Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15117 del 17/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15117 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 233-2014 proposto da:
MULTARI GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
AURELIA 385, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SITZIA,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO MARIO LABATE,
giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENE R A.LE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

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Data pubblicazione: 17/07/2015

- controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 1304/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO del 28.12.2012, depositato il
27/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 002?3 sez. M2 – ud. 09-04-2015
-2-

IN FATTO
Con ricorso del 6.8.2012 Giuseppe Multari adiva la Corte d’appello di
Catanzaro per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento
di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in

dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, per la durata
irragionevole di una causa civile promossa nei suoi confronti innanzi al
Tribunale di Reggio Calabria nel novembre 1992 e ancora in grado d’appello
alla data di proposizione del ricorso.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 27.4.2013 la Corte territoriale, valutata in sei anni la
durata ragionevole e calcolata in tredici quella eccedente il limite di
ragionevolezza, liquidava in favore del ricorrente a titolo di equo indennizzo
la somma di € 6.500,00, in ragione di € 500,00 per ogni anno di ritardo. A
sostegno della decisione, osservava che l’art. 2-bis della legge n. 89/01,
introdotto con D.L. n. 83/12, stabiliva un indennizzo compreso tra un minimo
di 500 ed un massimo di 1.500,00 euro per ogni anno di ritardo o frazione
superiore a sei mesi, tenuto conto del valore e della rilevanza della causa,
stabilendo che in ogni caso la misura dell’indennizzo non poteva essere
superiore al valore della causa stessa. Rilevava, quindi, che nel caso in esame,
tenuto conto dell’entità della posta in gioco (in cui si discuteva della
restituzione di 9 milioni di lire per una protesi difettosa, oltre al danno
biologico), doveva ritenersi congruo un indennizzo di € 500,00 per ogni anno
di ritardo.

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relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti

Per la cassazione di tale decreto Giuseppe Multari propone ricorso, affidato
a due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli

artt. 2 e 2-bis della legge n. 89/01, 55 D.L. n. 83/12, convertito in legge n.
134/12, e 11 disp. prel. c.c., il tutto in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Ai
sensi dell’art. 55 D.L. cit., deduce parte ricorrente, le disposizioni di modifica
della legge n. 89/01 si applicano ai ricorsi depositati a decorrere dal
tredicesimo (rectius, trentesimo: n.d.r.) giorno successivo a quello di entrata
in vigore della legge di conversione. Essendo quest’ultima entrata in vigore il
giorno successivo alla sua pubblicazione, avvenuta 1’11.8.2012, la nuova
normativa è applicabile a partire dall’11.9.2012, mentre il ricorso in oggetto è
stato depositato il 6.8.2012.
2. – Il secondo motivo espone la violazione e falsa applicazione degli artt. 6
CEDU, 2 legge n. 89/01, nel testo anteriore alle recenti modifiche, 1226 e
2056 c.c., in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., nonché un non meglio
precisato “omesso esame, ex art. 360, n. 5 c.p.c.”.
La Corte d’appello di Catanzaro, si sostiene, ha sostanzialmente smentito i
principi di diritto cui ha premesso di volersi conformare e che rappresentano
orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità in ordine alla
misura dell’indennizzo. Parte ricorrente richiama, in particolare, la
giurisprudenza di questa Corte in base alla quale l’indennizzo va commisurato
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forma semplificata.

a € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, e a € 1.000,00 per ogni
anno successivo; e sostiene che da tale principio non v’era ragione di
discostarsi, tenuto conto della natura non bagatellare della lite presupposta.
3. – I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati, anche se

del decreto impugnato.
Infatti, sebbene ai sensi dell’art. 55, 2° comma D.L. n. 83/12, convertito in
legge n. 134/12, le modifiche che detto provvedimento ha apportato alla legge
n. 89/01 si applichino ai ricorsi d’equa riparazione depositati a decorrere dal
trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di
conversione (e dunque a partire dall’11.9.2012), la misura dell’indennizzo
complessivo liquidato dalla Corte territoriale è, ad ogni modo, in linea con la
giurisprudenza di questa Corte formatasi anteriormente.
In particolare, com’è stato osservato, tra le altre, da Cass. nn. 24927/14,
21524/14, 13082/14 e 12937/12, questa Corte ha già ritenuto che la
quantificazione del danno non patrimoniale soltanto di regola deve essere non
inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli
successivi, e che è conforme a legge una quantificazione inferiore (pari ad
euro 500,00 per anno di ritardo) quando, in relazione anche alla posta in gioco
del processo presupposto, vi sia l’esigenza di evitare sovracompensazioni.
Come si legge nella motivazione della sentenza n. 24927/14, che conviene
riportare in parte qua, “(n)el rimeditare questa Corte il principio acquisito
secondo il quale il parametro per indennizzare la parte del danno non
patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo non
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occorre correggere, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c., la motivazione

inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo (Cass. 8 luglio 2009 n. 1608) per
i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e, per il periodo successivo, la
soglia minima sale ad Euro 1.000,00, in quanto l’irragionevole durata
eccedente tale periodo comporta “un evidente aggravamento del danno” (così

maggio 2012 n. 8471), ha statuito la rilevanza della valutazione dell’entità
della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco), alla quale occorre
procedere per accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche della
parte richiedente, al fine di giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia
migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo. È stato al riguardo chiarito che la verifica deve
avvenire attraverso l’effettuazione di un giudizio di comparazione con la
situazione socioeconomica dell’istante, tale da evidenziare la reale portata
dell’interesse di quest’ultimo alla decisione, in ordine al quale il giudice di
merito è tenuto a fornire una puntuale motivazione, che però non legittima
comunque il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a
quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri (Cass. 5 luglio 2011 n.
14756; Cass. 10 novembre 2011 n. 23519; Cass. 3 maggio 2012 n. 6697).
Inoltre, sono state valorizzate anche altre affermazioni di principio della
giurisprudenza di questa Corte, quale quella secondo cui la soglia minima è
tendenziale, vale cioè “di regola” (così Cass. 30 luglio 2010 n. 17922; Cass.
28 maggio 2012 n. 8471), senza costituire una frontiera invalicabile, laddove
in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa
patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla
condizione sociale e personale del richiedente, vi sia l’esigenza di evitare
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Cass. 14 ottobre 2009 n. 21840; Cass. 30 luglio 2010 n. 17922; Cass. 28

sovracompensazioni (da ultimo, Cass. 14 gennaio 2014 n. 633 e Cass.
24 luglio 2012 n. 12937)”. Inoltre, “una rinnovata analisi della giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo, che di fronte a poste in gioco di
modesta entità – nel proclamare di essere una giurisdizione internazionale che

nella Convenzione e nei suoi protocolli piuttosto che di compensare,
minuziosamente e in maniera esaustiva, i danni subiti dai ricorrenti – non ha
esitato a liquidare importi di gran lunga inferiori a quelli normalmente
riconosciuti. Ne è stato un esempio la sentenza 21 dicembre 2010, divenuta
definitiva il 20 giugno 2011, nel caso Gaglione ed altri c. Italia, nella quale è
stato accordata la somma forfettaria di Euro 200,00 per ciascun ricorso in
riparazione del danno morale”.
Il senso complessivo che se ne trae (e che è ben espresso anche in altri
precedenti di questa Corte pur non riferiti al tema della quantificazione
dell’indennizzo liquidabile, secondo cui il sistema sanzionatorio delineato
dalla CEDU non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico
dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie modulabili in
relazione al concreto paterna subito: cfr. ex pluribus, Cass. n. 13803/11), è che
in nessun caso il risultato della liquidazione deve tradursi in una sostanziale
locupletazione a vantaggio del soggetto istante, per cui va evitato che tra il
danno effettivamente subito e la somma liquidata a titolo di equo indennizzo
sussista un differenziale di sovracompensazione, e ciò anche se il giudizio
presupposto non aveva carattere bagatellare.
3.1. – Nello specifico, la Corte territoriale ha adeguatamente valutato il
processo nel quale si è verificata la violazione, e attraverso l’applicazione di
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ha il compito principale di assicurare il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti

un moltiplicatore annuo (€ 500,00) comunque ricompreso nel campo di
variazione elaborato dalla giurisprudenza di questo S.C. nel rispetto dei
precedenti della Corte EDU, ha compensato il danno morale da ritardo con
una somma congrua in rapporto alla posta in gioco.

5. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte
ricorrente.
6. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del
contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n.
115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in
€ 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 9.4.2015.

4. – Il ricorso va pertanto respinto.

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