Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15130 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15130 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

Data pubblicazione: 02/07/2014

SENTENZA

sul ricorso 12622-2008 proposto da:
GENTILE PASQUALE (C.F. GNTPQL42A10B963T), EGIZIO
LUISA (C.F. GZELSU48T41I131I), elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DEL SEMINARIO 113/116,
presso l’avvocato VISIONE LODOVICO, rappresentati e
difesi dagli avvocati PAGANO SALVATORE, TOZZI
2014

SILVANO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti

956

contro
ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI

4,17

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente contro
I.CO.RI. – IMPRESA COSTRUZIONI E RICOSTRUZIONI IN

intimata

LIQUIDAZIONE S.P.A.;

avverso la sentenza n. 556/2008 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 06/05/2014 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

/

2

Svolgimento del processo
I sig.ri Pasquale Gentile e Luisa Egizio chiesero al
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di condannare la
società appaltatrice ICORI e, poi, l’Anas al risarcimento

decreti prefettizi del 16 aprile 1988 e del 4 aprile 1990)
e la perdita della proprietà di un fondo, sito in Caserta
(via dei Cappuccini, censito in catasto al f. 27, part.
722, 723, 74 e 152), irreversibilmente trasformato, per
conto dell’Anas, nell’ambito della procedura di
realizzazione dello svincolo di Caserta-Tuoro.
Per quanto ancora interessa, con sentenza non definitiva
del 17 novembre 2003, il tribunale dichiarò

inutiliter

datum il decreto di espropriazione perché emesso in data
(18 marzo 1996) successiva alla irreversibile
trasformazione; affermò la responsabilità dei convenuti e
li condannò al risarcimento del danno per la perdita del
bene che fu determinato, a norma dell’art. 5 bis, comma 7
bis, d.l. n. 333/1992, conv. con mod. in legge n. 359/1992
(introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge n.
662/1996), in C 397.747,33, oltre agli accessori e
all’indennità di occupazione legittima calcolata in misura
corrispondente agli interessi legali maturati per cinque
anni dall’immissione in possesso.

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dei danni per l’occupazione legittima (autorizzata da due

Questa sentenza non definitiva fu oggetto di appello
immediato (rg. 4074/06) dei sig.ri Gentile ed Egizio i
quali chiesero una più adeguata liquidazione del danno e
lamentarono il mancato riconoscimento dell’indennizzo per

l’erroneità della stima dell’indennità di occupazione, in
quanto riferita ad una superficie inferiore a quella reale.
Il giudizio dinanzi al tribunale, proseguito per la
determinazione del danno per lo svilimento dell’attività
commerciale esercitata dagli attori sull’area residua di
loro proprietà, fu definito con sentenza del 7 giugno 2005
che condannò i convenuti al pagamento di C 26.557,66 per
tale titolo.
Questa sentenza definitiva fu oggetto di appello principale
da parte dell’Anas e di appello incidentale da parte dei
sig.ri Gentile ed Egizio (rg. 3112/06) i quali chiesero una
nuova liquidazione del danno contestando, tra l’altro,
l’applicazione del criterio riduttivo di cui al citato art.
5 bis, comma 7 bis.
La Corte di appello di Napoli, con sentenza 13 febbraio
2008, giudicando nelle cause riunite, ha ritenuto
inapplicabile la sentenza della Corte cost. n. 349/2007
dichiarativa della illegittimità costituzionale del citato
art. 5 bis, comma 7 bis, osservando che il criterio
riduttivo di calcolo del risarcimento era stato applicato
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la perdita di valore della parte residua del fondo, nonché

nella sentenza non definitiva del tribunale appellata dai
sig. Gentile ed Egizio senza contestare quel criterio, con
la conseguenza che si era verificata una preclusione
processuale non superabile in sede di appello avverso la

un’altra voce di danno, cioè sull’incidenza
dell’espropriazione sull’attività commerciale. Inoltre la
corte ha ragguagliato il danno per l’accessione invertita
anche alla perdita di valore della parte residua del fondo
(secondo il criterio legale riduttivo); ha ricalcolato gli
interessi sulla somma (di C 503.486,06) liquidata a titolo
risarcitorio e l’indennità di occupazione legittima (in €
190.957,68) in relazione all’effettiva e maggiore
estensione dell’area occupata; ha rigettato la domanda
risarcitoria per il dedotto danno all’attività commerciale
esercitata sul un terreno confinante (part. 329).
I sig. Gentile ed Egizio ricorrono per cassazione sulla
base di tre motivi, cui resiste l’Anas. La società ICORI
non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Nel primo motivo i ricorrenti imputano alla corte del
merito violazione di legge per avere escluso
l’applicabilità della sentenza della Corte costituzionale
n. 349/2007, avendo ritenuto erroneamente che con l’appello
avverso la sentenza non definitiva essi avessero consumato
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sentenza definitiva che si era limitata a decidere su

il potere di contestare l’applicazione del criterio
riduttivo di calcolo del risarcimento del danno previsto
dal citato art. 5 bis, comma 7 bis. La corte del merito non
avrebbe considerato che il rapporto disciplinato dalla

affatto esaurito, avendo essi (nell’appello avverso la
sentenza non definitiva) contestato la misura economica
dell’indennizzo che chiedevano, quindi, di rideterminare.
Il secondo motivo deduce, per ragioni analoghe a quelle
esposte nel primo motivo, violazione di legge e vizio di
motivazione per avere applicato il criterio riduttivo
previsto dal citato art. 5 bis (già dichiarato
incostituzionale al momento della sentenza impugnata) con
riguardo al deprezzamento dei suoli rimasti in loro
proprietà, nonostante che con l’appello immediato essi
avessero espressamente chiesto la determinazione di tale
voce di danno secondo il valore venale; inoltre lamentano
che anche l’indennità di occupazione legittima sia stata
determinata in una percentuale del valore del suolo
calcolato secondo il predetto criterio riduttivo.
I predetti motivi, da esaminare congiuntamente perché
connessi tra loro, sono fondati.
E’

