Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15119 del 02/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15119 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

zione illegittima

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LAURETI MARIO e LAURETI LAURA, elettivamente domiciliati in Roma, alla
piazza Cola di Rienzo n. 92, presso l’avv. LORENZO NARDONE, unitamente all’avv. GIUSEPPE LA SPINA, dal quale sono rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTI
contro
COMUNE DI SPOLETO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato
in Roma, alla via S. Cipriano n. 35, presso l’avv. FERNANDO MANCINI, unitamente all’avv. MARIA DONATELLA AIELLO, dalla quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso
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CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 405/07, pubblicata il 27

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Data pubblicazione: 02/07/2014

novembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31 gennaio
2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Maurizio VELARDI, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Mario e Laura Laureti convennero in giudizio il Comune di Spoleto,
chiedendone la condanna al pagamento dell’indennità dovuta per l’occupazione di
due fondi riportati in Catasto al foglio 124, particelle 34, 438/r, 439 e 509, nonché
al risarcimento dei danni da essi subìti per la perdita della proprietà degl’immobili,
irreversibilmente trasformati per la costruzione di un cimitero.
A fondamento della domanda, esposero che all’occupazione dei fondi, autorizzata con decreto del 3 agosto 1980, non aveva fatto seguito l’emissione del decreto di espropriazione nel termine quinquennale decorrente dall’immissione in
possesso, nonostante l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica.
1.1. — Con sentenza del 16 ottobre 1997, il Tribunale di Spoleto accolse la
domanda, condannando il Comune al pagamento delle somme di Lire 92.100.000
in favore di Laura Laureti e di Lire 54.586.000 in favore di Mario Laureti, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme annualmente rivalutate.
2. — L’impugnazione proposta dal Comune è stata parzialmente accolta dalla
Corte d’Appello di Perugia, che con sentenza del 27 novembre 2007 ha rideterminato in Euro 35.248,18 ed Euro 20.916,50, oltre rivalutazione ed interessi, il risarcimento dovuto rispettivamente a Laura e Mario Laureti, condannandoli a restituire le maggiori somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, con

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uditi i difensori delle parti;

gl’interessi legali dal pagamento.
Premesso che l’appellante si era limitato a censurare l’accertamento della vocazione edificatoria dei fondi e la mancata applicazione della riduzione prevista

seconda questione fosse stata abbandonata in sede di precisazione delle conclusioni. In ordine alla prima questione, ha invece affermato che l’edificabilità doveva essere accertata alla stregua della classificazione urbanistica dei fondi, precisando che, ove agli stessi fosse stata riconosciuta natura agricola, il danno avrebbe
dovuto essere liquidato in base al valore di mercato, tenendo conto indicativamente anche dei valori tabellari di cui agli artt. 15 e 16 della legge 22 ottobre 1971, n.
865, nonché dell’eventuale possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria.
Ciò posto, ha rilevato che il c.t.u. nominato in primo grado aveva evidenziato
la possibilità dell’utilizzazione dei fondi per un impianto florovivaistico, favorita
anche dalla vicinanza al cimitero, nonché la disponibilità degli stessi ad uno sfruttamento intensivo, alla luce delle loro caratteristiche intrinseche e dello sviluppo
urbanistico dell’area circostante; ha ritenuto che tali elementi rendessero inappagante il riferimento al valore agricolo medio, indipendentemente dall’accenno del
c.t.u. alle possibilità di edificazione, evidenziate non già ai fini di una stima fondata sull’indice di fabbricabilità, ma soltanto per dimostrare la superiorità del valore dell’area rispetto a quello tabellare. Secondo la Corte, tali conclusioni non si
ponevano in contrasto con quelle del c.t.u. nominato in appello, il quale aveva indicato il valore tabellare quale dato minimale da tenere in conto in assenza della
valorizzazione degli elementi presi in considerazione dal primo consulente. In una
ottica volta a garantire l’adeguato ristoro richiesto dalle norme costituzionali, la

