Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15121 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 31/05/2021), n.15121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26945-2017 proposto da:

JANSSEN CILAG S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI PIETRA N 26,

presso lo studio dell’avvocato LOREDANA RONDELLI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

D.B.M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI CONDOTTI 91, C/0 AVV PANNUNZIO, presso lo studio dell’avvocato

MARIA ROSARIA MOZZETTI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5573/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/11/2016 R.G.N. 4127/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che, in parziale accoglimento delle domande proposte da D.B.M.V. nei confronti della Janssen Cilag s.p.a., aveva accertato la mancata osservanza da parte di quest’ultima dell’Accordo Sindacale siglato in data 25/2/2005 e dichiarato la intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 3/2/2006, ordinando la riammissione in servizio dei ricorrente e condannando la società alla corresponsione di un’indennità pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Nel pervenire a tale convincimento la Corte territoriale premetteva che il lavoratore era stato assunto in data 8/9/2000 in qualità di operaio cat. E/3, prima con contratti di lavoro interinale e successivamente, in virtù di due contratti a tempo determinato. Deduceva che il lavoratore aveva prospettato la violazione da parte datoriale, dell’Accordo sindacale siglato il 25/2/2005 con il quale la società si era obbligata a convertire in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, quelli di almeno trenta lavoratori, nel rispetto dei criteri di scelta costituiti da esigenze tecnico-produttive ed organizzative, e dalla maggiore durata dell’attività svolta alle dipendenze o comunque utilizzata dalla società; si era infatti doluto che la società, in violazione dei criteri summenzionati, aveva accordato preferenza nella conversione del contratto di lavoro, ad altri lavoratori dotati di minore esperienza lavorativa in azienda.

Osservava la Corte, condividendo l’iter motivazionale percorso dal primo giudice, che la prospettazione dell’originario ricorrente aveva rinvenuto positivo riscontro alla stregua della medesima documentazione prodotta da parte della società, essendo emerso che il personale cui era stata riservata detta conversione contrattuale, possedeva il medesimo inquadramento contrattuale ed una anzianità lavorativa inferiore a quella del D.B., laddove nulla era stato dedotto da parte datoriale in ordine alle “esigenze tecnico-organizzative”.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la Janssen Cilag s.p.a. sulla base di quattro motivi successivamente illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– 1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,414 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Ci si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto che il lavoratore avesse contestato l’applicazione di entrambi i criteri dell’accordo, ivi compreso quello attinente alle esigenze tecnico-organizzative, erroneamente interpretando il ricorso introduttivo del giudizio.

Si deduce la genericità della contestazione di violazione dell’accordo sindacale sotto il profilo dei criteri di selezione del personale, formulata dal D.B.; si osserva quindi che in mancanza di una valida critica al criterio delle esigenze tecnico-organizzative e produttive poste a fondamento dell’azione, la pronunzia impugnata era da ritenersi affetta da error in procedendo perchè, in violazione dei precetti sanciti dall’art. 112 c.p.c., il giudicante aveva pronunciato d’ufficio su eccezione che solo la parte avrebbe potuto proporre.

2. In via di subordine con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,414 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si assume che, anche ove si ritenessero impugnati entrambi i criteri di cui all’accordo sindacale, la domanda attorea andrebbe comunque rigettata essendo stato vulnerato il principio processuale alla cui stregua “la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento, è tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la proposizione della. domanda”.

Si deduce che la mera affermazione di violazione dei criteri previsti dall’accordo sindacale senza null’altro specificare con riferimento al criterio delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, non era sufficiente ad integrare l’onere di allegazione richiesto dall’art. 414 q.p.c.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi per le ragioni di seguito esposte.

Non può sottacersi, in via di premessa, il rilievo circa la ricorrenza di profili di inammissibilità delle censure, connessi alla tecnica redazionale adottata, che reca la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, così dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (vedi ex plurimis Cass. 6/5/2016 n. 9228) e realizzando una negazione della regola della chiarezza che comporta un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi, le parti concernenti le separate censure.

4. Deve, in ogni caso escludersi (con riferimento in particolare al primo motivo) che sia configurabile nella statuizione impugnata, un error in procedendo.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, è da ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (vedi ex multis Cass. 3/7/2019 n. 17897).

E’ stato altresì affermato il principio, al quale si intende dare continuità, in base al quale l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel “thema decidendum”, tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (cfr. Cass. 13/8/2018 n. 20718, Cass. 27/10/2015 n. 21874).

L’interpretazione della domanda è, dunque, compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazipne – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (vedi Cass. 14/5/2018 n. 11631, Cass. 10/9/2013, n. 20727; Cass. 9/9/2008 n. 22893), ed il risultato di tale operazione che deve riguardare la valutazione complessiva dell’atto (ex plurimis, vedi Cass. n. 20727/2013) non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità se congruamente motivato.

Nello specifico la Corte distrettuale ha proceduto alla ricostruzione della domanda tramite la lettura complessiva dell’atto e la valutazione delle conclusioni ivi rassegnate ritenendo – secondo un procedimento logico congruamente motivato – che fosse stato puntualmente censurato dal ricorrente il procedimento seguito dalla società, volto alla individuazione del personale per il quale disporre la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, sulla base del duplice criterio enunciato in sede di accordo sindacale.

5. Al riguardo, la società lamenta ulteriormente l’inadempimento da parte del ricorrente, agli oneri di allegazione sanciti dall’art. 414 c.p.c. con riferimento alla. enunciazione dei criteri di scelta indicati nell’accordo sindacale, che si assumevano violati.

