Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15110 del 31/05/2021

Cassazione civile sez. un., 31/05/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 31/05/2021), n.15110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22930-2020 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

32, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CALDERARO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 85/2020 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 22/07/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/02/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Dott.

FINOCCHIARO GHERSI RENATO, il quale chiede che la Corte rigetti il

ricorso in quanto inammissibile o infondato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nell’ambito del procedimento penale n. 6695/18/21 – 3725/19 R.G. GIP, iscritto presso la Procura della Repubblica di Salerno, aperto a seguito di trasmissione degli atti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, emergevano le condotte illecite di alcuni soggetti, due dei quali si adoperavano per far accogliere un ricorso presentato dal terzo, T.P.G., presso la Corte d’Appello di Catanzaro, proposito che i soggetti miravano a realizzare mediante l’intercessione di un magistrato. Tale soggetto veniva identificato, mediante le intercettazioni telefoniche e gli altri atti di indagine posti in essere, nel Dott. P.M., in servizio presso la corte d’appello di Catanzaro con funzioni di presidente di sezione.

2. – L’ascolto delle conversazioni, unitamente ai riscontri forniti dalle attività di osservazione predisposte dalla PG operante, disvelava una fitta serie di rapporti corruttivi in cui il dottor P., in ragione delle funzioni giudiziarie svolte, si inseriva quale punto di riferimento destinatario di plurime richieste di interferenze in vicende giudiziarie

che da più parti gli venivano rivolte, rispetto alle quali il magistrato che versava altresì in difficoltà finanziarie – si dimostrava disponibile e rassicurante accettando e sollecitando a più riprese sia promesse sia dazioni di varia natura ed entità.

3. – Ravvisati gravi indizi di colpevolezza per i reati ascritti a carico del Dott. P., tali da integrare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a) e c), l’Ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Salerno disponeva nei confronti dello stesso la misura della custodia cautelare in carcere.

4. – A seguito dell’emissione della ordinanza cautelare la Procura Generale presso la Corte di Cassazione e il Ministro della Giustizia hanno richiesto la sospensione cautelare obbligatoria dell’incolpato dall’esercizio delle funzioni e dallo stipendio nonchè il suo collocamento fuori dal ruolo organico della Magistratura, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 21, comma 1.

5. – Contestualmente, il Ministro della Giustizia ha altresì richiesto la sospensione cautelare facoltativa del Dott. P., ai sensi dell’art. 22, comma 2 citato decreto, in ragione della ritenuta incompatibilità dei fatti contestati al magistrato con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

6. – Con l’ordinanza n. 85/2020, impugnata in questa sede, la Sezione disciplinare del CSM, chiamata a pronunciarsi sulla misura della sospensione cautelare facoltativa, ne ha disposto l’adozione, ritenendo sussistenti, sulla base delle emergenze istruttorie e delle attività di indagine svolte dalla Procura della Repubblica di Salerno, che constavano di intercettazioni telefoniche, ambientali ed altri atti di indagine, i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, richiesti ai fini della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio.

7. – Come risulta dalla ordinanza della Sezione disciplinare, il P. è stato sottoposto a procedimento disciplinare per sedici capi di incolpazione. Ai capi da 1 a 6 sono contestate al Dott. P. plurime violazioni delle disposizioni di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 4, comma 1, lett. d) aventi ad oggetto condotte di rilievo penale, oggetto dell’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere. Ai capi da 7 a 16 sono addebitati al magistrato illeciti funzionali ed extra-funzionali in relazione al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. c), d).

8. – Dei 16 capi di incolpazione, i capi 1, 7 e 8 sono ricondotti dalla Sezione disciplinare del CSM unitariamente all’attività corruttiva posta in essere in favore di T.P.G., i capi 2, 5, 9, 10, 11, 15, sono ricondotti all’attività corruttiva ascritta al Dott. P. e posta in essere nell’interesse della famiglia S., i capi 3, 12, 13, concernono il rapporto del Dott. P. con l’avv. Ta.Ma. (detta ” M.”), i capi 4 e 14 riguardano gli episodi di corruzione in favore di A.V.; con i capi 6 e 16, infine, viene contestato lo stabile asservimento delle funzioni giudiziarie ad interessi privati.

