Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15131 del 22/06/2010

Cassazione civile sez. I, 22/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 22/06/2010), n.15131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F. (C.F. (OMISSIS)), M.L. (C.F. (OMISSIS)),

L.M. (C.F. (OMISSIS)), G.V. (C.F. (OMISSIS)),

C.I. (C.F. (OMISSIS)), O.M. (C.F. (OMISSIS)),

C.I. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DEL POPOLO 18, presso l’avvocato FRISANI PIETRO, che li rappresenta

e difende, giusta procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositato il

07/12/2007, n. 281/07 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.F., M.L., L.M., G.V., C.I., O.M. e C.I., lamentando la violazione dell’art. 6 della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata di una causa proposta dinanzi al TAR per il Friuli Venezia Giulia, con ricorso depositato il 24 settembre 2007, convenivano dinanzi alla Corte d’appello di Trieste il Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di ottenere l’indennizzo previsto dalla L. n. 89 del 2001. Deducevano che il ricorso al TAR, avente ad oggetto l’accertamento del diritto a un inquadramento stipendiale superiore, era stato depositato in data 31 luglio 1998; che il ricorso era stato rigettato con sentenza depositata il 9 marzo 2006. Chiedevano la condanna del Ministero convenuto al pagamento, a titolo di danno non patrimoniale, alcuni della somma di Euro 7.500,00 ciascuno, oltre interessi dalla domanda. La Corte d’appello, con Decreto n. 706 del 2008, depositato il 7 dicembre 2007, notificato il giorno 11 febbraio 2008, liquidava la somma di Euro 1.675,00, oltre accessori a ciascun attore, quantificando l’irragionevole durata del processo in cinque anni e sette mesi, e l’ammontare annuo dell’indennizzo in Euro 300,00 in considerazione della natura e contenuto del giudizio e dell’oggettivo disinteresse al tempestivo esito di esso, essendo stata l’istanza di prelievo depositata solo il 25 luglio 2005. Avverso il decreto gli attori hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato l’8/12 aprile 2008 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, dell’art. 6 della CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., per avere la Corte d’appello liquidato la somma di Euro 300,00 per ogni anno di eccessiva durata del processo e proporzionalmente per le frazioni di anno, determinando l’eccessiva durata del processo, sino al deposito della domanda di equa riparazione, in cinque anni e sette mesi. Si deduce che tale quantificazione violerebbe i criteri di liquidazione del danno stabiliti dalla Corte di Strasburgo, vincolanti per il giudice italiano e ricompresi fra Euro 1000,00 e 1500,00 per ogni anno. Ininfluente sarebbero, rispetto a tali standard minimi, la mancata proposizione di atti d’impulso processuale e la modestia, o la mancata indicazione, della posta in gioco.

Il ricorso è parzialmente fondato.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di Cassazione.

In proposito va peraltro considerato che la CEDU, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue. Peraltro nel caso di specie la liquidazione del danno risulta inferiore anche agli indennizzi minimi liquidati da tali decisioni, cosicchè il ricorso va accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato.

Sussistendo le condizioni per la decisione della causa nel merito ex art. 384 c.p.c., considerati i margini di valutazione equitativa adottabili in conformità dei criteri ricavabili dalla sopra menzionata giurisprudenza della CEDU, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice amministrativo oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento delle parti, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerata la consistenza della pretesa azionata, essendo la procedura iniziata nel luglio del 1998 ed essendosi conclusa nel marzo del 2006, all’attore va liquidata, in via equitativa, per danno non patrimoniale, la somma di Euro 4.000,00 con gl’interessi legali dalla domanda. Si ravvisano giusti motivi per compensare per un terzo le spese di entrambi i gradi del giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo la causa nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in favore di ciascun attore della somma di Euro 4.000,00 con gl’interessi dalla domanda. Il Ministero convenuto va altresì condannato al pagamento dei due terzi delle spese dell’intero giudizio, che si liquidano quanto a quello di merito, nella misura già ridotta di Euro 310,00 per diritti, 500,00 per onorari e cinquanta per spese vive, distraendole in favore dell’avv. Pietro L. Frisani in quel grado dichiaratosene antistatario e, quanto a quello dinanzi a questa Corte, in favore degli attori nella misura complessiva già ridotta di Euro 650, 00 di cui Euro cinquanta per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2010

 

 

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