Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15121 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15121 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

zione usurpativa

SENTENZA
sul ricorso proposto da
AZIENDA AGRICOLA IL CAVALLACCIO S.A.S. DI PIERI FABIO E GHERI
PAOLA & C. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t. Fabio Pieri, elettivamente domiciliata in Roma, al lungotevere Flaminio n. 46, presso il dott. GIAN
MARCO GREZ, unitamente all’avv. FELIX HOFER del foro di Firenze, dal quale
è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al ricorso
o4o7 -Ti-0 14-8
RICORRENTE

contro
COMUNE DI FIRENZE, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Dora n. 1, presso l’avv. MARIA ATHENA LORIZIO, dalla quale,
unitamente all’avv. ANDREA SANSONI del foro di Firenze, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso
C
0A1,0-+-44 04g4CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

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Data pubblicazione: 02/07/2014

avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 582/08, pubblicata il 14
aprile 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31 gennaio

uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Maurizio VELARDI, il quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – L’Azienda Agricola Il Cavallaccio S.a.s. di Pieri Fabio e Gheri Paola &
C. convenne in giudizio il Comune di Firenze, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la perdita della proprietà di alcuni fondi siti in Firenze, adiacenti alle vie del Cavallaccio e Simone Martini e riportati in Catasto al foglio 68, particelle 59, 61, 62, 65, 1928, 1929 e 1934-1944, irreversibilmente trasformati per la realizzazione delle opere previste dal Piano Straordinario Casa
1987.
A fondamento della domanda, espose che l’occupazione, autorizzata con decreto del 7 dicembre 1990, e l’espropriazione, disposta con decreto del 23 settembre 1993, avevano avuto luogo in carenza assoluta di potere, in quanto le delibere
con cui si era proceduto alla localizzazione delle opere, avente valore di dichiarazione di pubblica utilità, non contenevano la fissazione dei termini per l’inizio ed
il completamento delle espropriazioni e dei lavori.
1.1. — Con sentenza non definitiva del 13 settembre 2001, il Tribunale di Firenze rigettò l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune, disapplicò il decreto di espropriazione, accertò l’intervenuto acquisto della proprietà del

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2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

fondo da parte dell’Amministrazione per accessione invertita, e dichiarò applicabile, ai fini della liquidazione del danno, il criterio di cui all’art. 5-bis, comma 7-bis,
del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333. Con sentenza definitiva del 14 giugno

della somma di Euro 1.726.011,70, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
2. — L’impugnazione proposta dal Comune è stata accolta dalla Corte d’Appello di Firenze, che con sentenza del 14 aprile 2008 ha rigettato la domanda.
Premesso che l’espropriazione era stata disposta in attuazione del Piano Straordinario Casa 1987, adottato dal Comune con delibere del 30 maggio 1988 ed
approvato dalla Regione Toscana con decreto del 20 marzo 1990, la Corte ha rilevato che, in attesa dell’approvazione, la Giunta municipale, con delibera del 16
gennaio 1990, aveva provveduto alla localizzazione degl’interventi, autorizzando
poi l’occupazione con delibera del 20 novembre 1990, nella quale aveva provveduto anche alla fissazione dei termini di cui all’art. 13 della legge 25 giugno 1865,
n. 2359. Ha quindi riconosciuto la legittimità della procedura espropriativa, ritenendo irrilevante, in mancanza di un’espressa previsione di nullità, la circostanza
che l’indicazione dei termini fosse contenuta nella delibera del 1990, anziché in
quella di localizzazione, in quanto, avuto riguardo all’avvenuta fissazione dei termini prima del compimento di qualsiasi atto di occupazione od espropriazione,
non era individuabile la lesione di alcun interesse concreto dell’espropriata. Ha
comunque osservato che la strumentalità dell’espropriazione alla realizzazione di
un piano di zona per l’edilizia economica e popolare escludeva la necessità dell’indicazione dei predetti termini, in quanto, ai sensi della legge 18 aprile 1962, n.
167, l’approvazione del piano equivale alla dichiarazione di pubblica utilità, la cui
efficacia è pertanto destinata a protrarsi fino alla scadenza del termine di efficacia

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2004, accolse poi la domanda degli attori, condannando il Comune al pagamento

del piano previsto dalla legge. Ha quindi affermato che la mancata fissazione dei
termini nel provvedimento di localizzazione degl’interventi non impediva di provvedere alla sua integrazione, rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dal

alla fissazione sia del termine per il compimento delle espropriazioni che di quello
per l’ultimazione dei lavori.
3.