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dall’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, la Corte ha ritenuto che la

rilevante differenza tra la stima del primo c.t.u. (Lire 20.000 al mq.) ed il valore
agricolo medio (Lire 3.200 al mq.) testimoniava peraltro l’inidoneità di quest’ultimo a rappresentare il valore di mercato dei fondi, per la cui determinazione occor-

dei medesimi attori, nonché la loro idoneità a contribuire alla realizzazione di una
maggiore volumetria edificatoria nei terreni non vincolati radicalmente alla destinazione agricola.
La Corte ha tuttavia ritenuto che il valore di mercato dei fondi occupati all’epoca dell’illecito non potesse essere ricostruito mediante il raffronto con i prezzi
attuali delle aree fabbricabili della zona, in quanto l’apprezzamento di tali aree era
risultato notoriamente superiore a quello dei terreni agricoli, con la conseguenza
che detto valore doveva essere determinato in Lire 15.000 al mq.
3. — Avverso la predetta sentenza i Laureti propongono ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Il Comune resiste
con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico complesso motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano,
ai sensi dell’art. 360 nn. 3, 4 e 5, la violazione degli artt. 1223, 1226, 2043 e 2056
cod. civ. e degli artt. 112, 115, 116 e 342 cod. proc. civ., nonché la violazione e la
falsa applicazione dell’art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito con
modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell’art. 16 della legge n. 865
del 1971, osservando che la sentenza impugnata, dopo aver escluso che il risarcimento fosse stato liquidato sulla base di un’errata qualificazione dei fondi, non si è
limitata verificare l’applicabilità della riduzione prevista dall’art. 5-bis cit., ma ha
proceduto ad una nuova quantificazione del danno, in tal modo pronunciando al di

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reva considerare anche la complementarità dei terreni con altri fondi di proprietà

fuori dei motivi di appello.
Pur avendo ritenuto condivisibili i criteri estimativi adottati dal c.t.u., la Corte
di merito ha proceduto ad una liquidazione equitativa, consentita soltanto nel caso

sa ha fatto riferimento ai valori tabellari previsti dalla legge n. 865 del 1971, senza
considerare che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del
2007, che aveva espunto l’art. 5-bis dall’ordinamento, il risarcimento doveva essere liquidato esclusivamente in base ai valori di mercato.
Nel ritenere l’apprezzamento delle aree fabbricabili notoriamente superiore
rispetto a quello dei terreni agricoli, alla luce della preferenza manifestata dai risparmiatori per gl’investimenti immobiliari, la sentenza impugnata non ha tenuto
conto che, a fronte dell’inaffidabilità degl’investimenti mobiliari, il mercato opta
indistintamente per quelli immobiliari; essa, infine, nel ridurre di un quarto il valore di mercato dei fondi accertato dal c.t.u., ha frainteso l’affermazione di quest’ultimo, secondo cui il valore originariamente indicato si era nel frattempo triplicato, trascurando che il risarcimento dev’essere liquidato in base al valore di mercato che il fondo aveva all’epoca dell’accessione invertita, senza che assumano alcun rilievo le vicende successive del mercato immobiliare.
1.1. — Il motivo è infondato.
E’ pur vero, infatti, che nel censurare la liquidazione del danno risultante dalla sentenza di primo grado, il Comune non aveva contestato le caratteristiche intrinseche dei fondi occupati, accertate dal c.t.u. nominato dal Tribunale e poste a
fondamento della stima del valore di mercato degli immobili, ma si era limitato a
negare la vocazione edificatoria di questi ultimi, evidenziandone la classificazione
risultante dagli strumenti urbanistici, nonché ad affermare l’applicabilità della ri-

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in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare; a tal fine, es-

duzione prevista dall’art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992. Ciò non significa peraltro che, nell’affrontare la prima questione, la Corte d’Appello dovesse limitarsi a sua volta a dare atto della correttezza della qualificazione attribuita ai

mini di determinazione del valore venale. Il c.t.u., infatti, pur avendo accertato la
destinazione agricola dei fondi, gravati da vincolo d’inedificabilità in quanto inclusi nella fascia di rispetto cimiteriale, aveva conferito rilievo alle concrete possibilità di sfruttamento edilizio degli immobili, collegate alle loro caratteristiche
intrinseche di giacitura ed accessibilità, nonché alla prospettiva di un mutamento
di destinazione, in tal modo facendo prevalere sul criterio dell’edificabilità legale
quello della c.d. edificabilità di fatto. Ed era proprio l’applicabilità di tale criterio a
costituire oggetto delle censure sollevate dall’appellante, che la Corte di merito ha
ritenuto fondate, correttamente uniformandosi al consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, secondo cui la vocazione edificatoria del fondo, ai
fini della liquidazione del danno derivante dall’occupazione acquisitiva, dev’essere
accertata con riferimento esclusivo alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo, rispetto alle quali l’edificabilità di fatto assume rilievo in via meramente suppletiva, in mancanza di
strumenti urbanistici idonei ad inquadrare l’area occupata tra quelle edificabili o
agricole, ovvero in via complementare ed integrativa, quale complesso delle condizioni che, in presenza della destinazione legale ad uso edilizio, esprimono l’effettiva attitudine dell’area ad una concreta utilizzazione per tale finalità, concorrendo alla determinazione del suo valore di mercato (cfr. Cass., Sez. I, 14 febbraio
2012, n. 2062; 28 maggio 2004, n. 10280; 27 febbraio 2004, n. 3966).
1.2. — Non corrisponde poi al vero l’affermazione dei ricorrenti secondo cui,

