Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15120 del 22/07/2016

Cassazione civile sez. III, 22/07/2016, (ud. 04/03/2016, dep. 22/07/2016), n.15120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20704/2014 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, V. G. CAMOZZI

1, presso lo studio dell’avvocato DELFO MARIA SAMBATARO, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, (OMISSIS), in persona della Dott.ssa

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo

studio dell’avvocato PASQUALE VARI’, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al controricorso;

ROMA CAPITALE (OMISSIS), in persona del Sindaco On.le

M.I.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE

8, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRIGENTI, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4736/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato CLEMENTE FRASCARI DIOTALLEVI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.A. ha proposto ricorso per cassazione contro Roma Capitale e la s.p.a. Equitalia Sud avverso la sentenza del 27 agosto 2014 con cui il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello da lei proposto contro la sentenza del 26 ottobre 2011 del Giudice di Pace di Roma che aveva rigettato la sua opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1 – proposta, per quello che si allega nell’esposizione del fatto, “per la sola parte relativa a sanzioni amministrative di competenza del Giudice di Pace” avverso un sollecito di pagamento del 7 aprile 2011 notificatogli dall’agente per la riscossione della provincia di Roma, per conto di Roma Capitale.

L’opposizione, per quello che si dice nell’esposizione del fatto, veniva proposta contro il detto sollecito “per contestare la legittimità della notifica degli atti ad esso presupposto nonchè per la tardività dell’iscrizione a molo di somme in contestazione non dovute”.

2. Il Giudice di Pace, per quello che si dice nell’esposizione del fatto, rigettava opposizione con la seguente motivazione: “questo provvedimento (sollecito di pagamento) rappresenta un invito a corrispondere l’importo di Euro 757,44, e, solamente in assenza del versamento della somma richiesta,l’ente impositore, potrà porre in essere tutte le azioni necessaria per il recupero del credito. Prima di tale momento, però, l’attrice non può agire per inibire un provvedimento soltanto ipotetico ed eventuale. Nel caso concreto, infatti, non risulta adottata alcuna procedura di riscossione a suo carico, giacchè una semplice lettera non può essere assimilata ad un atto di esecuzione”.

3. Il Tribunale nella sua motivazione confermava la sentenza di primo grado reputando esatte le affermazioni del primo giudice sull’assunto che difettava il presupposto dell’art. 100 c.p.c., per essere stato chiesto l’annullamento di un atto, il sollecito di pagamento, privo di effetti giuridici e nei grado di incidere in alcun modo nella sfera soggettiva dei destinatari, non essendo equiparabile ad un titolo esecutivo o ad un precetto, identificabili nella specie nel ruolo e nella cartella esattoriale.

4. Al ricorso hanno resistito con separati controricorsi gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia “violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, e art. 615 c.p.c., comma 1 ed art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo viene illustrato, oltre che con un rinvio a pronunce di questa Corte che si sono richiamate nell’esposizione, con il richiamo di Cass. sez. un. n. 8928 del 2014 e di Cass. n. 18642 del 2012, con quello di Cass. (ord.) n. 15596 del 2012. Il richiamo di tale giurisprudenza sarebbe, nell’intenzione del ricorrente, funzionale alla dimostrazione che il sollecito di pagamento sarebbe atto impugnabile e che, quindi, erroneamente sarebbe stato disconosciuto l’interesse di cui all’art. 100 c.p.c..

Dopo il richiamo di tali principi si assume che: “nel caso di specie è evidente l’inesistenza del titolo esecutivo in contestazione in quanto non sono mai venuti a conoscenza di parte ricorrente gli atti presupposti (verbali di accertamento e cartella di pagamento presupposti al sollecito di pagamento). Infatti, l’ente impositore non ha fornito alcuna prova della loro eventuale esistenza e notifica”.

Nella parte finale si deduce, poi, che con riferimento alla cartella di pagamento sarebbe evidente la nullità della notifica, attesa la consegna al portiere dello stabile, senza ricerche del destinatario, nonchè la circostanza che la sola relata di notifica della cartella prodotta in copia dall’esattore non sarebbe stata conforme all’originale.

2. Il motivo non contiene alcuna argomentazione diretta a dimostrare la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, mentre le argomentazioni della parte finale non integrano censure, bensì il richiamo di questioni che in ipotesi andrebbero affrontate in sede di rinvio, ove la sentenza si cassasse per erronea applicazione degli artt. 100 e 615 c.p.c., che sono le uniche norme di cui si argomenta la violazione.

Peraltro, l’illustrazione del motivo, ma già quella dell’esposizione del fatto, evidenzia una circostanza che già in base alle allegazioni dall’una e dall’altra emergenti palesa l’esistenza di una ragione che giustifica il dispositivo di rigetto dell’azione adottato da entrambi i giudici e che induce solo la necessità di una correzione della motivazione della sentenza impugnata.

L’esistenza di questa ragione trova conferma sia nelle deduzioni difensive della resistente Equitalia Sud sia nelle emergenze degli atti pervenuti a questa Corte e segnatamente al lume dell’esame della citazione in opposizione a all’esecuzione introduttiva del giudizio dinanzi al Giudice di Pace.

