Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15119 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15119 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 4395-2014 proposto da:
MARINI GIUSEPPE LUCIANO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 267, presso lo studio dell’avvocato
DANIELA CIARDO, rappresentato e difeso dagli avvocati LIA
CASU, MICHELE TORRE giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580;
– intimato –

Data pubblicazione: 17/07/2015

avverso il decreto n. 59527/09 RGVG della CORTE D’APPELLO di
ROMA DEL 30/09/2013, depositato il 11/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito l’Avvocato Torre Michele difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Ric. 2014 n. 04395 sez. M2 – ud. 09-04-2015
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IN FATTO
Con ricorso del 20.10.2009 Giuseppe Luciano Marini adiva la Corte
d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e
delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della legge n.

innanzi al TAR Sardegna il 29.9.1999, per il rimborso di oneri relativi ad
un’istanza di condono edilizio, e definito con sentenza del medesimo TAR in
data 29.5.2009.
Il Ministero non svolgeva attività difensiva.
Con decreto dell’11.12.2013 la Corte d’appello liquidava in favore del
ricorrente a titolo d’equa riparazione la somma di € 3.210,00, compensate al
30% le spese e posta a carico del Ministero la restante percentuale.
Quantificata la durata eccedente del giudizio presupposto in dieci anni e otto
mesi, la Corte territoriale osservava che non poteva essere indennizzato il
ritardo compreso tra il 25.6.2008 — data di entrata in vigore dell’art. 54 D.L.
n.112/08, convertito in legge n. 133/08 — e la data di presentazione della
domanda, per mancata presentazione dell’istanza di prelievo. Quindi, limitato
a sei anni e cinque mesi il lasso temporale di ritardo indennizzabile, liquidava
l’importo anzi detto in ragione di un moltiplicatore annuo di € 500,00, atteso
che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo deponeva nel senso di
uno scarso interesse alla sollecita conclusione del giudizio.
Per la cassazione di tale decreto ricorre Giuseppe Luciano Marini in base a
quattro motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.

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89/01. Giudizio presupposto un processo amministrativo introdotto dal Marini

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2

112/08, convertito in legge n. 133/08, in base al quale la domanda di equa
riparazione non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice
amministrativo non sia stata presentata l’istanza di prelievo, non può incidere
sugli atti compiuti precedentemente, in base al principio per cui tempus regit
actum.

Sostiene, inoltre, che la Corte territoriale non avrebbe potuto liquidare, in
base all’orientamento della Corte EDU in casi simili, somme inferiori a
1.000,00 – 1.500,00 euro per ogni anno di ritardo.
1.1. – Il motivo è infondato in ciascuna delle censure in cui si articola.
1.1.1. – Quanto alla prima, è esattamente il principio tempus regit actum ad
imporre che si consideri separatamente il periodo anteriore e quello
successivo all’entrata in vigore dell’art. 54 D.L. n. 112/08. Immune dal
presupposto necessario dell’istanza di prelievo il primo, correlativamente
assoggettatovi, invece, il secondo. Opinando altrimenti, la norma anzi detta
troverebbe applicazione solo per i giudizi instaurati successivamente alla sua
entrata in vigore, nonostante l’assenza di una disposizione espressa che lo
preveda e in opposizione frontale proprio al suddetto principio, che dunque
senza alcuna base logico-giuridica parte ricorrente lamenta essere stato
violato.

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legge n. 89/01 e 6 CEDU. Deduce parte ricorrente che l’art. 54 D.L. n.

1.1.2. – Quanto alla seconda censura, si rileva che la giurisprudenza di
questa Corte si è ormai assestata nel senso che, se è vero che il giudice
nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione
elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data

indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve
essere, di regola, non inferiore a € 750,00 per ogni anno di ritardo, in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a €
1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice,
il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva
smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. nn.
18617/10, 17922/10, 14753/10, 3271/11, e 5914/12; tra le ultime, v. n.
2309/15). Detto indirizzo, che si conforma a quello della Corte EDU (cfr.
sentenze Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia,
del 6 aprile 2010), conduce a ritenere legittimo, per i giudizi amministrativi
protrattisi per oltre dieci anni, liquidare un indennizzo di € 500,00 per ogni
anno di ritardo.
La Corte territoriale si è attenuta ai suddetti principi, e sia pure
sommariamente (come si addice alla tipologia del provvedimento previsto
dalla legge n. 89/01), ha motivato l’applicazione dell’ormai ordinario
moltiplicatore annuo di € 500,00 in considerazione dello scarso interesse alla
sollecita definizione del giudizio manifestato dal ricorrente.
2. – Col secondo mezzo d’annullamento è dedotta, in relazione al n. 3
dell’art. 360 c.p.c., la “disparità di trattamento della medesima Corte
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l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non

territoriale con caso analogo (…) per durata ed oggetto tra familiari (padre e
figlio)” (così, testualmente, a pag. 6 del ricorso).
La Corte capitolina in una fattispecie del tutto analoga ha liquidato in
favore del ricorrente la somma di € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di

neppure asserita la legittimità della riduzione dell’indennizzo per la mancata
presentazione dell’istanza di prelievo.
2.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile.
Il ricorso per cassazione è un mezzo d’impugnazione a critica vincolata,
nel quale non possono trovare cittadinanza censure d’incerta latitudine e di
libera fattura, non riconducibili ai vizi di legittimità tipizzati dall’art. 360
c.p.c. Tra questi ultimi non rientrano le doglianze sul diseguale trattamento di
fattispecie identiche ad opera del medesimo ufficio giudiziario; non senza
osservare, inoltre, che l’eventuale errore in una prima decisione non è
argomento per giustificarne la perpetuazione nelle successive.
3. – Il terzo motivo prospetta, “in relazione all’art. 111 Cost. comma 6” la
“mancata motivazione sulla violazione dei limiti di indennizzo stabiliti dalla
CEDU”, in quanto, si sostiene, il giudice nazionale può discostarsi dai limiti
d’indennizzo stabiliti dalla Corte EDU solo in misura ragionevole e sulla base
di una congrua motivazione. Infatti, prosegue parte ricorrente, il sistema di
tutela dei diritti dell’uomo previsto dalla Convenzione si basa sui principi di
sussidiarietà e di effettività, che impongono agli Stati contraenti di predisporre
vie di ricorso interne idonee a prestare una protezione concreta, senza
necessità di adire la Corte europea.

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ritardo e di € 1.000,00 per ogni anno successivo, senza che in detta sede fosse

Peraltro, aggiunge parte ricorrente, la motivazione del decreto impugnato
sulla riduzione dell’indennizzo rispetto ai parametri ordinari, si palesa non
conferente dal punto di vista logico prima che giuridico. Affermato dalla
stessa Corte distrettuale che il danno non patrimoniale da ritardo è in re ipsa,

3.1. – Anche tale motivo è infondato, per le medesime ragioni esposte nel
paragrafo 1.1.2. che precede, da ritenersi qui espressamente richiamate.
4. – Col quarto motivo è dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c., in
relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. La Corte territoriale, si duole parte
ricorrente, ha parzialmente compensato le spese nonostante il Marini non
fosse risultato soccombente e non ricorressero gravi ed eccezionali ragioni per
giustificare la compensazione. Pertanto, conclude, spetta al ricorrente il diritto
alla rifusione integrale delle spese per € 459,55.
4.1. – Anche tale motivo non ha pregio.
La liquidazione dell’indennizzo limitatamente all’irragionevole durata del
segmento processuale anteriore all’entrata in vigore dell’art. 54 D.L. n.
112/08 importa accoglimento parziale della domanda; il quale, a sua volta,
rientra estensivamente nella specie della soccombenza reciproca di cui all’art.
92, 2° comma c.p.c. (cfr. Cass. n. 22381/09, secondo cui la nozione di
soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le
parti delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di
causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si
siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero
anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia
stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli
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deriva che illegittima è la riduzione del relativo indennizzo.

altri ovvero quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa
e riguardi una domanda articolata in un unico capo; conforme, Cass. n.
21684/13).
5. – In conclusione il ricorso va respinto.

Finanze svolto attività difensiva in questa sede.
7. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del
contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.

p. Q. m.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 9.4.2015

6. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Economia e delle

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