Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15119 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/07/2016, (ud. 03/03/2016, dep. 22/07/2016), n.15119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17163/2013 proposto da:

CONSORZIO ALLEVAMENTI COOPERATIVI COALCO SOC COOP A RL, (OMISSIS), in

persona del Commissario Ing. P.O., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LAZZARO SPALLANZANI, 22/A, presso lo studio

dell’avvocato MARIO BUSSOLETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIETRO ABBADESSA giusta propcura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO ZONA NORD AREA SVILUPPO INDUSTRIALE SICILIA ORIENTALE ASI

IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo Commissario straordinario e

legale rappresentante geom. C.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE FORNACI 43 INT. 5, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO SCORSONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE GIUSTOLISI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.S., C.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 884/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO;

udito l’Avvocato NICOLA DE LUCA per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio Allevamenti Cooperativi, coop. a.r.l. (Coalco) convenne in giudizio il Consorzio per la zona nord dell’area di sviluppo industriale della Sicilia orientale (Consorzio Asi) premettendo che quest’ultimo acquistò da F.S., che ne era comproprietario insieme a Coalco, un sito, rispetto al quale Coalco agiva adesso in rivendicazione.

Il sito medesimo, come accertato in corso di giudizio, fu assoggettato a irreversibile modificazione con edificazioni di natura pubblica da parte dell’acquirente Consorzio Asi, che pure fu ritenuto legittimo proprietario dello stesso, con rigetto della domanda attorea.

Nel giudizio di appello promosso da Coalco la corte di Catania, per quanto qui rileva, accertato il diritto di proprietà dell’appellante insieme all’impossibilità della riduzione in pristino dei luoghi – pertanto oggetto di accessione invertita-dichiarò con sentenza non definitiva il diritto dell’appellante al risarcimento dei danni da parte del Consorzio Asi, rimettendo la quantificazione degli stessi ad una successiva sentenza da pronunciarsi in via definitiva.

In tale ultima decisione la Corte, ritenuto coperto da giudicato interno la decisione sul criterio da adottarsi per il risarcimento, escludendo quello stabilito nel T.U. n. 1075 del 1993, art. 103, comma 3, suggerito da Coalco, e adottando diverso criterio, liquidò a tale titolo la somma di Euro 3.217,50 oltre interessi e rivalutazione.

Ricorre per Cassazione Coalco in liquidazione coatta amministrativa, affidandosi a due motivi, illustrati ulteriormente in apposita in memoria.

Resiste il consorzio Asi in liquidazione con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2909 c.c., contestando l’avvenuta formazione del giudicato interno. Assume parte ricorrente come, vertendo la domanda attrice sul risarcimento del danno e non sugli specifici criteri di quantificazione dello stesso, i rilievi formulati nella sentenza parziale con riguardo a tali criteri non possono ritenersi autonomi e come tali suscettibili di separato passaggio in giudicato.

Si osserva, inoltre, che la corte abbia erroneamente ritenuto che la sentenza parziale stabilisse il principio dell’irrilevanza per la quantificazione del danno delle utilità diverse derivanti dall’utilizzo delle acque estratte dai pozzi costruiti sul sito, oltre all’utilizzo per irrigazione.

Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 91 c.p.c., affermando l’erroneità della sentenza con riguardo alla liquidazione delle spese legali effettuata utilizzando come valore della causa la somma di Euro 3.217,50 anzichè la maggior somma da accertarsi all’esito della consulenza tecnica da espletarsi in sede di rinvio.

Il nodo della controversia concerne la estensione della decisione non definitiva quanto ai capi non più suscettibili di decisione perchè coperti da giudicato all’interno di questo processo.

Il ricorso premette come nella sentenza impugnata si argomenti la formazione del giudicato interno sia in ordine alla esclusione del diritto del ricorrente al risarcimento del danno computato sulla scorta dell’istituto del c.d. “premio dello scopritore” sia per escludere il danno computato sulla base degli indici di valore riferibili al diritto del proprietario del pozzo di richiedere il rilascio della concessione per l’utilizzo delle acque pubbliche (con la conseguenza che l’unica utilità valutabile ai fini del risarcimento per equivalente potrebbe concernere soltanto lo sfruttamento del pozzo per le esigenze di coltivazione del fondo).

Puntualizza il ricorrente di criticare l’affermazione della corte esclusivamente sotto il secondo aspetto, al quale soltanto dichiara di avere interesse.