Essa si rinviene nel fascicolo di parte di primo grado della ricorrente, prodotto in seno al suo fascicolo di parte depositato in questo giudizio di legittimità, di modo che, conforme alla logica della correzione della motivazione, di ci all’art. 384 c.p.c., u.c., questa Corte può procedere all’individuazione dell’esatta motivazione che in iure deve giustificare la reiezione dell’appello nel suo dispositivo di conferma del dispositivo di rigetto dell’azione proposta dalla qui ricorrente, giacchè questa motivazione suppone la mera enunciazione di ragioni di diritto inerenti alla qualificazione dell’azione in base ai fatti costitutivi posti dalla C. a fondamento della sua domanda.

L’operazione di qualificazione, concretandosi in una mera individuazione dell’esatto diritto adeguato all’individuazione dell’azione esercitata ed avvenendo sulla base di quanto emerge dagli atti e senza necessità di accertamenti di fatto istruttori, appare pienamente conforme all’istituto della correzione della motivazione.

Si aggiunga che avvenendo la correzione della motivazione, come subito si dirà, anche in base ad una quaestio iuris sollevata dalla resistente Equitalia Sud, il rilievo di essa che la giustifica, comunque possibile ex officio da parte della Corte, sfugge in ogni caso alla necessità di renderne edotte le parti e segnatamente la ricorrente ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3 e ciò anche senza doversi rimarcare che è stato già statuito che “L’esercizio da parte della Corte di cassazione del potere d’ufficio di correzione della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, non è soggetto alla regola di cui al comma 3 del medesimo articolo, che impone alla Corte il dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulle questioni rilevabili d’ufficio che ritenga di porre a fondamento della decisione” (Cass. n. 22283 del 2009; in senso conforme: Cass. nn. 16401 del 2011 e 17779 del 2011).

3. Ciò premesso, si osserva che sia nell’esposizione del fatto che nell’illustrazione del motivo si adduce che la contestazione sull’inesistenza del titolo esecutivo svolta dalla C. si era basata sulla deduzione di non essere mai venuta essa a conoscenza degli atti presupposti della pretesa esecutiva manifestata e particolarmente dei verbali di accertamento della sanzione, oltre che della cartella di pagamento.

Ebbene il riferimento alla mancanza di conoscenza dei verbali di accertamento trova conferma anche nel contenuto della citazione in opposizione, dove espressamente si dedusse che il diritto di procedere all’esecuzione si contestava “per la mancata notifica degli atti presupposto e la conseguente prescrizione del preteso credito”.

La contestazione era dunque basata anche sulla deduzione che il titolo dell’esecuzione non si fosse formato per la mancata notifica degli atti con cui si doveva formare, atteso che nel generico concetto di atti presupposto non poteva non comprendersi appunto la loro notifica.

Ciò è tanto vero che nel ricorso per cassazione si allude, come si è detto espressamente alla mancata conoscenza dei verbali di accertamento, così facendosi riferimento ad uno dei possibili modi di formazione del titolo esecutivo a favore della p.a. per la riscossione delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, che sono costituite, com’è noto, o dalla mancanza di proposizione dell’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, contro il verbale di accertamento o, nel caso di ricorso amministrativo rigettato e seguito da ingiunzione amministrativa, dalla mancata opposizione contro di essa.

Ed anche nella citazione in appello, presente nel fascicolo di parte della ricorrente, a pagina 5, si allude alla “notifica dei verbali di accertamento (originari titoli esecutivi)” come “assolutamente nulla se non addirittura inesistente”, con conseguente “mancata formazione degli originari titoli esecutivi” (prime sei righe della pagina).

La contestazione svolta, dunque, era basata su ragioni inerenti la stessa formazione del titolo esecutivo.

Ora, le contestazioni contro la formazione del titolo basate su fatti impeditivi della sua formazione, quando il soggetto passivo del titolo non abbia avuto conoscenza del procedimento di formazione del titolo in modo da poter reagire contro il verbale di accertamento o contro l’ordinanza-ingiunzione, debbono essere fatte valere con il mezzo predisposto dal’ordinamento per impedire la formazione del titolo, al cui utilizzo il soggetto è ammesso allorquando riceva quella conoscenza, imponendosi una sua automatica rimessione in termini.

Ne deriva che avendo la ricorrente avuto del preteso titolo conoscenza, secondo la sua prospettazione, soltanto con l’intimazione di pagamento (il sollecito di pagamento), avrebbe dovuto propone l’opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 e non l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, con cui non si possono dedurre i fatti inerenti la formazione del titolo esecutivo.

L’opposizione avrebbe dovuto proporsi nel termine prescritto e nella specie, se si procedesse alla qualificazione dell’opposizione proposta come opposizione all’esecuzione nel senso di un’opposizione ai sensi dell’art. 22, cosa possibile non supponendo accertamenti di fatto, emergerebbe che l’azione è stata esercitata con citazione, mentre doveva esserlo con ricorso.

La citazione è stata notificata nel termine utile per la proposizione dell’opposizione, ma la sua iscrizione a molo è avvenuta ben oltre, come ha evidenziato Equitalia Sud.

La tempestività del rimedio deve valutarsi con riferimento a quest’ultimo momento e, pertanto, l’azione avrebbe dovuto essere rigettata per tardività.

Così corretta la motivazione, il dispositivo della sentenza per la parte qui censurata appare conforme a diritto ed il ricorso dev’essere, dunque, rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore di entrambe le parti resistenti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alle parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore di ognuna in euro settecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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