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fondi dalla sentenza di primo grado, senza poterne riesaminare le ricadute in ter-

nel riesaminare la liquidazione del danno risultante dalla sentenza di primo grado,
la Corte di merito ha determinato il valore dei fondi occupati in base ai criteri previsti dal titolo II della legge n. 865 del 1971: i valori tabellari determinati ai sensi

impugnata a titolo meramente orientativo, quali indici del valore minimo ricollegabile alla destinazione agricola dei fondi, nell’ambito di un apprezzamento globale che, attraverso la sottolineatura delle caratteristiche degl’immobili (giacitura,
esposizione, accessibilità, complementarità con le aree residue di proprietà degli
attori), ha valorizzato anche possibilità alternative di sfruttamento, consentendo
alla Corte di merito di pervenire ad una valutazione di mercato nettamente superiore. Tale iter argomentativo appare sostanzialmente conforme al principio, più
volte ribadito da questa Corte in tema di occupazione appropriativa, secondo cui
la valutazione delle aree contraddistinte da una classificazione urbanistica che ne
esclude l’edificabilità legale non deve necessariamente aver luogo sulla base di
criteri che ne rispecchino esclusivamente la destinazione ad uso agricolo, ben potendosi dimostrare, anche attraverso indagini tecniche, che il fondo presenta caratteristiche obiettive ed intrinseche tali da rendere possibili forme di utilizzazione
diverse ed ulteriori, anch’esse compatibili con la natura non edificatoria, le quali,
pur senza comportare l’attribuzione di un valore commisurato a quello d’immobili
destinati allo sfruttamento edilizio, implichino il riconoscimento di una valutazione di mercato che, nell’ambito della categoria dei suoli inedificabili, tenga conto,
anche sulla base delle indicazioni emergenti dallo strumento urbanistico, dell’effettiva possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (cfr. Cass., Sez.VI, 21 marzo 2013, n. 7174; Cass., Sez. I, 13 gennaio 2011, n.
717; 26 maggio 2010, n. 12862).

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degli artt. 15 e 16 della predetta legge sono stati infatti richiamati dalla sentenza

L’applicabilità del predetto principio, enunciato sotto la vigenza dell’art. 5bis, comma 7-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992, non è venuta meno a seguito
della dichiarazione d’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in

tati dal primo comma del medesimo articolo per la liquidazione dell’indennità di
espropriazione (cfr. Corte cost., sent. n. 349 del 2007); entrambe le disposizioni si
riferivano infatti esclusivamente all’acquisizione delle aree edificabili, mentre per
quelle non edificabili il quarto comma dell’art. 5-bis, che richiamava i criteri previsti dal titolo II della legge n. 865 del 1971, si limitava a disciplinare la determinazione dell’indennità di espropriazione, con la conseguenza che il risarcimento
del danno per l’occupazione illegittima restava affidato ai comuni criteri di liquidazione, aventi riferimento al valore di mercato del fondo occupato (cfr. Cass.,
Sez. I, 5 marzo 2004, n. 4513; 12 dicembre 2002, n. 17713; 1° febbraio 2000, n.
1090). Per questo motivo, deve escludersi anche la rilevanza della contestuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, primo comma (cfr. Corte
cost., sent. n. 348 del 2007), nonché di quella successiva del quarto comma, in
combinato disposto con gli artt. 15, primo comma, secondo periodo, e 16, quinto e
sesto comma, della legge n. 865 del 1971, come sostituiti dall’art. 14 della legge
28 gennaio 1977, n. 10 (cfr. Corte cost., sent. n. 181 del 2011), i cui effetti, limitati alla liquidazione dell’indennità di espropriazione, rispettivamente per le aree edificabili e per quelle inedificabili, non possono essere estesi al risarcimento del
danno derivante dall’occupazione appropriativa. Tali pronunce, d’altronde, espungendo dall’ordinamento i parametri riduttivi previsti dalle norme dichiarate costituzionalmente illegittime, hanno fatto riemergere il criterio di liquidazione fondato sul valore di mercato dell’immobile, desumibile per l’indennità di espropriazio-