– Avverso la predetta sentenza l’Azienda Agricola ha proposto ricorso per

cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha
resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in due motivi, al quale la ricorrente ha replicato con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, dell’art. 51
della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n.
2248, all. E, nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, sostenendo che la fissazione dei termini per il completamento delle espropriazioni e dei lavori, necessaria per l’esistenza giuridica della
dichiarazione di pubblica utilità, deve aver luogo nel primo atto della procedura, e
non può quindi essere contenuta in un provvedimento successivo con funzione integrativa; ai fini della certezza dei rapporti, occorre infatti che i predetti termini
siano indicati fin dall’inizio della procedura, non potendo ritenersi consentito che
il diritto di proprietà resti compresso per un periodo di tempo indeterminato. Irrilevante, in quest’ottica, è la circostanza che la fissazione dei termini abbia avuto
luogo prima del compimento di ulteriori atti della procedura, dal momento che tra
la dichiarazione di pubblica utilità ed il provvedimento integrativo è trascorso

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Giudice di primo grado, con l’atto integrativo l’Amministrazione aveva proceduto

quasi un anno, durante il quale essa ricorrente è rimasta esposta all’arbitrio dell’Amministrazione, non avendo avuto alcuna conoscenza dei tempi della procedura espropriativa. Afferma inoltre la ricorrente che nella specie non era applicabile

priativa era stata intrapresa in virtù della delibera di localizzazione delle opere di
edilizia residenziale pubblica approvata ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865 del
1971, equipollente alla dichiarazione di pubblica utilità, nelle more dell’approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare. Irrilevanti, infine, con riguardo alla validità della procedura espropriativa, sono l’avvenuta accettazione ed il
pagamento dell’indennità di espropriazione liquidata nel giudizio di opposizione
alla stima separatamente promosso da essa ricorrente, non essendo configurabile
una valida determinazione ed accettazione dell’indennità ove l’acquisto della proprietà da parte dell’Amministrazione abbia avuto luogo per effetto della trasformazione irreversibile del fondo, avendo essa agito in carenza di potere.
1.1. — La censura non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., alla correzione della motivazione
della sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta peraltro conforme al diritto.
Nell’escludere che l’espropriazione fosse stata disposta in carenza di potere, la
Corte di merito ha ritenuto infatti superflua la fissazione dei termini per il completamento delle espropriazioni e dei lavori, richiesta dall’art. 13 della legge n. 2359
del 1865 a pena d’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, rilevando che
il procedimento ablatorio era stato promosso per l’attuazione di un piano per l’edilizia economica e popolare, e conformandosi al consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in mancanza del predetto adempimento,
i termini in questione debbono considerarsi unitariamente coincidenti con quello

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il termine di cui alla legge n. 167 del 1962, dal momento che la procedura espro-

di efficacia del piano, fissato dall’art. 9 della legge n. 167 del 1962, come modificato dall’art. 51 della legge 5 agosto 1978, n. 457, in diciotto anni dalla data dell’approvazione, equivalente a dichiarazione di pubblica utilità delle opere pro-

