Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15125 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 31/05/2021), n.15125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2146-2018 proposto da:

D.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER

n. 44, presso lo studio dell’avvocato FELICE LAUDADIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO

MARIA FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4584/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/07/2017 R.G.N. 2682/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 4584/2017, decidendo sull’impugnazione proposta nei confronti del Comune di Napoli da D.A.A., confermava la pronuncia del locale Tribunale che aveva respinto la domanda del D.A. intesa ad ottenere l’annullamento del provvedimento notificatogli in data 13 febbraio 2010, con il quale lo stesso era stato dichiarato decaduto dal servizio, e la conseguente ricostituzione del rapporto.

Il D.A. era stato messo di conciliazione presso la sede di (OMISSIS) ma da tali funzioni era stato revocato dal Presidente del Tribunale di Napoli in data 14 giugno 1987; quindi, con provvedimento del 18 giugno 1997 n. 2636 della Giunta comunale di Napoli era stato dichiarato destituito da servizio a decorrere dal 14 giugno 1987 (data in cui le mansioni di messo gli erano state revocate dal Presidente del Tribunale di Napoli) per non aver prestato servizio da tale data, continuando a percepire la retribuzione, e fino al mese di agosto 1994, quando era stato diffidato a riprendere servizio ed a giustificare l’assenza, e per essersi presentato in servizio il 29 novembre 1994 senza fornire giustificazioni del suo prolungato allontanamento; tale provvedimento era stato annullato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 8873/2009; successivamente il Dirigente del Servizio delle Risorse umane del Comune di Napoli, con provvedimento n. 48 dell’8 febbraio 2010, lo aveva dichiarato decaduto dal servizio.

Aveva impugnato il predetto provvedimento di decadenza dal servizio e il Tribunale di Napoli aveva respinto il ricorso rilevando l’intervenuta decadenza dall’impugnativa ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6.

La Corte d’appello di Napoli confermava la suddetta statuizione.

2. Riteneva preliminarmente la Corte territoriale che il provvedimento impugnato avesse natura di atto dichiarativo della decadenza rientrante nella previsione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127 non abrogato dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

Escludeva che fosse rinvenibile nel sistema di cui al nuovo lavoro privatizzato una disciplina applicabile alla ipotesi della decadenza per l’assenza prolungata dal servizio rilevando che le norme di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e ss. riguardassero altre ipotesi di provvedimenti disciplinari.

Riteneva, pertanto, che la disciplina dovesse essere rinvenuta altrove ed in particolare, stante la previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, prima parte, nella L. n. 604 del 1966, art. 6.

Affrontando, poi, la questione, posta dal reclamante, della nullità del licenziamento in quanto adottato in violazione del giudicato amministrativo (nullità che avrebbe consentito di ritenere inapplicabile la decadenza di cui al citato art. 6), escludeva che si fosse formato tale giudicato evidenziando che la sentenza del Consiglio di Stato n. 8873/2009 non aveva operato alcun accertamento riguardo ai fatti ascritti al D.A. e che il disposto annullamento riguardava solo aspetti procedurali e cioè la perenzione del procedimento disciplinare per mancato rispetto dei termini.

Rilevava che lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza citata, aveva rimarcato che siffatto annullamento, stante la ragione che lo muoveva, precludeva la reiterazione di un procedimento disciplinare per quei fatti ma non ostava all’eventuale instaurazione o ripresa del diverso procedimento di decadenza per abbandono del servizio, di natura non disciplinare, previsto dal t.u. n. 3 del 1957, art. 127, lett. c), seconda parte.

Tanto precisato, osservava che dalla comunicazione del provvedimento di decadenza (13 febbraio 2010) alla proposizione del tentativo di conciliazione (12 maggio 2010) il termine di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6 fosse decorso.

3. Per la cassazione della sentenza D.A.A. ha proposto ricorso con tre motivi.

4. Il Comune di Napoli ha resistito con controricorso.

5. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia error in judicando e in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’inapplicabilità della L. n. 604 del 1966, art. 6 e dell’omessa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127 lett. c), comma 2.

Censura la sentenza impugnata per aver applicato una norma eccezionale e dunque di stretta interpretazione ad una ipotesi diversa dal licenziamento quale è quella di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127.

2. Il motivo è fondato nei termini di seguito illustrati.

Nella vicenda in esame si discute dell’adozione del provvedimento di decadenza dall’impiego ai sensi del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 127, comma 1, lett. c) e comma 2 conseguente al fatto oggettivo dell’inadempimento della prestazione del servizio per assenza ingiustificata per giorni 15 ed a quello soggettivo dell’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, del detto inadempimento.

Come si evince dagli atti di causa, era stato lo stesso Giudice amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8873) che, pur avendo annullato il provvedimento, assunto con la Delib. 18 giugno 1997, n. 2636 della Giunta comunale di Napoli, di irrogazione nei confronti del D.A. della sanzione disciplinare della destituzione a decorrere dal 14 giugno 1987, aveva osservato che tale annullamento, se precludeva la reiterazione di un procedimento disciplinare per quei fatti, tuttavia, non ostava all’eventuale instaurazione o ripresa del diverso procedimento di decadenza per abbandono del servizio, di natura non disciplinare, previsto dal t.u. n. 3 del 1957, art. 127, lett. c), seconda parte. Ad avviso del Giudice amministrativo, tale possibilità era da ricollegare alla tipologia di detta decadenza, diretta ad allontanare dall’amministrazione quei dipendenti che con il loro comportamento, pur dimostrando di voler mantenere in vita il rapporto, si sottraggano ai doveri che ne derivano ed il relativo provvedimento non richiedeva la previa diffida all’interessato (diversamente dall’altra ipotesi contemplata dalla stessa lett. c), una volta che si fossero verificati i presupposti di legge e riscontrato che l’inadempienza fosse sin dall’inizio ricollegabile al volontario comportamento dell’impiegato di sottrarsi ai doveri d’ufficio (così, sul punto, la motivazione del Giudice amministrativo).