orientamento consolidato nella giurisprudenza di

legittimità che, a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 349 del 2007, non è più possibile
6

suddetta norma, dichiarata incostituzionale, non era

applicare il criterio riduttivo previsto dal citato art. 5
bis, comma 7 bis, dichiarato incostituzionale nella parte
in cui prescriveva un criterio riduttivo rispetto a quello
del valore venale del bene ablato, a meno che il rapporto

formazione del giudicato o per essersi verificato altro
evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del
rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate
preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non
direttamente investite, nei loro presupposti normativi,
dalla pronuncia di incostituzionalità. Deve pertanto farsi
applicazione del criterio del valore venale anche se
l’impugnazione avverso la sentenza determinativa
dell’indennizzo non abbia sollevato questione sulla legge
applicabile, ma abbia contestato la quantificazione in
concreto dell’importo liquidato, posto che in ordine
all’individuazione del criterio legale di stima non è
concepibile la formazione di un giudicato autonomo, né
l’acquiescenza allo stesso, dato che il bene della vita
avuto di mira è l’indennizzo da liquidare nella misura di
legge (v., tra le tante, Cass. n. 10379/2012, n.
22409/2008, n. 26275/2007).
A questi principi la corte del merito non si è attenuta,

non avendo considerato che, impugnando la sentenza non
definitiva, i ricorrenti avevano messo comunque in
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non sia esaurito in modo definitivo, per avvenuta

discussione la misura dell’indennizzo e che ciò era
sufficiente a impedire la formazione di un giudicato, a
nulla rilevando che essi non avessero contestato la
applicabilità o dedotto l’illegittimità del criterio

deliberazione della sentenza, era stata già dichiarata
incostituzionale.
Nel terzo motivo si deduce violazione dell’art. 2043 c.c. e
vizio di motivazione per avere escluso il risarcimento del
danno per la riduzione dell’attività commerciale (di
rivendita di materiale edilizio) svolta nella parte residua
del fondo.
Il motivo è inammissibile.
La corte di appello, con motivazione congrua e immune da
vizi logici, ha rigettato la domanda risarcitoria per
mancata prova del danno e del nesso causale, avendo
ritenuto che il terreno sul quale era stata realizzata
l’opera pubblica era coltivato e non utilizzato né
utilizzabile a servizio dell’attività commerciale; inoltre,
al contrario di quanto dedotto, la realizzazione
dell’infrastruttura viaria aveva arrecato un beneficio e
non un danno all’area residua.
La censura proposta

(ex

art. 360 n. 3 c.p.c.) non è

formulata mediante la specifica indicazione di affermazioni
in diritto contenute nella sentenza impugnata che si
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riduttivo previsto da una norma che, al momento della

assumano in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie. Infatti i ricorrenti si sono limitati a
dedurre che i giudici del merito non avrebbero tenuto conto
delle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio che

esercitata l’attività commerciale a quella ablata, con la
conseguenza che risultava compromessa la possibilità di
svolgervi servizi connessi

(di trasporto,

scarico,

parcheggio); inoltre la corte erroneamente avrebbe dato
rilievo alla presenza di colture sui terreni ablati,
essendo queste presenti solo su una parte dei terreni.
Verrebbe in gioco quindi non un errore di diritto, ma un
errore nella ricostruzione del fatto, in quanto tale
censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c. A tal fine è noto però
che il giudice di legittimità non ha il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta
al suo vaglio, bensì solo quello di controllare la
correttezza giuridica e la coerenza logico-formale della
motivazione, senza alcuna possibilità di revisione del
ragionamento decisorio del giudice del merito, essendo il
sindacato

di

legittimità

limitato

alla

verifica

dell’esistenza di vizi interni alla (e desumibili solo
dalla) motivazione in fatto, non già avendo riguardo al
nesso di possibile contraddizione tra il decisum e altri
elementi istruttori che si assume non esaminati o non
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aveva evidenziato la contiguità dell’area su cui era

apprezzati in modo conforme alle proprie aspettative (v.,
tra le tante, Cass. n. 19958/2013, n. 6694/2009). Il
ricorrente per cassazione che prospetti un vizio di
motivazione non può limitarsi – come hanno fatto i sig.

e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa a
quella seguita nella sentenza impugnata, sebbene sia
supportata dalla possibilità o dalla probabilità di
corrispondenza alla realtà fattuale, essendo invece
necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia
come l’unica possibile, dovendo il vizio in questione
incidere su un fatto “decisivo del giudizio”, non essendo
consentito a questa Corte, che è giudice di sola
legittimità, scegliere sulla base di criteri possibilistici
o

probabilistici tra due prospettazioni logiche e

alternative (v. Cass. n. 261/2009).
In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi, la
sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di
appello di Napoli che, in diversa composizione, dovrà
calcolare gli indennizzi dovuti ai sig.ri Pasquale Gentile
e Luisa Egizio sulla base del valore di mercato del bene
acquisito dall’amministrazione, nonché provvedere alla
liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

10

Gentile ed Egizio – a prospettare una spiegazione dei fatti

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara
inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione, cui rimette la liquidazione delle spese del

Roma, 6 maggio 2014.

giudizio di cassazione.

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