Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15130 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 31/05/2021), n.15130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9302-2017 proposto da:

B.C., C.A., P.G., tutti domiciliati

in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ISACCO SULLAM;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1228/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/03/2016 R.G.N. 538/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Milano, giudice del rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 8175/2013, ha riformato le sentenze nn. 106/2005 e 146/2005 del Tribunale di Lodi e la sentenza n. 1999/2005 del Tribunale di Milano che avevano accolto i ricorsi proposti da C.A., P.G. e B.C., appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA), ed avevano dichiarato il diritto degli stessi L. n. 124 del 1999, ex art. 8, comma 2, al riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza, condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal gennaio 2000;

2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di causa, ha premesso che la sentenza rescindente, con la quale era stata cassata la sentenza n. 573/2008 della stessa Corte d’Appello di Milano che aveva rigettato le domande, aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se al momento del passaggio dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una riduzione sostanziale del trattamento retributivo ed aveva precisato che il confronto doveva essere globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e che non potevano assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i lavoratori già in servizio presso il cessionario;

3. la Corte milanese ha evidenziato che nel ricorso in riassunzione il peggioramento retributivo era stato ancorato solo alla mancata conservazione del premio incentivante, del quale l’amministrazione non aveva tenuto conto nell’effettuare la temporizzazione, ed ha innanzitutto rilevato la novità dell’allegazione e, quindi, la sua inammissibilità in ragione del carattere, cosiddetto chiuso, del giudizio di rinvio;

4. ha aggiunto che la mancata inclusione nell’assegno ad personam di voci retributive può essere apprezzata, nell’indagine volta ad accertare un eventuale peggioramento retributivo, solo qualora venga in rilievo un emolumento, corrisposto in via continuativa ed in connessione all’organizzazione del lavoro ed alla esecuzione della prestazione, rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale allo Stato;

5. i ricorrenti si erano limitati a fare leva sulla mancata inclusione del premio incentivante nella retribuzione percepita dopo il trasferimento senza dedurre alcunchè in merito al carattere continuativo della voce retributiva;

6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposto difese il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 384 c.p.c. e addebitano alla Corte territoriale di avere omesso la verifica della sussistenza o meno del peggioramento retributivo sostanziale che andava, invece, effettuata perchè richiesta dalla sentenza rescindente;

1.1. sostengono che il giudice del rinvio avrebbe dovuto verificare se il MIUR avesse correttamente applicato la temporizzazione prevista dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, diversa e di miglior favore rispetto a quella disciplinata dall’Accordo ARAN 20/7/2000 che includeva nella base di calcolo solo parte del trattamento accessorio goduto presso l’ente locale;

1.2. precisano che l’accertamento doveva essere effettuato in quanto alla data di proposizione degli originari i ricorsi era vigente il solo L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, e la legge di interpretazione autentica era intervenuta in corso di causa, al pari della sentenza della Corte di Giustizia, con la quale la compatibilità della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con la direttiva 77/187 CE era stata affermata a condizione che venisse salvaguardato il trattamento economico in precedenza goduto;

2. con la seconda censura è dedotta la violazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 e si sostiene che il Ministero avrebbe dovuto tener conto, ai fini della temporizzazione, di tutte le indennità corrisposte al personale ATA e, quindi, anche del premio incentivante che era stato costantemente corrisposto, come provato dalla documentazione depositata;

3. infine con il terzo motivo è denunciato ex art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ravvisato nella mancata valorizzazione dei documenti depositati con il ricorso in riassunzione dai quali emergeva che la retribuzione complessiva percepita nell’anno 2000 era stata inferiore a quella goduta nel 1999;

4. il ricorso deve essere rigettato, con parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384 c.p.c., comma 4, per le medesime ragioni evidenziate con le recenti ordinanze nn. 14892, 22996 e 23382 del 2020 alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

5. occorre premettere che, in caso di ricorso proposto avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione la portata del decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte (Cass. n. 3955/2018);

6. nel caso di specie questa Corte, con la sentenza n. 8175/2013, non ha affatto demandato al giudice del rinvio di verificare se l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio 2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, nè ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, doveva essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perchè ha chiesto solo al giudice del merito di “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento” ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli indicati al punto 13 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il cessionario;