9. – Quanto al fumus, l’ordinanza impugnata richiama un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a tenore del quale l’applicazione di tale misura, non concretando l’irrogazione di una sanzione disciplinare, non impone al giudice disciplinare il completo accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (che è riservato al giudizio di merito sugli illeciti) ma presuppone solo la valutazione dei fatti contestati astrattamente considerati e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (Cass. S.U. sent. n. 23856 del 2012; Cass. S.U. sent. n. 17904 del 2009; Cass. S.U. sent. n. 28046 del 2008; Cass. S.U. sent. 17067 del 2011).

10. – La Sezione disciplinare ha ritenuto che, nel caso di specie, il quadro indiziario a carico del magistrato apparisse senz’altro idoneo, in base ai canoni del giudizio cautelare, a far ritenere sussistenti i fatti addebitati al Dott. P., come descritti nei capi di incolpazione, nonchè i presupposti per l’irrogazione della misura disciplinare cautelare.

11. – Con riferimento al periculum in mora, la Sezione disciplinare ha ritenuto la posizione dell’incolpato tale da fondare una valutazione di concreto pericolo di futura recidiva quanto alla commissione di ulteriori fatti di rilievo penale/disciplinare nell’esercizio delle funzioni, in ragione dell’inserimento del magistrato in un contesto di contatti e relazioni caratterizzato dalla strumentalizzazione dell’ufficio e delle funzioni di magistrato al fine di ottenere ingiusti vantaggi ed elargire favori.

12. – L’ordinanza impugnata puntualizza che l’accertamento richiesto per l’applicazione della sospensione cautelare facoltativa richiede una valutazione in ordine alla gravità della contestazione cui è correlata la compatibilità della permanenza nelle funzioni in vista della tutela del bene giuridico protetto, costituito dal prestigio di cui deve godere il magistrato nell’esercizio dell’attività giurisdizionale. Afferma che la gravità e la pluralità dei fatti emersi a carico del dottor P. devono ritenersi tali da determinare l’assoluta incompatibilità del magistrato con lo svolgimento delle funzioni giudiziarie, stante l’irreparabile compromissione dell’immagine e del prestigio di cui lo stesso dovrebbe godere per poter legittimamente esercitare l’attività giurisdizionale. Tale gravità la porta ad escludere che le esigenze cautelari poste dal caso concreto possano essere soddisfatte con l’adozione di misure più lievi, quali il trasferimento provvisorio del magistrato ad altro ufficio di distretto limitrofo.

13. – Il Dott. P.M. impugna l’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M. n. 85/2020 con la quale è stata adottata nei suoi confronti la misura della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni (di presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro) e dallo stipendio, nonchè la collocazione fuori dal ruolo organico della magistratura ordinaria, con corresponsione in suo favore di un assegno alimentare, con ricorso articolato in due motivi e con motivi aggiunti, in riferimento esclusivamente ai capi di incolpazione che fanno riferimento agli episodi corruttivi in favore della famiglia S..

14. – Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

15. – La Procura generale presso la Corte di cassazione ha depositato conclusioni scritte nelle quali comunica che il P. è stato condannato per i fatti oggetto del ricorso alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, e che ne è stata dichiarata ex art. 32 quinquies c.p. l’estinzione del rapporto di impiego con l’Amministrazione dello Stato e conclude per il rigetto del ricorso.

16. – In data 12.1.2021 il Dott. P. ha depositato motivi aggiunti rispetto a quelli contenuti nel ricorso introduttivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

17. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. c) che sanziona il mancato rispetto dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge, e la mancanza assoluta di motivazione in riferimento al capo 11 dell’incolpazione, relativo alla mancata astensione del Dott. P. nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto l’esame di una istanza di revoca di un sequestro avente ad oggetto un vasto compendio immobiliare, conti correnti bancari e quote societarie, disposto dal Tribunale delle misure di prevenzione di Catanzaro a carico di S.A. e della sua famiglia.

