Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15128 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15128 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 15743-2007 proposto da:
LE LINGUACCE DEL FURNE’ S.R.L. (P.I. 01925740064),
già LE LINGUACCE DEL FURNE’ DI PATERNA MARIO & C.
S.A.S., in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 02/07/2014

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FLAMINIA 109, presso l’avvocato BERTOLONE BIAGIO,
2014
868

che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato

OCCHIONERO

GIANLEONARDO,

giusta

procura in calce al ricorso;
– ricorrente
4

1

contro

CONSORZIO MERCATO COPERTO, in persona del legale
rappresentante

pro

tempore,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIORGIO BAGLIVI 8, presso
l’avvocato BROZZI ALESSANDRO, che lo rappresenta,

ASTI – Rep.n. 43035 del 8.4.2014;
– Cr« 003T871,0 0 —

avverso la sentenza n.

controricorrente

149/2007 della CORTE

D’APPELLO di TORINO, depositata il 02/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 15/04/2014 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito,

per

la

ricorrente,

l’Avvocato

BROZZI

ALESSANDRO (deposita memoria di costituzione di
nuovo difensore in copia) che si riporta;
udito,

per

il

controricorrente,

l’Avvocato

LORENZELLI SABINA, con delega, che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

giusta procura speciale per Notaio GIORGIO GILI di

Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo,

assorbiti i

restanti.

2

Svolgimento del processo
La società “Le Linguacce del Furnè” in data 21 ottobre
2002 acquistò l’azienda “Il giardino del dolce” di Risso
Maria & C e subentrò nella gestione all’interno del
Consorzio del Mercato Coperto di Asti, ma con delibera 3

gennaio 2003, comunicata il 20 gennaio, fu esclusa dal
Consorzio, a norma dell’art. 7 dello Statuto, essendole
stata addebitata grave inosservanza delle disposizioni del
contratto e del regolamento del Consorzio, avendo essa sin
da subito esercitato un’attività (di panetteria e
pasticceria in genere) diversa da quella di produzione
propria di gelateria e pasticceria siciliana cui era
subentrata a seguito dell’acquisto dell’azienda. La
società impugnò la suddetta delibera dinanzi al Tribunale
di Asti che, con sentenza 20 dicembre 2004, la annullò.
Il giudizio di appello promosso dal Consorzio Mercato
Coperto, nel quale la società “Le Linguacce del Furnè” è
rimasta contumace, è stato definito dalla Corte di appello
di Torino, con sentenza 2 febbraio 2007, che ha accolto il
gravame e rigettato la domanda della società, ritenendo
giustificata la sua esclusione dal Consorzio, avendo
esercitato un’attività non autorizzata, in violazione del
regolamento interno (che imponeva al titolare del
posteggio presso il mercato coperto di porre in vendita

42,

esclusivamente i generi alimentari autorizzati in favore
della dante causa cui la società “Le Linguacce del Furnè”
3

era subentrata) per un periodo di tempo significativo (dal
22 ottobre 2002 al 3 gennaio 2002) e tenuto conto che la
società appellata non aveva contestato di avere esercitato
la diversa attività di rivendita che rivendicava di avere
diritto di esercitare; la corte ha poi ritenuto assorbiti

gli ulteriori profili di doglianza sollevati dalla società
attrice nel giudizio di primo grado perché non riproposti
a norma dell’art. 346 c.p.c., essendo rimasta contumace, e
ha condannato la soccombente alle spese di entrambi i
gradi del giudizio.
Avverso questa sentenza la società “Le Linguacce del
Furnè” ricorre per cassazione sulla base di dodici motivi,
cui resiste il Consorzio Mercato Coperto. Entrambe le
parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Nei primi quattro motivi è censurata l’affermazione della
corte del merito secondo cui il contraddittorio era stato
regolarmente costituito in grado di appello.
In particolare, nel primo motivo è dedotta la violazione
degli artt. 163 bis, 164, comma 1, e 342, comma 2, c.p.c.
(in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), nonché vizio di
motivazione, poiché il termine a comparire concesso
all’appellato, perentorio e inderogabile, era stato
inferiore a quello (allora previsto) di sessanta giorni
liberi rispetto alla data dell’udienza indicata in