4027; 16 marzo 2001, n. 3835). Ha comunque ritenuto che il vizio derivante dalla
predetta omissione non si fosse tradotto in una concreta lesione degl’interessi della
ricorrente, essendo stato validamente sanato, prima che si procedesse all’apprensione materiale del fondo, da un’altra delibera con cui l’Amministrazione, nell’approvare il piano particellare e nell’autorizzare l’occupazione d’urgenza, aveva
provveduto ad integrare l’originaria delibera di localizzazione degl’interventi.
Tale iter argomentativo non tiene conto della circostanza, accertata nella
stessa sentenza impugnata ed ammessa anche dalla ricorrente, che la delibera di
localizzazione era stata adottata ai sensi dell’art. 51 della legge n. 865 del 1971,
nelle more dell’approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare, e che
ad essa si applicava dunque il disposto dell’art. 3 del decreto-legge 2 maggio
1974, n. 115, convertito con modificazioni dalla legge 27 giugno 1974, n. 247, il
quale, nell’attribuire all’individuazione delle aree l’efficacia di dichiarazione di
pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza, estende ai relativi provvedimenti le
norme riguardanti i piani di zona e la loro attuazione. Tale ampio rinvio, includendo l’art. 9 della legge n. 167 del 1962, secondo cui i predetti piani hanno efficacia per diciotto anni, durante i quali le aree individuate restano assoggettabili
all’espropriazione, rende immediatamente applicabile l’orientamento giurisprudenziale già richiamato, che esclude la necessità della fissazione dei termini per il
compimento delle espropriazioni e dei lavori, per effetto dell’applicabilità del termine legale di efficacia del provvedimento, facendo in tal modo apparire super-

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grammate (cfr. Cass., Sez. I, 28 ottobre 2011, n. 22526; 19 febbraio 2009, n.

fluo il riferimento della sentenza impugnata al collegamento tra la delibera di localizzazione e le finalità del piano di zona (cfr. Cass., Sez. Un., 29 luglio 1987, n.
6568; Cass., Sez. I, 16 marzo 2001, n. 3835; 22 novembre 1996, n. 10327).

ordine all’impossibilità di estendere alla delibera di localizzazione il termine di efficacia del piano per l’edilizia economica e popolare, approvato soltanto in epoca
successiva, così come quelle relative all’inammissibilità di un’integrazione successiva del provvedimento, originariamente inefficace. Quello disciplinato dall’art. 3
del decreto-legge n. 115 cit. costituisce, in realtà, un procedimento semplificato ed
accelerato per l’individuazione e l’acquisizione delle aree destinate ad interventi di
edilizia residenziale pubblica, che si conclude con un provvedimento distinto ed
autonomo rispetto al piano per l’edilizia economica e popolare, con il quale condivide soltanto la portata, non essendo subordinato all’approvazione regionale e potendo anzi i Comuni farvi ricorso proprio in attesa del perfezionamento della complessa procedura prevista per l’approvazione del piano di zona (cfr. Cass., Sez. I, 4
luglio 2003, n. 10576). L’efficacia della localizzazione non dipende da quella, ancora in fieri, del piano, del quale è anzi rivolta ad anticipare in parte gli effetti,
trattandosi di un provvedimento suscettibile d’immediata attuazione, a differenza
del piano, la cui efficacia è subordinata all’approvazione regionale, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 162 del 1967. In quanto assoggettata ad un termine legale,
distinto da quello previsto per il piano di zona, essa non richiede la fissazione dei
termini per il completamento delle espropriazioni e dei lavori, la cui specifica indicazione in un successivo provvedimento non consente quindi di attribuire a quest’ultimo una portata integrativa, configurandosi invece lo stesso come una nuova
ed autonoma determinazione volta a stabilire un termine più breve di quello lega-

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Non risultano quindi pertinenti le argomentazioni svolte dalla ricorrente in

le, in funzione dell’urgenza delle opere da realizzare o dell’entità dei lavori da eseguire, e vincolante per l’Amministrazione, che alla scadenza non potrà invocare il
più lungo termine previsto dalla legge (cfr. Cass., Sez. I, 28 ottobre 2011, n.