18. – La Sezione disciplinare ha comminato la misura cautelare facoltativa della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, ritenendo che il ricorrente, nella qualità di presidente della sezione feriale della Corte d’Appello di Catanzaro, avesse violato i doveri di correttezza e di imparzialità omettendo di astenersi dalla trattazione della predetta istanza di revoca del sequestro penale di beni appartenenti al S. e alla sua famiglia, nonostante che sussistessero gravi ragioni di convenienza che rendevano doverosa l’astensione, ex art. 36 c.p.p., lett. h), in considerazione del rapporto di affinità esistente con l’avv. Gambardella, difensore di S., e della frequentazione abituale con quest’ultimo. L’ordinanza impugnata evidenziava che il Dott. P. non aveva negato nè l’affinità, derivante dall’essere l’avv. Gambardella il cugino della moglie, nè tanto meno la frequentazione abituale. Il Dott. P. si era, infatti, limitato a contestare che ciò avesse potuto condizionare la sua decisione, asseritamente adottata in conformità di un consolidato orientamento giurisprudenziale.

19. – Nel motivo di ricorso, il Dott. P., pur riconoscendo che l’avv. Gambardella era effettivamente cugino della moglie, sostiene che l’avvocato non frequentava abitualmente la sua abitazione, e, quindi, nega che esistessero gravi ragioni di convenienza che avrebbero dovuto indurlo all’astensione.

20. – Quanto ad un suo passato rapporto professionale con l’avv. Gambardella, riconosce che il legale ebbe a difenderlo quattro anni addietro in un procedimento disciplinare, ma sostiene che tale frequentazione professionale, in quanto risalente, era priva di attualità.

21. – Ciò premesso quanto al contenuto del motivo di ricorso, va ribadito che il giudizio di legittimità sulla misura della sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio non presuppone un completo accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti, che è riservato al giudizio di merito sull’illecito disciplinare; l’adozione di tale misura presuppone soltanto una valutazione circa la rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi. Come da ultimo ribadito da Cass. S.U. n. 2158 del 2021, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, ai fini dell’applicazione di misure cautelari ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 il giudice non è tenuto al completo e pieno accertamento della sussistenza degli addebiti (che è riservato al giudizio di merito sull’illecito), ma deve valutare, oltre alla rilevanza disciplinare dei fatti contestati astrattamente considerati e della possibile sussistenza degli stessi, anche la loro oggettiva gravità e la loro compatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali in assoluto o nel distretto ove erano state esercitate in precedenza (da ultimo, v. Cass. Sez. U. 15/01/2020, n. 741).

22. – Inoltre, il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura è limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 (Cass. Sez. U. 19/03/2019, n. 7691).

23. – Pertanto, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati l’accertamento compiuto dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con riguardo alla materialità dei fatti contestati all’incolpato ed alla loro idoneità a ledere la considerazione di cui deve godere il magistrato ed il prestigio dell’ordine giudiziario non è suscettibile di ulteriore apprezzamento in sede di legittimità, essendo precluso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione il riesame dei fatti e del risultato istruttorio, la valutazione dei quali spetta esclusivamente al giudice disciplinare, unico giudice del merito, che ha l’obbligo di dare della propria decisione una motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici.

24. – Nella specie, sussistono in riferimento al provvedimento impugnato i requisiti di congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, ai quali soli deve essere limitato il sindacato di queste Sezioni Unite, risolvendosi le censure formulate in inammissibili critiche alla ricostruzione in fatto sulla sussistenza di un quadro indiziario grave, conseguita all’esito di attenta disamina degli elementi probatori a disposizione.

25.- Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4 nonchè la mancanza assoluta di motivazione, in riferimento ai capi 2), 5), 9), 11) e 15) dell’ordinanza impugnata (esaminati distintamente dall’ordinanza impugnata, ma unificati nella trattazione in quanto tutti correlati ad episodi di “corruzione in atti giudiziari nell’interesse della famiglia S.”).