Anche sotto siffatto versante la censura non è condivisibile.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, invero, i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata dal combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., nn. 4 e 5 e dall’art. 416 c.p.c., comma 3, (cfr. al riguardo Cass. 17/4/2002 n. 5526, Cass. S.U. 17/6/2004 n. 11353, Cass. 4/10/2013 n. 22738).

In tale prospettiva, ed in applicazione dei ricordati dicta, la Corte distrettuale ha congruamente interpretato l’atto introduttivo del giudizio, qualificando come specifica l’indicazione del criterio di scelta (esigenze tecnico-organizzative), alla quale non aveva corrisposto, secondo l’onere gravante sulla parte convenuta ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3, la benchè minima contestazione da parte societaria, la quale aveva omesso di esplicare le ragioni tecnico-organizzative che avevano presieduto alla assunzione del personale a tempo indeterminato.

Quale argomento di chiusura, il giudice del gravame ha quindi puntualmente osservato come il primo giudice avesse precisato che le assunzioni di personale con minore anzianità del ricorrente avevano riguardato lavoratori aventi il suo medesimo inquadramento contrattuale e come detta statuizione non fosse stata censurata dalla società, dovendo in tal guisa ritenersi circostanza acquisita, che anche il criterio delle ragioni tecnico-organizzative – la cui violazione era stata puntualmente denunciata in ricorso e non era risultata oggetto di specifica contestazione da parte datoriale – era stato in concreto vulnerato.

In definitiva, sotto tutti i delineati aspetti, le doglianze formulate dalla società non sono condivisibili e vanno pertanto, disattese.

6. Gli ultimi due motivi, sotto il profilo di violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,345 e 437 c.p.c. (terzo motivo) e di violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 1362,1363, 1364,1371,2697 e 2729 c.c. (quarto motivo) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, attingono la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno dichiarato inammissibile e, comunque, respinto la denuncia formulata dalla società in grado di appello, in ordine alla inapplicabilità al D.B. dell’accordo, perchè riguardante un settore, il Medical Device, di cui il lavoratore non faceva parte, essendo addetto al diverso settore Pharma. Si critica in particolare la statuizione con la quale la Corte di merito ha dichiarato inammissibille per novità, la contestazione avanzata dalla società, sul rilievo che nello specifico non era stata formulata una eccezione in senso stretto che soggiaceva ai limiti sanciti dall’art. 437 c.p.c., ma una eccezione in senso lato che si confrontava con la allegazione da parte del ricorrente, di uno degli elementi costitutivi del diritto affermato. Quanto alla reiezione della medesima contestazione, si prospetta la violazione dei canoni ermeneutici applicabili agli atti contrattuali, argomentandosi che i giudici di merito non avrebbero conferito adeguato rilievo al criterio letterale al quale l’esegesi giurisprudenziale conferisce invece, valenza prioritaria rispetto agli altri canoni applicabili, soggettivi ed oggettivi. Si deduce che l’accordo sindacale in oggetto, era da reputarsi limitato al solo settore Medical Device ed era ispirato “dalla preoccupazione per i riflessi occupazionali derivanti dalla prossima riduzione di tale reparto”. Si fa inoltre richiamo alla ulteriore clausola negoziale secondo cui i contenuti dell’accordo sarebbero stati “estensibili ad alcune particolari situazioni della Divisione Pharma” e si osserva che, se le parti avessero voluto concludere un accordo applicabile all’intero stabilimentó, quindi sia alla divisione Pharma (cui apparteneva il ricorrente), sia alla divisione Medical Device, detta clausola non avrebbe avuto alcuna ragion d’essere.

7. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi non sono meritevoli di accoglimento. Ed invero, al di là di ogni considerazione inerente alla contestazione avanzata dalla società con riferimeno al dichiarato profilo di novità della questione attinente alla sfera di applicabilità dell’Accordo sindacale al solo settore Medical Device, e con specifico riferimento alla esegesi dell’atto in concreta` elaborata dai giudici del gravame, devono richiamarsi i consolidati principi enunciati da questa Corte, in base ai quali è riservata al giudice di merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, in ragione della sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), sicchè essa non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (vedi Cass. n. 2625 del 4/2/2010, Cass. 8/2/2010 n. 2742, Cass. 15/2/2010 n. 3459, Cass. 18/3/2016 n. 5461 in motivazione).

A tale riguardo è stato altresì precisato che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficientel’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato.

Nè, per sottrarsi al sindacato, di legittimità, è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra.

Non è sufficiente, in definitiva, una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e ò più favorevole) interpretazione rispetto a quella addittata dal giudicante (vedi per tutte Cass. 22/2/2007 n. 4178, Cass.6/6/2013 n. 14318, Cass. 10/2/2015 n. 2465).

Tuttavia, è proprio questo quanto verificatosi nel caso di specie.

La critica mossa all’interpretazione della declaratoria contrattuale per come articolata è generica, in quanto difetta la allegazione, con riferimento alla violazione dei canoni interpretativi, del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostatd, così sostanziandosi nella mera allegazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.

Essa si risolve, dunque, in una mera enunciazione di natura contrappositiva, inidonea ad inficiare la solida e congrua argomentazione elaborata dal giudice del gravame il quale, nell’esercizio della attività ermeneutica ad esso riservata, aveva rimarcato come il tenore letterale dell’Accordo in nessun modo specificasse che “l’obbligo di conversione avrebbe riguardato solo ed esclusivamente i lavoratori impegnati nel Medical Device Cordice”, precisando ulteriormente che la sua stessa attuazione aveva riguardato anche lavoratori del reparto Pharma.

8. In definitiva, sotto tutti i profili sinora delineati, il ricorso non può ritenersi meritevole di condivisione.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

 

 

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