6.1. la sentenza rescindente non ha posto alcun altro limite all’esame demandato al giudice del rinvio e, in particolare, non ha indicato quali fossero le componenti del trattamento economico fondamentale e accessorio da apprezzare ai fini della comparazione “globale”;

7. ciò detto osserva il Collegio che la Corte territoriale ha indubbiamente errato nel ritenere la novità delle allegazioni del ricorso in riassunzione, perchè il principio del carattere chiuso del giudizio di rinvio non può operare nei casi in cui le nuove attività assertive e probatorie siano rese necessarie dalla sopravvenienza, in corso di causa, di una nuova disciplina di legge applicabile anche ai giudizi in corso, di una pronuncia di illegittimità costituzionale, ed in genere di ius superveniens, del quale la sentenza rescindente abbia fatto applicazione (Cass. n. 14892/2020 che richiama Cass. n. 34209/2019, Cass. n. 10845/2017, Cass. n. 13458/2016, Cass. n. 422/2014);

8. tuttavia l’errore commesso dalla Corte territoriale non giustifica la cassazione della pronuncia ed un nuovo giudizio di rinvio, perchè le allegazioni sulle quali i ricorrenti fanno leva per sostenere la tesi del peggioramento retributivo sostanziale, non sono idonee allo scopo, e ciò a prescindere dalla loro verifica in fatto;

8.1. un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicchè non possono essere apprezzati gli importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perchè, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata;

8.2. il principio di irriducibilità della retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perchè, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente;

8.3. ciò detto rileva il Collegio che nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. i ricorrenti, per sostenere la tesi di un peggioramento sostanziale, verificatosi nonostante il riconoscimento dell’assegno personale, fanno leva sulla mancata valorizzazione del premio incentivante, ossia di una voce del trattamento accessorio priva dei requisiti di fissità e di continuità, che devono ricorrere ai fini del rispetto del divieto di reformatio in peius;

8.4. deve essere qui ribadito il principio di diritto già affermato da Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019 secondo cui i premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del CCNL 1 aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perchè si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum;

9. è utile rammentare al riguardo che, nell’interpretare il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 che detta la disciplina generale del passaggio dei dipendenti in conseguenza del trasferimento di attività, questa Corte ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che le disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, in quanto la prosecuzione giuridica del rapporto se, da un lato, rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore;

9.1. muovendo da detta premessa si è evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sè non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007);

9.2. l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass. S.U. n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), nè può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perchè l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. fra le più recenti Cass. n. 4389/2020 e quanto agli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019);

9.3. corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità il dipendente non può riporre affidamento, o perchè connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012);

9.4. la sentenza rescindente, come già detto, non ha precisato quali emolumenti dovessero essere apprezzati per verificare se si fosse verificata una “posizione globalmente sfavorevole” sicchè il principio di diritto ben può essere armonizzato con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte espresso in tema di quantificazione dell’assegno personale;

10. l’infondatezza del ricorso rende non necessario disporre la rinnovazione della notifica, affetta da nullità (cfr. Cass. n. 11574/2018) perchè eseguita, in violazione del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter ad un indirizzo di posta elettronica del destinatario ((OMISSIS)) diverso da quello inserito nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia ((OMISSIS));

10.1. da tempo, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che il principio della ragionevole durata del processo costituisce “un preciso parametro costituzionale ai fini della conformità a Costituzione di tutte le norme che direttamente o indirettamente determinano una ingiustificata durata del processo, fornendo agli addetti ai lavori, ed in primo luogo al giudice, uno strumento per verificare la tenuta e la portata delle singole norme del codice di rito e per garantirne una interpretazione costituzionalmente orientata” (Cass. S.U. n. 20604/2008);

10.2. dal principio si è tratta la conseguenza che al giudice, anche di legittimità, è fatto obbligo di evitare comportamenti che si traducano in un inutile dispendio di attività processuali ogniqualvolta, a fronte di un ricorso prima facie infondato, il compimento dell’attività processuale, seppure previsto, si tradurrebbe in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. fra le tante Cass. n. 16141/2019 e Cass. n. 12515/2018);

11. la mancata costituzione del Ministero esime, quindi, dal provvedere sule spese del giudizio di legittimità;

12. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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