4

citazione (quest’ultima notificata il 13 aprile 2005 per
la prima udienza dell’8 giugno 2005).
Nel secondo è dedotta la violazione degli artt. 168 bis,
359 c.p.c. e 132 disp. att. c.p.c. (in relazione all’art.
360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte ritenuto

implicitamente che lo spostamento dell’udienza (al 21
giugno 2005) con decreto (13 maggio 2005) del presidente
di sezione avesse sanato il mancato rispetto dei termini a
comparire: invece quel decreto, che genericamente
richiamava l’art. 168 bis c.p.c., doveva intendersi emesso
a norma del quarto comma di tale disposizione e, quindi,
era inidoneo a incidere sui termini processuali, anche
perché il quinto comma dell’art. 168 bis sarebbe
inapplicabile nel giudizio di appello.
Nel terzo è dedotta la violazione degli artt. 163 bis, 168
bis e 342 (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per
avere ritenuto che fosse stato rispettato il termine
minimo a comparire di sessanta giorni computando anche i
giorni tra la data indicata in citazione e quella
dell’udienza differita, senza considerare che, ai fini del
rispetto dei termini minimi che l’appellante deve
assegnare all’appellato, nulla cambia se lo spostamento
dell’udienza indicata in atto di citazione sia avvenuto ai
sensi del quarto o del quinto comma dell’art. 168 bis, non
potendosi ritenere che il differimento a norma del quinto

5

comma possa sanare il termine inferiore al minimo di legge
assegnato dall’appellante all’appellato.
Nel quarto è dedotta la violazione degli artt. 163 bis,
164, 168 bis e 342 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4
c.p.c.), per avere la corte ritenuto rispettato il termine

minimo a comparire sommando termini di per sé inferiori al
minimo legale, cioè i giorni (55) tra la notifica della
citazione e l’udienza ivi fissata a quelli tra detta
udienza e quella differita ex art. 168 bis c.p.c., in tal
modo violando il principio secondo cui il differimento
dell’udienza deve rispettare da solo e integralmente il
termine minimo a comparire.
I suddetti motivi sono fondati nei termini di cui si dirà.
La questione giuridica sottoposta all’esame di questa
Corte è se i termini minimi a comparire di cui all’art.
163 bis c.p.c. decorrenti dalla data della notifica della
citazione (in primo grado e in appello) debbano essere
calcolati con riferimento alla data dell’udienza indicata
in citazione oppure alla data dell’udienza differita con
decreto emesso a norma dell’art. 168 bis, comma 5, c.p.c.:
nel primo caso vi sarebbe una violazione non sanata del
termine minimo di comparizione, non essendosi l’appellato
(attuale ricorrente) costituito e non avendo il giudice
ordinato la rinnovazione della citazione; nel secondo
caso, invece, il termine di comparizione, benché
originariamente inferiore al minimo legale, beneficerebbe
6

del prolungamento derivante dal differimento dell’udienza
ex art. 168 bis c.p.c., con la conseguenza che sarebbe
così ripristinata la validità del rapporto processuale in
grado di appello.
Sono necessarie due premesse in senso contrario a quanto

dedotto dal ricorrente: la prima è che l’udienza dell’8
giugno 2005 indicata in citazione è stata differita al 21
giugno 2005 con decreto che richiamava l’art. 168 bis
c.p.c. e, implicitamente, il comma 5, tale dovendosi
ritenere il decreto di differimento adottato dal
presidente di sezione dopo la nomina dell’istruttore (v.
Cass. n. 28571/2013, n. 8897/2005); la seconda è che
indiscutibile è l’applicabilità del citato art. 168 bis,
comma 5, nel giudizio di appello, come si desume
indirettamente dall’art. 343, comma l, c.p.c. secondo cui
il convenuto è tenuto a proporre appello incidentale “a
pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all’atto
della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art. 166”,
disposizione quest’ultima che, con efficacia generale e
certamente non incompatibile con il giudizio di appello
(art. 359 c.p.c.), assegna al convenuto per la
costituzione il termine di “almeno venti giorni prima
dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di
citazione […] ovvero almeno venti giorni prima
dell’udienza fissata a norma dell’articolo 168 bis, quinto
comma”.
7

Nella giurisprudenza di questa Corte è chiara la
differente ratio dei commi 4 e 5 dell’art. 168 bis c.p.c.:
il comma 5 attribuisce al giudice il potere di differire
la prima udienza – dalla data indicata nell’atto di
citazione ove corrispondente ad un giorno nel quale il

giudice tenga udienza – ad altra data successiva in
considerazione delle esigenze d’una razionale
organizzazione della trattazione delle cause
sopravvenienti in relazione a quelle pendenti, ond’è che
elementi costitutivi della fattispecie sono la data
d’udienza corrispondente a quella indicata nell’atto di
citazione od alla prima successiva cui la trattazione sia
rimandata d’ufficio ex comma 4 e l’adozione d’un
provvedimento di differimento per motivi inerenti
all’organizzazione del proprio lavoro (v. Cass. n.
13746/2002).
E chiara è anche la differenza delle due ipotesi quanto
agli effetti, ai fini della costituzione del convenuto e
del compimento di alcune attività difensive: con riguardo
alla proposizione della domanda riconvenzionale in primo
grado e dell’appello incidentale nel giudizio di secondo
grado, l’unica fattispecie che giustifica la mancata
considerazione dell’originaria data dell’udienza fissata
nell’atto di citazione è quella – del tutto diversa da
quella prevista nel comma 4 – contemplata dal comma 5
dell’art. 168 bis c.p.c., la quale ricorre allorché il
8