26. – In particolare, con il capo di imputazione n. 2 veniva contestato al Dott. P. l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1 in relazione alla commissione del reato continuato di corruzione in atti giudiziari (delitto previsto e punito dagli artt. 110,81 cpv. c.p., art. 319 ter c.p., comma 1 in relazione all’art. 319 c.p. e 321 c.p. nonchè 416 bis 1 c.p.), perchè, quale presidente della II Sezione della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro, in primo luogo adottava, come presidente del Collegio della sezione feriale e relatore, una ordinanza di parziale dissequestro di numerosi immobili, conti correnti bancari e quote societarie facenti capo ad S.A., e quindi assumeva l’impegno di spiegare la sua influenza, attivandosi presso altro Collegio della medesima corte d’appello, al fine di assicurare una forte riduzione delle pene irrogate in primo grado al S. e a G.M., previa esclusione del delitto associativo, ricevendone in cambio a più riprese somme di denaro, beni mobili e promesse di ulteriori e più cospicue utilità, dal S. e da altre persone, con l’aggravante di aver agito per agevolare la cosca di ‘ndrangheta denominata “(OMISSIS)”.

27. – A proposito del primo episodio (in relazione al quale è stata ritenuta di rilevanza disciplinare anche la violazione dell’obbligo di astensione, di cui al precedente punto 17.), il ricorrente sostiene che la Sezione disciplinare non ha adeguatamente considerato che non era stata neppure posta in discussione la legittimità della ordinanza di revoca del sequestro, adottata dal Collegio da lui presieduto, e che ha costituito motivo di mero sospetto la estrema velocità nella definizione del ricorso per la revoca. Evidenzia, inoltre, che l’ordinanza di revoca di un sequestro non è produttiva di effetti finchè non è definitiva e quindi sostiene che la semplice adozione della ordinanza di revoca di per sè non era idonea a creare nessuna situazione favorevole definitiva in vantaggio del S..

28. – Le censure contenute nel motivo di ricorso in esame in relazione a questo episodio sono infondate. L’ordinanza cautelare puntualizza che la vicenda in esame ha ad oggetto il contenzioso giudiziario coinvolgente la famiglia dell’avv. S.F., i cui beni erano stati sequestrati sulla base della riconosciuta appartenenza del padre, S.A., alla consorteria di ‘ndrangheta attiva nel territorio di Guardavalle (CZ), Badolato (CZ) e su tutta la fascia del basso Ionio catanzarese. Sottolinea che l’istanza è stata depositata il 30 luglio 2018 e decisa il successivo 1 agosto con ordinanza a firma del Presidente del Collegio e relatore Dott. P., e che da numerose intercettazioni telefoniche emerge la prova sia delle promesse effettuate da componenti della famiglia S. in favore del Dott. P. al fine di agevolare la situazione di rilevanza penale del S. e della sua famiglia, sia della elargizione di numerose regalie in favore del Dott. P. in relazione a questo episodio, sia del successivo ringraziamento, effettuato dal S. stesso, per l’adozione del provvedimento di dissequestro. Risulta quindi supportata e motivata la decisione disciplinare laddove ha ritenuto sufficientemente provata la corruzione in atti giudiziari per questo episodio, ovvero l’aver il Dott. P. direttamente violato i propri doveri dietro corresponsione di denaro ed altre utilità al fine di condizionare l’esito di un procedimento penale a sè assegnato, con l’adozione immediata, durante il periodo feriale, del provvedimento di dissequestro parziale.

29. – La considerazione del ricorrente, secondo la quale nessun concreto vantaggio ne avrebbe conseguito la famiglia S., atteso che esso sarebbe derivato solo dalla definitività della revoca della misura cautelare, è manifestamente infondata, attesa l’immediata esecutività del provvedimento di revoca del sequestro, essendo la revoca pronuncia giurisdizionale che fa venir meno il titolo provvisorio legittimante l’apprensione, salva la proposizione, nei termini previsti dalla legge, di impugnazione del pubblico ministero.

30. – Il secondo episodio esaminato nell’ambito del secondo capo di incolpazione concerne il promesso interessamento del Dott. P., consistente nell’aver esercitato una indebita interferenza nella attività dei colleghi, componenti di un diverso collegio penale della stessa corte d’appello, che avrebbero deciso in appello il procedimento penale a carico del S., affinchè le pene comminate a S.A. e a G.M. all’esito del giudizio di primo grado fossero mitigate in appello.