Non può quindi condividersi l’assunto della ricorrente, secondo cui l’espropriazione è stata disposta in carenza di potere, in quanto la delibera di localizzazione, equivalente alla dichiarazione di pubblica utilità, era priva di efficacia, per
mancanza dell’indicazione dei termini di cui all’art. 13 della legge n. 2359 del
1865, non sanabile mediante l’integrazione successiva del provvedimento. L’art. 3
del decreto-legge n. 115 del 1974, estendendo alla delibera di localizzazione il
termine previsto dall’art. 9 della legge n. 162 del 1967, rendeva infatti superflua la
fissazione dei predetti termini, la cui successiva indicazione non rispondeva a finalità integrative del precedente provvedimento, valido ed efficace fin dall’origine, e quindi idoneo a legittimare l’esercizio del potere ablatorio.
2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 cod. civ. e dell’art. 55 del d.P.R. 8 giugno
2001, n. 327, nonché l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che l’erroneo accoglimento dell’appello principale proposto dal
Comune ha impedito alla Corte di merito di pronunciare in ordine all’appello incidentale, con cui essa ricorrente aveva contestato l’applicabilità dei criteri previsti
dall’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992 ai fini della liquidazione del danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, ed aveva chiesto
che il risarcimento fosse commisurato al valore di mercato dei fondi occupati.
2.1. — La censura è inammissibile, avendo ad oggetto la questione relativa
all’individuazione del criterio per la liquidazione del danno, che non risulta trattata

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22526, cit.).

dalla sentenza impugnata, essendo stata ritenuta assorbita dal rigetto della domanda, e non può quindi essere riproposta in sede di legittimità: con il ricorso per cassazione avverso la sentenza resa in appello, la parte soccombente può infatti de-

grado, la quale assorbe e sostituisce, anche se confermativa, quella emessa in primo grado (cfr. Cass., Sez. lav., 15 marzo 2006, n. 5637; Cass., Sez. II, 24 giugno
2003, n. 9993; Cass., Sez. V, 7 giugno 2002, n. 8265).
3. — Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Comune lamenta che la
Corte di merito abbia omesso di pronunciare in ordine ai motivi di gravame da esso proposti avverso la liquidazione del danno risultante dalla sentenza di primo
grado. Premesso che il Tribunale si era limitato a riportare acriticamente il contenuto della relazione redatta dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, sostiene di
aver censurato l’avvenuta individuazione della data di acquisto della proprietà dei
fondi in quella di emissione del decreto di esproprio, anziché in quella in cui si era
verificata l’irreversibile trasformazione degl’immobili; precisato inoltre che il c.t.u.
aveva proceduto alla stima con metodo analitico-deduttivo, afferma di aver contestato il valore della superficie lorda vendibile a tal fine adottato e l’incidenza percentuale del terreno sul valore complessivo della volumetria edificabile; aggiunge
di aver evidenziato il minor valore attribuito ai fondi ai fini della determinazione
dell’indennità di espropriazione accettata dalla ricorrente, e di aver censurato anche la relazione del c.t.u. nominato nel giudizio d’appello, nella parte in cui, ai fini
della stima, aveva fatto riferimento all’indice di edificabilità dei singoli lotti, anziché a quello medio del piano di zona.
4. — Con il secondo motivo, il controricorrente denuncia la violazione degli
artt. 1223 e 1224 cod. civ., nonché il difetto assoluto di motivazione, affermando

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nunciare esclusivamente i vizi da cui è affetta a suo avviso la sentenza di secondo

di aver censurato la sentenza di primo grado anche nella parte in cui, oltre a riconoscere gl’interessi sulla somma liquidata, ne aveva disposto la rivalutazione, senza che l’attrice avesse fornito la prova, anche mediante presunzioni, che il mancato

non compensato dall’attribuzione dei soli interessi o della sola rivalutazione monetaria.
5.

Le predette censure sono inammissibili.

Il ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato, deve essere infatti giustificato da un interesse che abbia per presupposto una situazione sfavorevole al ricorrente, ovverosia una soccombenza, sicché va ritenuto inammissibile
quando con esso la parte vittoriosa sollevi questioni che il giudice di appello non
abbia deciso in senso a lei sfavorevole avendole ritenute assorbite, in quanto tali
questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (cfr. Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27157;
Cass., Sez. III, 10 dicembre 2009, n. 25821; Cass., Sez. I, 16 maggio 2007, n.
11321).
6. — 11 ricorso principale va pertanto rigettato, mentre quello incidentale va
dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza giustifica la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P . Q .M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale,
e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

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godimento dell’equivalente monetario dei beni perduti le aveva arrecato un danno,

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2014, nella camera di consiglio della Pri-

ma Sezione Civile

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