giudice istruttore designato o il presidente di sezione,
nei cinque giorni dalla presentazione del fascicolo,
ritengano, con decreto motivato, di differire la data
della prima udienza, fattispecie nella quale, a norma
dell’art. 166 c.p.c., il termine di “venti giorni prima”

va appunto computato in riferimento alla data della nuova
udienza (Cass. n. 1567/2011, n. 8897/2005, n. 9351/2003).
Le ragioni che sono alla base del diverso trattamento tra
le due ipotesi considerate nei commi 4 e 5 dell’art. 168
bis c.p.c. non giustificano, tuttavia, l’adesione alla
tesi, sostenuta dal Consorzio controricorrente, secondo
cui il termine di comparizione concesso dall’attore o
dall’appellante dovrebbe intendersi come integrato o
prolungato per effetto del decreto di differimento
adottato a norma del comma 5, con conseguente implicita e
automatica sanatoria della nullità della citazione ove la
data dell’udienza di comparizione ivi fissata non sia
rispettosa del termine minimo

ex

art. 163 bis c.p.c.

Questa tesi riecheggia l’opinione di quella parte della
dottrina la quale ritiene che il differimento ex art. 168
bis, comma 5, produca effetti sull’intera fase
introduttiva del processo e nei confronti di tutte le sue
parti, venendo a concretare non un semplice rinvio
dell’udienza, ma una vera e propria nuova vocatio in jus
del giudice, sostitutiva di quella originaria dell’attore.

9

A questa interpretazione si possono opporre solidi
argomenti in senso contrario.
Innanzitutto, la

vocatio in jus

con l’indicazione del

giorno dell’udienza è atto esclusivamente della parte
attrice o appellante che deve rispettare i termini minimi

di comparizione che sono stabiliti dalla legge (art. 163
bis c.p.c.), come si desume dagli artt. 163 n. 7 e 342,
comma 2, c.p.c. (quest’ultimo assegna al convenuto il
diritto di avvalersi di termini liberi intercorrenti tra
la notifica della citazione e quella della prima udienza
di trattazione “non minori di quelli previsti
dall’articolo 163 bis”).
L’assegnazione di un termine a comparire inferiore a
quello legale è causa di nullità della citazione, a norma
dell’art. 164 c.p.c., che può essere sanata soltanto
mediante rinnovazione della citazione disposta dal giudice
in un termine perentorio o per effetto della costituzione
del convenuto il quale, se deduce l’inosservanza del
termine, ha comunque diritto alla fissazione di una nuova
udienza.
La tesi secondo cui il decreto di differimento
dell’udienza ex art. 168 bis, comma 5, c.p.c. verrebbe a
sanare la nullità già verificatasi, pur non ricorrendo
alcuna delle sopra ricordate ipotesi di sanatoria previste
dall’art. 164, commi 2 e 3, c.p.c., implicherebbe la
inammissibile produzione di effetti da parte di un atto
10

che è nullo e che tale rimane, non essendo raggiunto lo
scopo a cui è destinato (art. 156, comma 3, c.p.c.).
Il fatto che il convenuto o appellato abbiano, di fatto o
inconsapevolmente, potuto beneficiare di un termine a
comparire corrispondente a quello minimo legale per

effetto del prolungamento del termine originario grazie a
un decreto di differimento di cui non è prevista la
comunicazione alle parti non costituite, non è sufficiente
a far ritenere raggiunto davvero lo scopo della norma
concernente i termini minimi a comparire. Tale scopo può
dirsi raggiunto solo quando l’atto di citazione sia stato
notificato al convenuto nel rispetto del termine minimo a
comparire che per essere conforme a legge dev’essere
unico; altrimenti, verrebbe compromesso il suo diritto di
difesa,

nel

quale

è

implicita

la

facoltà

di

autodeterminarsi in modo consapevole, anche decidendo di
non costituirsi in giudizio e confidando nell’ordine di
rinnovazione della citazione. Il convenuto fa legittimo
affidamento sulla data indicata nell’atto di citazione per
valutare la ritualità della instaurazione del giudizio,
vale a dire il rispetto del termine minimo a comparire che
è sanzionato a pena di nullità dell’atto.
Neppure sarebbe possibile ritenere rispettato il termine a
comparire in virtù della sommatoria di spezzoni di termini
di per sé inferiori al minimo legale (quello assegnato in
citazione e quello risultante dal differimento ex art. 168
11