31. – Il ricorrente sottolinea la asserita inidoneità del suo intervento a condizionare effettivamente le decisioni dei colleghi e la non riconducibilità dei fatti ascritti, che riduce ad una semplice raccomandazione, nell’ambito di un patto corruttivo, che presuppone che l’atto dedotto nel patto, se non deve necessariamente essere ricompreso nelle specifiche mansioni, deve comunque rientrare nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale possa esercitare una forma di ingerenza, sia pure di fatto. Accenna, nell’ambito delle trattazione del motivo, alla validità di analoghe considerazioni in relazione alla diversa vicenda corruttiva relativa a T.P.G., in relazione alla quale ugualmente gli è stata ascritta la disponibilità ad un interessamento presso altri magistrati dello stesso ufficio giudiziario, che avrebbero dovuto decidere la questione giudiziaria riguardante il T.P.. Deve rilevarsi che il ricorso non menziona, tra quelli oggetto di motivo di ricorso, i capi di incolpazione della ordinanza del CSM che concernono i fatti relativi al T.P..

32. – La prospettata violazione di legge non sussiste.

Come riportato nella ordinanza impugnata, la Sezione disciplinare ha fondato la sua decisione, tra l’altro, sulle conversazioni captate in particolare il 3 aprile 2019, tra un emissario della famiglia S. e il Dott. P., nel corso delle quali l’emissario chiedeva direttamente al Dott. P. di intervenire per far cadere l’accusa di associazione, ed ha collegato la qualità di pubblico ufficiale del Dott. P. alla sua posizione di presidente di sezione nella stessa corte d’appello in cui operavano i magistrati che avrebbero giudicato in appello nel procedimento penale a carico del S. e del G., in tal modo conformandosi al principio espresso dalla giurisprudenza penale di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (così Cass. Pen. 23355/2016 del 26/2/2016; conf. Cass. Pen. 20502/2010 del 2/3/2010, Cass. pen. 4177/04 del 27/10/2003, nonchè, a contrariis, Cass. Pen. n. 17973/2019 del 22/1/2019, così massimata: “In tema di corruzione in atti giudiziari, l’atto oggetto del mercimonio deve rientrare nella sfera di competenza o di influenza dell’ufficio cui appartiene il soggetto corrotto, di modo che in relazione ad esso egli possa esercitare una qualche forma di ingerenza sia pur di mero fatto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del reato, in relazione ad un patto corruttivo intervenuto con un giudice incardinato nella commissione tributaria regionale, ma relativo a procedimento pendente innanzi alla commissione tributaria provinciale”); v. anche Cass. S.U. n. 9390 e 9391 del 2021).

33. – Con il capo di incolpazione n. 5 viene ascritta al Dott. P. la violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1), lett. d) con riferimento al delitto di corruzione in atti giudiziari per favorire la famiglia S., commesso in concorso con S.A. ed Sa.Em., per un episodio strettamente collegato a quello contestato con il secondo capo di incolpazione e immediatamente successivo ad esso, svoltosi dopo la conferma, all’esito del processo in grado di appello di cui al secondo capo di incolpazione, della condanna a carico del S. e del G. e delle pene ad essi comminate, nonostante il promesso interessamento del Dott. P.. Nuovamente contattato dai S., il Dott. P. ne incontrava gli emissari, assicurava che il ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza d’appello sarebbe stato con ogni probabilità accolto, e prometteva di intervenire, in sede di giudizio di rinvio, al fine dell’adozione di una decisione favorevole al S., ricevendo in cambio la promessa della dazione di una autovettura da intestarsi al figlio.

