vincolato da alcuna annotazione
condivisa ed ha diritto di formulare tutte le possibili
pretese correlate ai lavori eseguiti, di cui d’altra parte
proprio per tale ragione ancor prima della stazione
appaltante è in grado di predisporne e conservarne la

del collaudo (che nel caso non sono stati oggetto di

prova:salvo il diritto (ove vengano contestati dalla
committente) di dimostrarne l’effettivo compimento con
tutti i mezzi istruttori (perciò anche orali) predisposti

dall’attuale sistema processuale;

6.Quanto alla necessità di una seconda variante per la
realizzazione di un massetto non prevista dall’originario
progetto (pag.5 sent.),ritenuta dal c.t.u. e non adottata
dalla stazione appaltante,la Corte di appello nel
considerarla ulteriore causa di inadempimento del contratto
non soltanto ha disapplicato la normativa al riguardo, a
partire dalla disposizione generale dell’art.342 legge 2248
All.F,ma non ha tenuto in alcun conto la giurisprudenza
costante di questa Corte,che in merito allo ius variandi
dell’appaltatore ha enunciato i seguenti principi: A) Già
quest’ultima norma disponeva che “non può l’appaltatore
sotto verun pretesto introdurre variazioni o addizioni di
sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per
iscritto dall’ingegnere direttore …”; ed il divieto è
ribadito dall’art. 20, coma 6, del r.d. 350 del 1895 per
il quale “nessuna variazione o addizione potrà essere
eseguita dall’appaltatore senza l’ordine scritto
dell’ingegnere direttore”. Con la conseguenza che non solo
non è configurabile uno ius variandi dell’appaltatore,ma
che se quest’ultimo dette variazioni, non richieste o
12

autorizzate dalla stazione appaltante,abbía egualmente
eseguite eseguite in violazione di siffatto
divieto,l’appaltatore non può pretendere alcun aumento di
prezzo aggiuntivo o indennità,neppure a titolo di indebito

arricchimento; B) Siffatta regola conosceva una duplice
eccezione:l’una introdotta dallo stesso art.20 r.d. 350 che
attribuisce all’imprenditore un maggior compenso per le
variazioni ed addizioni non previste dal contratto quando
il direttore dei lavori le abbia richieste od autorizzate
con ordine scritto,semprecchè,per un verso si rendano
necessarie “per circostanze imprevedute, per le condizioni
del terreno in cui si fanno i lavori, o per assicurarne la
solidità”,e,per altro verso “sia accertato che la spesa di
esse non superi il terzo del fondo assegnato per imprevisti
e non ecceda in ogni caso le lire 25.000.000”:altrimenti
richiedendosi l’autorizzazione della stazione appaltante
alla loro realizzazione, manifestata dal suo organo
deliberante (Cass.10726/1992;sez.un. 3263/1990). Mentre
l’altra deroga era stabilita dal successivo art.103 e
richiedeva la contestaule ricorrenza delle seguenti
condizioni: I)che in sede di collaudo, il collaudatore (e
non il c.t.u.) abbia ritenuto che le variazioni arbitrarie
fossero “indispensabili” per l’esecuzione dell’opera e
tecnicamente meritevoli di collaudo; II) che sul punto,
l’atto di collaudo sia stato espressamente approvato dalla
13

amministrazione appaltante; III) che l’importo totale
dell’opera, compreso l’ammontare delle addizioni e delle
variazione non autorizzate, rientri nei limiti delle spese
approvate

(Cass.10428/1996;10897/1992;3450/1983);

C)

Il

sistema è divenuto ancor più rigoroso con la legge 109 del
1994,applicabile all’appalto per cui è causa,posto che
l’art.25 non soltanto ha indicato condizioni e limiti
all’esercizio

dello

ius

variandi,ma

ha

introdotto

specifiche e tassative condizioni in presenza delle quali
soltanto le variazioni sono consentite;sicchè sotto questo
profilo non sussisteva alcuna possibilità di accoglimento
della pretesa della impresa Provaroni che non ha
prospettato la ricorrenza di nessuna di esse,così come di
quelle postulate dal precedente r.d. 350 del 1895. E
soprattutto

la

sussistenza

del

provvedimento

del

collaudatore (non sostituibile dal giudizio del c.t.) che
tale carattere indispensabile riconoscesse, nonché della
conforme delibera-approvazione del comune di Orvinio:senza
considerare che non è stata indicata neppure l’entità dei
maggiori costi che tale nuova variante richiedeva.
Consegue che in mancanza di detto riconoscimento e/o del
rifiuto della committente ad adottare la variante,non era
configurabile un diritto dell’impresa a conseguirla
egualmente (Cass.343/2013; 9246/2012; 9794/1994), e che
l’omissione della controparte al riguardo intanto poteva
14

esserle addebitata quale comportamento inadempiente agli
obblighi assunti con il contratto di appalto,in quanto
quest’ultimo non avtí5gz potuto essere portato a
compímento,o l’esecuzione dell’opera pubblica a regola

d’arte fosse divenuta non più possibile (cfr.art.1660 cod.
civ.). Laddove nessuna di dette evenienze è stata
prospettata dalla sentenza,la quale ha riferito, invece,
che dopo tali fatti la Direzione Lavori aveva richiesto e
poi sollecitato la ripresa dei lavori: rifiutata
dall’appaltatore non certamente perché la loro prosecuzione
era divenuta impossibile, ma perché ormai la Provaroni
riteneva compromesso il sinallagma contrattuale (pag.6
sent.).
7.Ed allora,escluso l’inadempimento del comune, era proprio
quest’ultimo rifiuto unitamente alla sospensione
(definitiva) dei lavori da parte dell’impresa a dover
essere esaminato dai giudici di appello per stabilire della
legittimità del provvedimento di rescissione dell’appalto,
impugnato dalla Provaroni;e tale disamina doveva essere
compiuta al lume dei principi ripetutamente enunciati da
questa Corte, che detta sospensione (peraltro
temporanea:Cass.12980/2009) è consentita alla sola stazione
appaltante esclusivamente nelle due ipotesi stabilite
dall’art.30 d.p.r. 1063/1062:in ogni altro caso tornando ad
applicarsi a carico della parte che l’ha disposta o attuata

15

la

normativa

obbligazioni

codicistica
(Cass.14510

sull’inadempimento
e

delle

13509/2007;11082/2004;

18224/2002)
Assorbiti,pertanto,gli

ulteriori

motivi

del

ricorso

invece escluso della legittimità della risoluzione del
contratto ex art.1453 cod. civ.,la sentenza impugnata
incorsa nella violazione delle norme avanti indicate,va
cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa
composizione, che si atterrà ai principi esposti e
provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La

Corte,rigetta

il

primo

motivo

del

ricorso

principale,nonché l’incidentale,accoglie il secondo del
principale,assorbiti gli altri,cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia anche per la
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla
Corte di appello di Roma,in diversa composizione.
Così deciso in Roma,i1 7 maggio 2014.

principale e respinto l’incidentale fondato sul presupposto

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