Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15111 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. II, 31/05/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 31/05/2021), n.15111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20520/2019 proposto da:

N.A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato MICHELE

PAROLA,ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in CUNEO,

VIALE ANGELI 24;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 3909/2019 del TRIBUNALE di TORINO depositato il

10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.A.A., nato nel (OMISSIS) ricorreva avanti al Tribunale di Torino avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale e di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino.

Con decreto in data 10/06/2019, il Tribunale di Torino rigettava le domande.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione il richiedente sulla base di un motivo. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla corretta interpretazione dell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (pre riforma D.L. n. 113 del 2018), in relazione al contestato rigetto delle domande di protezione sussidiaria e umanitaria.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

Va inoltre rilevato che la valutazione, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

1.3. – Nel caso concreto, peraltro, i fatti allegati nel giudizio di merito (riportati, peraltro, ai limiti della necessaria esposizione sommaria, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3) non attengono a situazioni di violenza indiscriminata, derivante da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda meramente personale del richiedente, risolvibile non attraverso forme di violenta coercizione (neppure specificamente ipotizzata in capo al ricorrente). Tali circostanze inducono a ritenere il richiedente non riconducibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; laddove, sotto tale profilo, il giudice di merito ha, peraltro, comunque accertato la insussistenza del timore del ricorrente di essere sottoposto a vessazioni, senza possibilità di ottenere tutela.

1.4. – Ciò posto, questa Corte osserva come, viceversa, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova complessiva (ri)valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

 

 

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