34. – L’ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M. fonda la valutazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari anche in sede disciplinare, in ragione della obiettiva gravità delle condotte ascritte al Dott. P., incompatibili con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, su numerose intercettazioni di conversazioni telefoniche intercorse tra S.F. ed altri soggetti coinvolti nella vicenda corruttiva, in particolare una in data (OMISSIS), pochi giorni dopo la sentenza di appello (resa il 17 luglio 2019) che confermava le condanne a carico di S. e G., dalle quali risultano le assicurazioni del Dott. P. circa la possibilità di accoglimento del ricorso per cassazione contro la sentenza di appello – che, contrariamente alle sue promesse, aveva confermato le pene a carico di S. e G. – e la sua piena disponibilità ad intervenire in favore dei summenzionati imputati nell’eventuale giudizio di rinvio dinanzi alla corte d’appello di Catanzaro, dietro corresponsione di una regalia consistente nella dazione di una autovettura da intestare al figlio del Dott. P., atte a fondare il motivato convincimento del Collegio sulla disponibilità assicurata dal Dott. P. ad intervenire nella vicenda.

35. – Il Dott. P. afferma, quanto alla vicenda S., che la promessa, che il magistrato avrebbe fatto, di prendere in carico un processo penale a carico di S. ed altri, qualora la Corte di cassazione avesse annullato la sentenza di condanna confermata in appello, non poteva essere qualificata in termini di illiceità, attesa l’assoluta aleatorietà dell’evento prodromico e necessario (la sentenza di annullamento da parte della Corte di cassazione) per la realizzazione della sola condizione funzionale alla realizzazione dell’impegno assunto: tale assoluta aleatorietà precludeva di poter attribuire rilevanza penale o disciplinare alla condotta del Dott. P..

36. – Anche in riferimento a questo capo di incolpazione, il ricorso è infondato, atteso che non rileva ai fini della prospettabilità dell’illecito penale, e del correlato illecito disciplinare, l’aleatorietà del risultato favorevole alla parte, evidenziata dal Dott. P. nel ricorso, quanto la disponibilità del magistrato a impegnarsi per far conseguire, ove possibile, un risultato pilotato in senso favorevole alla persona da cui accettava favori indebiti (v. in tal senso Cass. n. 5264 del 2016, Cass. n. 2302 del 2002, che affermano il principio di diritto secondo il quale il delitto di corruzione in atti giudiziari si consuma con l’accettazione della promessa di denaro o di altra utilità da parte del pubblico ufficiale indipendentemente dalla realizzazione del vantaggio perseguito dal corruttore).

36. – Con i capi di incolpazione n. 9 e n. 15 viene contestato al ricorrente l’illecito extrafunzionale di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a) ovvero l’aver il Dott. P. percepito ingiusti vantaggi, facendo uso della sua qualità di magistrato, in virtù dell’interessamento nelle vicende giudiziarie a carico di S.. In particolare, quanto al capo 9), si contesta al Dott. P. la commissione del predetto illecito extrafunzionale per aver utilizzato la sua qualità di presidente di sezione per assicurare un esito favorevole della decisione nel giudizio di appello proposto contro la sentenza di primo grado emessa nei confronti di S. e G. mentre, con il capo n. 15, si contesta al Dott. P. l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a) per aver, utilizzando la sua qualità di presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro, conseguito l’indebito vantaggio di farsi promettere la dazione a titolo gratuito di una autovettura “Smart” promettendo a due soggetti l’esito favorevole del giudizio di rinvio qualora fosse stata cassata la sentenza di appello che aveva visto la condanna del S..

37. – Il Dott. P. denuncia con il secondo motivo, in relazione a tutti i capi di incolpazione concernenti la vicenda corruttiva che coinvolge la famiglia S., la mancanza assoluta di motivazione e la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4. Quindi, in riferimento ai fatti contestati nei capi di incolpazione sopra menzionati, presi in considerazione sotto il profilo della percezione di ingiusti vantaggi da parte del magistrato nell’ambito della valutazione complessiva delle esigenze cautelari sottostanti alla adozione della misura della sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, è denunciato il solo profilo della mancanza di motivazione, e non anche la violazione di legge.

38. – La censura è infondata.

L’ordinanza impugnata preliminarmente dà atto dell’intervenuto accertamento, in sede penale, mediante intercettazioni ed indagini, della acquisizione da parte del Dott. P. di indebiti vantaggi, a più riprese, in relazione ai vari episodi corruttivi di cui ai punti precedenti, vantaggi consistiti, quanto al capo 9, nella consegna di una somma di denaro imprecisata, contenuta in una busta, di 500 Euro, di capi di abbigliamento, di generi alimentari e di una cassa di vino, e nella promessa di consegna di una somma di 100.000,00 Euro e di un appartamento sito in (OMISSIS) da intestare fittiziamente a terzi, quale contropartita della sua disponibilità ad intervenire in favore della famiglia S.. Per il capo 15, l’ingiusto vantaggio è indicato nella promessa di dazione di una autovettura da intestare al figlio.

