Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15118 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15118 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 1437-2014 proposto da:
SALERNO ANTONIO SLRNTN43M25L477E, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ANDREA FULVIO 7 – interno 9, presso
lo studio dell’avv. GATTO BARBARA CARMELA, rappresentato e
difeso da se medesimo;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

9.655

Data pubblicazione: 17/07/2015

- controrkorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 1618/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO del 28.6.2013, depositato il
05/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 01437 sez. M2 – ud. 09-04-2015
-2-

l

IN FATTO

Con ricorso depositato il 10.9.2012 Antonio Salerno adiva la Corte
d’appello di Catanzaro per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia
al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo

diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55. Due i
giudizi presupposti di cui lamentava l’irragionevole durata, e cioè una causa
civile pendente innanzi a questa Corte di cassazione, causa i cui gradi di
merito avevano già dato luogo ad una precedente equa riparazione; ed un
giudizio d’opposizione a cartella esattoriale relativa al mancato versamento di
contributi, del valore complessivo di € 583,45.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 5.7.2013 la Corte d’appello adita liquidava in favore del
ricorrente la somma di 5.640,00 per il primo giudizio, calcolata la residua
durata eccedente in anni cinque e mesi otto; rigettava la domanda quanto al
secondo; e compensava per Y2 le spese, ponendo la restante frazione a carico
del Ministero.
Per la cassazione di tale decreto Antonio Salerno propone ricorso affidato a
tre motivi, successivamente illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo del ricorso lamenta l’omessa, insufficiente o

contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e la
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2001, n. 89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei

violazione o falsa applicazione degli artt. 2 legge n. 89/01 e 6 CEDU, in
relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. Sostiene parte
ricorrente che, quanto al primo dei due giudizi presupposti, la Corte
territoriale si è basata sulle ragioni svolte nel precedente decreto, effettuando

conto del valore della causa (avente ad oggetto la donazione di un’azienda
agricola) e della maggiore incidenza del patema d’animo da ritardo, dato il
tempo ulteriormente trascorso.
Quanto al secondo giudizio, la Corte territoriale non ha tenuto in
considerazione che la modestia oggettiva della posta in gioco va ad ogni
modo rapportata alle condizioni socio-economiche della parte richiedente, e
che ad ogni modo lo scarso valore effettivo della controversia consente di
ridurre ragionevolmente, ma non di escludere il diritto all’equo indennizzo.
1.1. – Il motivo è infondato.
La liquidazione dell’indennizzo — € 5.640,00 per cinque anni e otto mesi di
ritardo ulteriore — è avvenuta in ragione di un moltiplicatore annuo di circa €
995,00, del tutto idoneo, secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU
e di questo S.C., a indennizzare il danno morale da ritardo.
In ordine alla seconda causa civile, per la quale, invece, è stato negato ogni
indennizzo, occorre richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai sensi
dell’art. 12 del Protocollo n. 14 alla CEDU, la soglia minima di gravità, al di
sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice
profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito di tutela della
legge 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del
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così una liquidazione nel minimo che appare illogica e immotivata, tenuto

termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di
maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere
bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e
processuali connessi (Cass. n. 633/14; conformi, nn. 1061/15, 24928/14,

massimate)
2. – Il secondo mezzo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un “punto” decisivo e la violazione dell’art. 6 CEDU,
perché la Corte territoriale, contravvenendo alla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo e discostandosi dal precedente di Cass. n. 724/13, ha liquidato
l’indennizzo non per tutta la durata del giudizio presupposto, ma solo per la
durata eccedente il limite temporale di ragionevolezza. Di talché, secondo
parte ricorrente, la diversa giurisprudenza di questa Corte Suprema
costituirebbe una sistematica violazione della Convenzione.
2.1. – Il motivo è inammissibile quanto al prospettato vizio motivazionale,
non più denunciabile ai sensi del nuovo testo dell’art. 360, n. 5 c.p.c., come
modificato dall’art. 54, comma 1, lett. b) D.L. n. 83/12, convertito in legge n.
134/12, applicabile nella specie essendo stato depositato il decreto impugnato
in data successiva al termine indicato dal 3° comma del ridetto articolo.
Ed è infondato quanto alla lamentata violazione dell’art. 6 CEDU.
Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale
conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai
sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo
eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata
del processo presupposto. Né rileva il contrario orientamento della
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24927/14, 21861/14, 18536/14, 18435/14, 18434/14 e 17944/14 non

giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poiché il giudice
nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto
dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non può, infatti, ravvisarsi un
obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione

norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n.
348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non
crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme
direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile
come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli
Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano
in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme
vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne (Cass. n. 14/08;
conforme, n. 16285/09).
Come osservato, ancora, da questa Corte (v. la n. 478/11) la modalità di
calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine
della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la
lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione
dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice
europeo; diversamente opinando, poiché le norme CEDU integrano il
parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello
subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio di computo
desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del
processo, rispetto al novellato art. 111, secondo comma, Cost., in base al
quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo
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della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della

profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU con
altri diritti costituzionalmente tutelati. Né a conclusioni diverse perviene la
stessa giurisprudenza della predetta Corte internazionale che – nei precedenti
Martinetti e Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c.

osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla legge italiana n. 89 del
2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non
ragionevole, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone
ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via
giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in
conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di
calcolo previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai
parametri enunciati dalla Corte EDU, non è in sé decisivo, purché i giudici
italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli
rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili (v. inoltre, la sentenza
della Corte EDU 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, secondo la
quale la legge n. 89/01 non si pone in contrasto con l’art. 6, par. 1, della
Convezione europea dei diritti dell’uomo).
3. – Il terzo mezzo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un “punto” decisivo, e la violazione degli artt. I e 24 legge
n. 794/42, 60, 4° comma, R.D.L. n. 1578/33, 1 e 4 tariffa forense allegata al
D.M. n. 127/04 e violazione dell’art. 2 D.L. n. 223/06, in quanto la Corte
territoriale nel liquidare le spese non ha specificato gli importi spettanti per
diritti e quelli dovuti per onorari, ed è pervenuta a somme inferiori ai minimi
tariffari.
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Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – ha

3.1. – Detta censura è manifestamente infondata, in quanto l’intera attività
di difesa nel procedimento si è svolta sotto il vigore del D.M. n. 140/12
(entrato in vigore il 23/8/2012, mentre il ricorso ex lege Pinto è stato
depositato presso la C.A. di Catanzaro il 10.9.2012). Il quale D.M. è stato

ha abrogato le tariffe professionali, superando così la tradizionale distinzione
tra diritti e onorari di avvocato.
4. – Il ricorso va dunque respinto.
5. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della
parte ricorrente.
6. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del
contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in
€ 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 9.4.2015.

emesso in attuazione dell’art. 9, 1° e 2° comma legge n. 1/12, che com’è noto

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