bis, comma 5). Una dimostrazione è data dal principio
secondo cui i termini minimi che devono intercorrere, a
norma dell’art. 163 bis c.p.c., fra il giorno della
notificazione della citazione e quello di comparizione,
devono essere osservati dall’attore, a pena di nullità,

anche quando egli proceda alla rinnovazione della notifica
dell’atto introduttivo, a norma dell’art. 291 c.p.c.,
senza che possa rilevare che l’inosservanza di quei
termini derivi dalla data fissata per detta rinnovazione
nell’ordinanza del giudice (Cass. n. 1126/1988).
Il Consorzio controricorrente ha obiettato che dall’art.
70 bis disp. att. c.p.c., secondo cui “I termini di
comparizione, stabiliti nell’articolo 163 bis del codice,
debbono essere osservati in relazione all’udienza fissata
nell’atto di citazione, anche se la causa è rinviata ad
altra udienza a norma dell’articolo 168 bis quarto comma
dello stesso codice”, dovrebbe desumersi l’opposta
interpretazione che il differimento dell’udienza a norma
dell’art. 168 bis, comma 5, c.p.c. varrebbe a prolungare
anche i termini di comparizione.
Il raccordo tra il citato art. 70 bis, inserito dalla
novella processuale del 1950, e gli attuali artt. 166 e
168 bis c.p.c., modificati dagli artt. 1 e 2 del d.l. n.
571/1994, conv. con mod. nella legge n. 673/1994, risulta
non più armonico, alla luce del nuovo comma 5 dell’art.
168 bis che consente il differimento dell’udienza di
12

comparizione con apposito decreto del giudice. Il suddetto
decreto è rilevante ai fini della costituzione e del
compimento di alcuni atti difensivi del convenuto (art.
167, comma 2, c.p.c.), ma non ai fini del computo dei
termini di comparizione (nonostante un

obiter

in senso

contrario presente in Cass. n. 16526/2003). L’opposta
interpretazione non è quindi condivisibile, essendo volta
a innovare il regime di validità di un atto processuale,
in mancanza di una disposizione legislativa chiara e
inequivoca in tal senso.
In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di
diritto: ai fini del calcolo dei termini minimi a
comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c., decorrenti dalla
data della notifica della citazione (in primo grado e in
appello), si deve fare riferimento alla data dell’udienza
fissata in citazione; nel caso di inosservanza dei
predetti termini, la nullità della citazione non è sanata
quando quei termini risultino rispettati per effetto del
differimento dell’udienza a norma dell’art. 168 bis, commi
4 e 5, c.p.c.
Nel quinto motivo è dedotta la violazione degli artt. 163
n. 7, 164, comma 1, 342 c.p.c. (in relazione all’art. 360
n. 4 c.p.c.), perché nell’atto di citazione in appello
mancava l’avvertimento all’appellato che, in caso di
tardiva costituzione oltre i venti giorni precedenti

13

l’udienza fissata, si sarebbe verificata la decadenza dal
.

proporre appello incidentale.
Il motivo è infondato. Questa Corte

(sez. un. n.

9407/2013) ha stabilito che l’art. 342 c.p.c. – che, nel
testo (applicabile ratione temporis)

sostituito dall’art.

50 della legge n. 353/1990, e prima dell’ulteriore
modifica di cui all’art. 54, comma 1, lett. a, del d.l. n.
83/2012, conv. in legge n. 134/2012, prevede che l’appello
si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria
dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione, “nonché
le indicazioni prescritte nell’art.163 c.p.c.” – non
.

richiede che, in ragione del richiamo di tale ultima
disposizione,

l’atto di appello contenga anche lo

specifico avvertimento (ex art. 163, comma 3, n. 7,
c.p.c.) che la costituzione oltre i termini di legge
implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c.,
atteso che queste ultime si riferiscono solo al regime
delle decadenze nel giudizio di primo grado e non è
possibile, in mancanza di un’espressa previsione di legge,
estendere la prescrizione di tale avvertimento alle
decadenze determinate in appello dalla mancata tempestiva
costituzione della parte appellata.
Sono assorbiti gli ulteriori motivi dì ricorso, che
deducono violazioni di legge e vizi di motivazione della
decisione di rigetto della domanda della società “Le
Linguacce del Furnè”.
14

In conclusione, in accoglimento dei primi quattro motivi,
la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di
appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà fare
applicazione dell’enunciato principio di diritto e
decidere la causa nel merito ripristinando il
contraddittorio delle parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi quattro motivi del ricorso,
rigetta il quinto motivo e dichiara assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello
di Torino, in diversa composizione, cui rimette la
liquidazione delle spese ‘del giudizio di cassazione.
Roma, 15 aprile 2014.
Il cons. rel.

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