39. – L’ordinanza impugnata quindi correttamente individua nella condotta tenuta dal Dott. P. un abuso della propria qualità e funzione di magistrato, posto in essere al fine di procurarsi vantaggi ingiusti, dando della nozione di vantaggio una portata ampia, non circoscritta alle sole utilità di natura patrimoniale, ma estesa a tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, patrimoniale e morale, oggettivamente apprezzabile, ed evidenziando anche che, quanto alla spendita della qualità di magistrato, non è neppure necessaria una spendita esplicita quando essa sia nota all’interlocutore, essendo piuttosto necessario l’uso strumentale di essa, posto in essere, al di fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, proprio per conseguire un ingiusto vantaggio per sè o per altri, idoneo a giustificare l’adozione della misura cautelare disciplinare, in conformità con quanto affermato da questa corte di legittimità (Cass. S.U. n. 10086 del 2020).

40. – Il ricorrente con il secondo motivo impugna, sempre sotto il profilo di mancanza della motivazione, l’ordinanza della Sezione disciplinare anche in riferimento al capo di incolpazione n. 10, con il quale gli viene contestato l’illecito disciplinare di cui all’art. 1, comma 1 (violazione dei doveri di imparzialità e correttezza) e D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) del avente ad oggetto i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario, perchè, in violazione dei doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, quale presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro, teneva un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi che componevano il collegio assegnatario del giudizio di appello nei confronti di S. e G. facendoli apparire come permeabili alle proprie sollecitazioni e quindi non imparziali nell’esercizio delle loro funzioni.

41. – Con il secondo motivo di ricorso, infine, il ricorrente fa riferimento anche agli illeciti disciplinari contestati con il capo n. 11, con il quale viene contestato l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. c) ovvero la violazione dei doveri di imparzialità integrata dalla consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione allorchè, quale presidente della sezione feriale della Corte d’Appello ometteva consapevolmente di astenersi dal trattare la richiesta di revoca del sequestro giudiziario disposto in danno del S. e dei sui familiari, presentata dall’avv. Gambardella, al quale era legato da rapporti di affinità e di frequentazione.

42. – In riferimento ad entrambi i capi di incolpazione, il ricorrente contesta genericamente la scorrettezza stessa del proprio comportamento, evidenziata nel dettaglio dalla ordinanza impugnata, e, quanto alla mancata astensione, non si confronta con l’affermazione dell’obbligo di astensione contenuta nella ordinanza impugnata, limitandosi a sostenere di aver adottato una decisione corretta, in quanto conforme a consolidata giurisprudenza. Non confrontandosi col provvedimento impugnato, si limita pertanto, inammissibilmente, a sollecitare la Corte a rinnovare la valutazione delle risultanze istruttorie.

43. – In data 12.1.2021 il ricorrente ha depositato un atto denominato “Motivi aggiunti”, all’interno del quale riconosce di aver avuto contatti con soggetti “dei quali oggi si vergogna”, ammette di aver ricevuto da tali soggetti somme di denaro o altri beni, ma nega che tali dazioni abbiano mai inciso sull’esercizio da parte sua delle funzioni giudiziarie. Sostiene di essersi prestato ad ascoltare “per mero tornaconto personale” le parole di persone che lo sollecitavano ad intervenire in loro favore, compiendo atti idonei ad incidere sul funzionamento del suo ufficio giudiziario o sull’esito del procedimento, e tuttavia sostiene di non aver svolto alcuna effettiva attività in favore di questi soggetti, avendo adottato tutte le sue decisioni con coscienza e secondo diritto, e non essendo mai in effetti intervenuto presso colleghi per tentare di influenzare le loro decisioni.