Quello da ultimo adottato era, dunque, un provvedimento di tipo diverso rispetto al precedente, avente natura disciplinare ed annullato dal Giudice amministrativo.

Sulla diversa natura del provvedimento di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. c) la giurisprudenza amministrativa si è, invero, più volte espressa evidenziando che la decadenza dall’impiego per l’ipotesi ivi disciplinata è provvedimento vincolato di natura dichiarativa che trae il proprio presupposto dall’oggettivo riscontro dell’assenza dal servizio per un periodo di tempo non inferiore ai 15 giorni, durante il quale il dipendente non solo non abbia riassunto il servizio nel termine eventualmente prefissato, ma non abbia neanche prodotto documentazione inerente ad una causa impeditiva dell’assolvimento della prestazione lavorativa (v. Consiglio di Stato, Sez. III, 27 ottobre 2014, n. 5311; Cons. Stato, Sez. III, 15 luglio 2013, n. 3859; Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 148; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2004, n. 3153).

Si aggiunga che il Giudice amministrativo ha ritenuto ancora applicabile l’istituto della decadenza all’impiego pubblico contrattualizzato e, in alcune pronunce, ha anche affermato la propria giurisdizione (v. Consiglio di Stato, Sez. III, 20 aprile 2018, n. 2399; Consiglio di Stato, Sez. III, 10 luglio 2013, n. 3707).

La Corte costituzionale, nella decisione del 27 luglio 2007, n. 329, ritenendo ancora efficace, nell’impiego privatizzato, l’art. 128 medesimo D.P.R., ha ammesso la persistente efficacia altresì dell’art. 127, lett. d), ma solo di tal ipotesi che li rilevava (in tal senso, v. anche Consiglio di Stato, sez. III, n. 2399/2018 cit.).

Nella prospettiva della Pubblica Amministrazione, quello esercitato non è, il potere, discrezionale, tipico del licenziamento disciplinare (come si evince dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 8873 del 2009 intervenuta nella vicenda de qua, l’amministrazione aveva già consumato il potere disciplinare) bensì quello vincolato previsto dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. c).

Ed allora va considerato che, avendo il Comune scelto di percorrere tale via, in ossequio al principio dell’apparenza, aveva rappresentato nei confronti del dipendente la propria opzione verso quella diversa tipologia di provvedimento.

Ciò era sufficiente ad escludere che, da un punto di vista formale, si vertesse in alcuna delle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato riconducibili ad una scelta discrezionale del datore di lavoro.

Ed allora, tale essendo stata la valutazione datoriale, deve escludersi che all’adottato provvedimento possa applicarsi la decadenza prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 (nel testo ratione temporis vigente, anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 183 del 2010 ed alla L. n. 92 del 2012), norma dettata per le ipotesi di licenziamento del prestatore di lavoro per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo (e cioè, ex art. 3 medesima legge, determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa).

Ha, pertanto, errato la Corte territoriale nell’applicare, al caso di specie, la decadenza che il legislatore ha espressamente ricollegato ad ipotesi diverse da quella, nella specie, privilegiata dall’Amministrazione (impregiudicata essendo ogni valutazione di legittimità di tale scelta in rapporto ad una sopravvivenza dell’efficacia del suddetto D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. c), per effetto della contrattazione collettiva ovvero della normativa sopravvenuta e dell’adozione di un provvedimento che, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, è stato adottato ‘ora per allorà e cioè con decorrenza dal 14 giugno 1987, dal momento in cui si era verificata la situazione di fatto assenza ingiustificata – rispetto alla quale tale provvedimento avrebbe avuto natura meramente accertativa).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in judicando e in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 324 c.p.c. ed all’art. 2909 c.c. – violazione del principio generale di irretroattività degli atti amministrativi – omessa e insufficiente motivazione.

Censura la sentenza impugnata per aver violato il giudicato formatosi tra le parti costituito dalla decisione della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 8873 del 29 dicembre 2009 che aveva annullato il licenziamento inflitto dal Comune di Napoli per assenza ingiustificata dal servizio.

Rileva che il nuovo provvedimento decadenziale era stato adottato in pendenza del giudizio teso ad accertare la illegittimità del precedente licenziamento disciplinare adottato per fatti identici a quelli adottati a presupposto della misura decadenziale.

Assume che tale misura non poteva retroagire al 1987 in quanto per effetto della sentenza del Consiglio di Stato il rapporto era stato ricostituito da tale data.

4. Il motivo è infondato.

Dalle considerazioni svolte al punto sub 2. che precede si evince che si è trattato di provvedimenti adottati sulla base di presupposti diversi.

Ciò ha determinato l’irrilevanza delle affermazioni di cui alla pronuncia del Giudice amministrativo circa l’intervenuta consumazione del potere disciplinare, avendo, come detto, l’Amministrazione esercitato il potere di decadenza dall’impiego di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 127, comma 1, lett. c).

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Censura la sentenza impugnata per aver omesso l’esame del merito della controversia.

6. Il motivo è assorbito nella valutazione di fondatezza del primo motivo di ricorso.

7. Conclusivamente va accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, assorbito il terzo.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Napoli che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

8. Non sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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