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cui estendeva al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima i criteri det-

ne dall’art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e per il risarcimento del danno
da occupazione appropriativa dagli artt. 2056 e 1223 cod. civ., la cui applicabilità
tanto ai suoli edificabili quanto a quelli inedificabili impone di tener conto, nella

tamente consentite dalle caratteristiche obiettive ed intrinseche dell’area, ovviamente nel rispetto della destinazione prevista dagli strumenti urbanistici. Al medesimo criterio il legislatore si è peraltro uniformato nel dettare la nuova disciplina dell’indennità di espropriazione, contenuta nell’art. 37 del d.P.R. 8 giugno
2001, n. 327 (nel testo sostituito dall’art. 2, comma 89, lett. a), della legge 24 dicembre 2007, n. 244), la cui applicabilità anche all’ipotesi di utilizzazione di un
bene per scopi d’interesse pubblico in assenza di un valido provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, già prevista dall’art. 43 del medesimo
d.P.R., ha trovato conferma, a seguito della dichiarazione d’illegittimità costituzionale di tale disposizione (cfr. Corte cost., sent. n. 293 del 2010), nell’art. 42-bis,
introdotto dall’art. 34, comma primo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Tali disposizioni non
risultano tuttavia applicabili nel caso in esame, in quanto, oltre a postulare l’avvenuta emissione di un provvedimento di acquisizione, nella specie mai adottato,
non sono riferibili, ai sensi dell’art. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001, ai progetti come
quello in questione, per i quali alla data di entrata in vigore della nuova disciplina
fosse già intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza
(cfr. Cass., Sez. I, 21 ottobre 2011, n. 21867; 28 luglio 2008, n. 20543).
1.3. — Non meritano infine consenso le censure sollevate dai ricorrenti in ordine all’errata determinazione del valore di mercato dei fondi occupati, e segnatamente alla riduzione operata dalla sentenza impugnata in considerazione del tem-

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determinazione dell’importo dovuto, di tutte le possibilità di utilizzazione concre-

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po intercorso tra l’epoca in cui era stato consumato l’illecito e quella in cui era stata espletata la c.t.u. Ai fini della liquidazione del danno derivante dall’occupazione
appropriativa, la Corte di merito ha correttamente applicato il principio, invocato

minato con riferimento alla data in cui l’irreversibile trasformazione dell’immobile
ne ha comportato la definitiva destinazione al pubblico interesse, ovvero, nel caso
in cui la stessa si sia verificata nel corso dell’occupazione legittima, alla scadenza
del termine fissato dal relativo decreto, che segnano il momento dell’acquisizione
del diritto di proprietà in favore dell’ente pubblico, con la corrispondente perdita
da parte del privato (cfr. Cass., 11 febbraio 2008, n. 3189; 21 aprile 2006, n.
9472). Rilevato che, a conferma della stima compiuta, il c.t.u. aveva posto a confronto il predetto valore con quello attuale, corretto mediante l’applicazione di un
coefficiente di devalutazione corrispondente all’apprezzamento fatto registrare dal
mercato immobiliare, essa ha sottolineato che, nel procedere a tale comparazione,
il consulente aveva accomunato l’andamento dei prezzi dei fondi agricoli a quello,
ben più dinamico, dei prezzi delle aree edificabili, ed ha quindi ritenuto insufficiente la detrazione da lui effettuata, riducendo il valore indicato nelle conclusioni
della relazione. Tale modo di operare si pone sostanzialmente in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui l’accertamento del valore del fondo occupato, compiuto attraverso la retrodatazione del prezzo di mercato fatto registrare da
immobili omogenei in un periodo diverso da quello dell’occupazione, non può aver luogo mediante l’applicazione degl’indici di variazione dei prezzi al consumo,
i quali non tengono conto delle variabili macroeconomiche incidenti sul mercato
immobiliare, né con riferimento all’andamento generale di tale mercato, fortemente differenziato per ambiti geografici e destinazioni, ma richiede un’indagine mira-

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dagli stessi ricorrenti, secondo cui il valore del fondo occupato dev’essere deter-

ta allo specifico settore di appartenenza del bene ablato, che tenga quindi conto
non solo delle fluttuazioni del valore della moneta, ma anche delle variabili collegate alla vocazione ed allo stadio di sviluppo della zona considerata (cfr. Cass.,

14031). La valutazione dell’incidenza di tali variabili costituisce poi un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità
esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, nella specie neppure prospettate dal ricorrente.
2. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna Laureti Mario e Laureti Laura al pagamento
delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori
di legge.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2014, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

Sez. I, 17 luglio 2012, n. 12213; 22 agosto 2011, n. 17462; 25 ottobre 2000, n.

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