Evidenzia il suo comportamento processuale collaborativo, a seguito del quale la vicenda penale a suo carico è stata molto ridimensionata nella sentenza emessa dal GUP di Salerno, in cui è stato assolto da alcuni reati, è stata esclusa la circostanza aggravante contestata dell’art. 416 bis c.p., comma 1, sono state concesse le attenuanti generiche, ed è stata revocata la misura restrittiva degli arresti domiciliari. Auspica che alla rimodulazione della rilevanza penale della sua condotta in sede di giudizio di merito segua anche una riconsiderazione della vicenda sotto il profilo disciplinare ed un ridimensionamento del giudizio di gravità delle violazioni contestate anche sotto il profilo cautelare, della ritenuta incompatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali sottesa all’adozione della misura della sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio.

44. – In merito all’ammissibilità di tale atto recante motivi “aggiunti”, il Collegio osserva che in materia di impugnazione delle sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM dinanzi alle Sezioni Unite civili di questa Corte, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24 si applicano le norme processuali penali ai fini della proposizione del ricorso, e quelle civili per la fase del giudizio (Cass. n. 10935 del 2019; Cass. n. 14550 del 2017; Cass. n. 7934 del 2013). Pertanto, non si applica l’art. 585 c.p.p., comma 4, che consente, nell’ambito del processo penale, di depositare motivi nuovi, purchè consistano nella ulteriore illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta rivolta al giudice dell’impugnazione, peraltro sempre nei limiti dei capi o punti della decisione oggetto del gravame.

45. – L’atto depositato può tuttavia essere riqualificato come memoria di parte, resa ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e come tale può essere ritenuto ammissibile, in quanto si mantiene nei limiti contenutistici delle memorie illustrative ed è tempestivo, essendo stato tempestivamente depositato nel rispetto dei termini previsti dal medesimo art. 378 c.p.c., non oltre cinque giorni prima all’udienza. Le memorie illustrative sono destinate, nel giudizio civile di legittimità, esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie, e non sono utilizzabili allo scopo di specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica (in questo senso v. Cass. S.U. n. 11097 del 2006; v. anche Cass. n. 24007 del 2017).

46. – L’atto depositato si limita a sviluppare nuove argomentazioni a sostegno dei motivi di ricorso già articolati, al fine di sostenere la tesi della eccessività, oltre che della illegittimità, della misura disciplinare cautelare adottata nei confronti ricorrente, e può pertanto essere considerato alla stregua di una memoria ex art. 378 c.p.c., volta ad illustrare e meglio argomentare i motivi del ricorso tempestivamente formulati. La considerazione degli argomenti contenuti nella suddetta memoria, secondo i quali il comportamento del P., per quanto illecito, sarebbe meno grave di quanto contestato, e sostanzialmente inoffensivo, in quanto alle promesse del P. di incidere positivamente in favore di terzi su procedimenti penali assegnati a sè medesimo o ad altri colleghi non si sarebbe associata una reale capacità di influenzare le decisioni altrui sulle situazioni, nè una effettiva attività volta a tal fine, non fa venir meno la saldezza nè la legittimità della valutazione effettuata dal giudice disciplinare. L’ordinanza impugnata, infatti, tenuto conto della gravità dei fatti ascritti in sede penale, del titolo dei delitti, ritenuta la possibile sussistenza degli stessi, non si è limitata ad un mero richiamo alla gravità dell’ipotesi accusatoria astrattamente considerate, bensì ha preso autonoma cognizione, sia pure allo stato degli atti, delle contrapposte tesi delle parti (e degli elementi indicati a loro fondamento) in ordine alla possibile colpevolezza dell’indagato, fondando il proprio convincimento su tale base e dandone riscontro nella motivazione del provvedimento (v. Cass. S.U. n. 5588 del 2020), ed ha reputato sussistente l’esigenza cautelare in presenza di una lesione del prestigio e della credibilità dell’incolpato tale da non essere compatibile con la prosecuzione dell’esercizio delle funzioni (v. Cass. S.U. n. 4882 del 2019; Cass. S.U. n. 9031 del 2021).

47. – Il ricorso è rigettato.

48. – Non vi è luogo a regolazione di spese, nè – ratione materiae – al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021

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