A tal riguardo precisa come in tutte le occasioni in cui ha esposto nel presente processo le proprie conclusioni ha chiesto condannarsi la controparte al risarcimento del danno per equivalente esponendo taluni criteri di determinazione del danno (con particolare riferimento a quelli fatti propri dal consulente tecnico d’ufficio nella relazione resa al tribunale) al solo scopo di favorire l’economia processuale e la celerità della decisione.

Per tale ragione, in coerenza a tale condotta, non è stata espressa riserva di impugnazione della sentenza non definitiva quanto alla scelta dell’uno o dell’altro di tali criteri, vertendo tale decisione esclusivamente sul riconoscimento in capo all’odierno ricorrente del diritto al risarcimento del danno per equivalente, ed essendo invece rimessa la valutazione sulla quantificazione del danno – comprensiva quest’ultima dell’individuazione dei criteri da adottarsi a tal fine – alla decisione definitiva.

Il motivo è fondato.

La sentenza non definitiva ha avuto ad oggetto il diritto al risarcimento del danno, riconoscendo tale diritto nel patrimonio dell’odierno ricorrente.

Una volta stabilita la esistenza di tale diritto, era rimesso alla sentenza definitiva di realizzarne la quantificazione stabilendo la somma di denaro da riconoscersi in via di risarcimento per equivalente, essendo divenuta impossibile, per l’irreversibile trasformazione dei luoghi, il risarcimento in forma specifica.

La premessa del giudizio di quantificazione di un danno accertato come tale è nell’individuazione del criterio da porre a base del giudizio e del calcolo sul danno.

Qualora, come nel caso di specie, non siano prestabiliti i criteri secondo cui procedere alla quantificazione, ed occorre presceglierne taluni rispetto ad altri, astrattamente utilizzabili in alternativa ai primi, già in tale decisione è contenuto massimamente il giudizio sulla quantificazione del danno: che per essere esplicitato richiederebbe, a tal punto, valutazioni strettamente implicate al criterio prescelto, risolventesi in ampia misura in operazioni di calcolo.

In tal modo il successivo giudizio sulla quantificazione avrebbe un ambito estremamente ristretto e un contenuto in ampia misura già predeterminato dalla sentenza non definitiva.

Nel caso di specie, nel dispositivo di quest’ultima, è stabilito il diritto al risarcimento del danno, con conseguente condanna del danneggiante, nella misura pecuniaria da determinarsi nella successiva sentenza definitiva.

Nulla è affermato circa i criteri in base ai quali in quella seconda sentenza la corte avrebbe dovuto procedere all’ulteriore decisione sulla quantificazione del danno.

Ciò posto, attesa la funzione della sentenza non definitiva di condanna generica da un lato, la diversa funzione della sentenza definitiva circa la quantificazione del danno così accertato, dall’altro lato, nessun rilievo può assumere ai fini del giudicato interno l’argomentazione svolta nella sentenza non definitiva circa il dibattito sui criteri da seguire in sede di sentenza definitiva per la quantificazione del danno.

Non a caso, infatti, nel dispositivo della sentenza non definitiva non è enucleabile nessun capo dedicato ai criteri da eseguirsi per la quantificazione del danno (essendo tali criteri da individuarsi ad opera della corte in premessa alla decisione da assumere in sede definitiva sulla quantificazione del danno). La corte di appello, pronunciando in via definitiva, si è ritenuta vincolata nella individuazione del criterio da adottare per il risarcimento del danno, escludendo il criterio prospettato dall’odierno ricorrente sull’argomento che si sarebbe formato un giudicato interno sull’individuazione del criterio, il quale giudicato avrebbe ad oggetto altro e diverso criterio rispetto a quello difeso dal ricorrente.

Così motivando, la corte di appello è caduta in errore. Errore dato dal valorizzare una semplice argomentazione (sul criterio di risarcimento) svolta in motivazione rispetto all’oggetto effettivo della decisione non definitiva (sul diritto al risarcimento del danno).

Poichè nella decisione impugnata la corte adotta un determinato criterio per quantificare il risarcimento proprio sul rilievo che su tale criterio si sia formato il giudicato interno, escludendo per questa ragione automaticamente il diverso criterio prospettato dal ricorrente, la sentenza deve essere annullata.

La corte di appello, in diversa composizione, dovrà, dunque, nuovamente procedere al giudizio sulla quantificazione del danno valutando motivatamente quale criterio deve essere adottato a tal fine, senza ritenere che il criterio prospettato dal ricorrente non sia utilizzabile essendo intervenuto sul punto un giudicato interno, che invece – nel caso – è insussistente.

Il secondo motivo resta assorbito.

Nulla sulle spese atteso l’esito della decisione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il giudizio sulle spese, alla corte di appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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